Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

lunedì 24 dicembre 2012

Messaggio di Natale 2012 dell'Arcivescovo Gabriele

Testata

MESSAGGIO DI NATALE 2012

dell'Arcivescovo Gabriele di Comana

Esarca del Patriarca Ecumenico

«Lo riconoscerete da questo segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia›› (Lc 2, 12)

Cari Fratelli e Sorelle,

sono felice quest'oggi di rivolgervi il mio augurio nella festa della Natività del Signore. Come in occasione di tutte le grandi feste quello che viviamo oggi è un momento importante. Ecco che il Signore viene in mezzo a noi vestito di povertà: ha scelto per la sua nascita un villaggio sconosciuto in una regione sconosciuta e nasce da una vergine povera.

Lui il Creatore dell'universo, il Dio degli dèi, l'Onnipotente, accetta di comparire davanti agli uomini in un luogo in cui dei poveri pastori soggiornano con le loro greggi: una semplice grotta. È qui che Maria, non avendo trovato possibilità di alloggio, dà alla luce il Re dei re, il Signore dei Signori.

«È nato un Salvatore, che è il Messia, il Signore» (Lc 2, 11), «Dio è il Signore che ci illumina!›› (Ps 117, 27), non nella forma di Dio, come dice san Basilio il Grande, bensì nella forma di servo, per dare la libertà a coloro che sono stati ridotti in schiavitù. Chi ha un cuore cosi gravato dal sonno, chi è tanto ingrato da non gioire, esultare e acclamare davanti a un simile evento?

L’icona “Maria Nutrice della Vita”

L’icona "La Nutrice" della Madre di Dio si trovava originariamente nella Lavra (o laura, in greco cammino stretto) di San Saba il Grande, una Santa comunità vicino Gerusalemme.

San Saba archimandrita nasce nel 439 a Cesarea di Cappadocia. Attorno ai 18 anni arriva pellegrino in Terrasanta. Sul cammino sosta sempre in comunità monastiche di diverso tipo: di vita comune, anacoretiche, nelle loro grotte o capanne. È così che trova una guida nel monaco Eutimio detto «il grande», col quale condividerà la vita eremitica in Giordania. Dopo la morte del maestro si ritira verso Gerusalemme, nella valle del Cedron. Qui, col tempo, si forma intorno a lui un'aggregazione monastica frequente in Palestina: la Lavra, una comunità destinata a crescere fino ad ospitare 150 monaci e far da guida ad altri «villaggi» monastici di questo tipo. Nel 492, Saba viene ordinato sacerdote, e il patriarca Elia di Gerusalemme lo nomina archimandrita, capo di tutti gli anacoreti di Palestina. Muore, ultranovantenne, nel 532.

venerdì 21 dicembre 2012

Ecumenismo umanistico

di San Justin Popovic

Dal libro di padre Justin Popovic «La Chiesa Ortodossa e l’Ecumenismo», p. 224-255, Edizione Sacro Monastero degli Arcangeli, Celje, Valjevo, Serbia. Traduzione a cura di Tradizione Cristiana.

* * *

Ecumenismo è un nome comune tra i falsi cristiani, delle false chiese dell’Europa Occidentale. Nel suo interno si trova il cuore di tutti gli umanesimi europei, con il Papismo a capo. Tutti questi falsi cristianesimi, tutte le pseudo-chiese non sono nulla di più che un’eresia accanto all’altra. Il loro nome evangelico comune è paneresia. Perché? Perché nel corso della storia le varie sette negavano o deformavano certe caratteristiche del Teantropo (Uomo-Dio) e Signore Gesù, e queste sette europee respingono l’intero Teantropo ponendo al suo posto l’uomo Europeo. Qui non vi è alcuna differenza sostanziale tra il Papato, il Protestantesimo, l’Ecumenismo e le altre sette, il cui nome è «legione».

Il dogma ortodosso, meglio dire, il pan-dogma sulla Chiesa, fu respinto e sostituito dal pan-dogma latino eretico sul primato e l’infallibilità del Papa, cioè dal primato dell’uomo. Da questa paneresia, quindi, sono nate e continuamente nascono altre eresie: il Filioque, l’eliminazione dell’Epiclesi, gli azzimi, l’introduzione della grazia creata, il purgatorio, le tante opere dei santi raccolte e immagazzinate in una stanza come se fossero un tesoro materiale, l’insegnamento meccanizzato sulla salvezza e quindi l’insegnamento meccanizzato sulla vita, il papocesarismo, la Santa Inquisizione, le indulgenze, l’uccisione del peccatore per il peccato, il gesuitismo, la scolastica, la casistica, il monarchismo, l’individualismo sociale di vari tipi…

Il protestantesimo? È il figlio più fedele del Papismo, che per il suo profondo razionalismo cadde, attraverso i secoli, da un’eresia all’altra e si annega costantemente nei diversi veleni delle sue erronee credenze. A tal fine, lo spirito superbo del papismo e l’«infallibile» irragionevolezza regna assolutisticamente e devasta le anime dei suoi credenti. In linea di principio, ciascun Protestante è un papa indipendente, in tutte le questioni di fede. Questo, però, porta sempre da una morte spirituale all’altra; e non c’è fine a questo continuo «morire», poiché il numero delle morti spirituali è innumerevole.

giovedì 13 dicembre 2012

Perché abbandonai la Chiesa Cattolica Romana (La mia conversione all’Ortodossia)

Una eccezionale testimonianza storica del cammino verso la riscoperta della Fede Ortodossa e delle difficoltà che tale scelta poteva implicare negli anni '50 del secolo scorso. Lo propongo ai lettori esattamente come scritto nella copia in mio possesso. E' un testo lungo, ma si legge con piacere.

* * * * *

Di Paul Fr. Ballester Convalier - Atene 1954. Traduzione dal greco dell'Archimandrita Benedictos Katsanevakis, Napoli - presso la chiesa dei SS. Pietro e Paolo dei nazionali Elleni, 1955.

Al nascente movimento ortodosso italiano dedico

Invece di premessa

Nell’ottobre dell’anno scorso 1954 è sorto a Catania ed a Firenze, promosso da Italiani di puro sangue, un movimento che mira non ad un Cattolicesimo riformato, ma addirittura ad un ritorno completo e sincero alle origini, cioè alla genuina Chiesa Cristiana esistente prima del funesto grande scisma tra Oriente ed Occidente consumato dal Papa Urbano II nell’anno 1098 nel Sinodo di Bari da lui ivi convocato. I pionieri di tale movimento hanno trovato tale Chiesa primitiva nella Chiesa Ortodossa Cristiana che è infatti l’unica genuina continuatrice della Chiesa fondata da Gesù Cristo e divulgata dai SS. Apostoli.

È molto commovente il fatto che proprio in quest’anno che è il novecentesimo dagli inizi dei primi aperti contrasti ecclesiastici tra Occidente e Oriente, che condussero poi all’anzidetta separazione definitiva dell’anno 1098, ha inizio con il movimento Ortodosso italiano in parola, il ritorno alla retta dottrina di Cristo dei popoli Occidentali trascinati allo scisma. Il detto movimento Ortodosso italiano, pur giovanissimo e recentissimo, conta già in Catania ed in Firenze due Vescovi, quattro presbiteri, un diacono e circa duecento aderenti e moltissimi simpatizzanti.

Ora, il molto Rev. Paul Fr. Ballester Convalier ex Frate Francescano in Spagna – ora Presbitero Ortodosso – abbandonò anch’egli il Cattolicesimo Romano e scrisse poi in greco un opuscolo intitolato “La mia conversione all’Ortodossia” in cui espone con molta chiarezza il dramma della sua anima a tale riguardo. Egli spirito studioso, occasionalmente veniva messo in seri dubbi circa la verità di alcune dottrine fondamentali della Chiesa Romana a cui apparteneva ed ha cercato sinceramente e ad ogni costo e sacrificio di arrivare al fondo della questione. Ed è riuscito a trovarne, da solo, l’uscita dal cieco vicolo in cui inconsciamente si trovava. Il dramma spirituale esposto dal Rev. Convalier è, senza dubbio, il dramma di numerosissime altre anime incapaci di trovare l’uscita dal cieco vicolo. Per venire incontro a tale stato e specialmente a tutti i simpatizzanti del suddetto «Movimento Ortodosso italiano» sentiamo il dovere di presentare in debita traduzione il su riferito documento del Rev. Convalier, sostituendo il titolo originale: “La mia conversione all’Ortodossia” con quello: “Perché abbandonai la Chiesa Cattolica Romana”, come più adatto al contenuto e come più comprensibile ai lettori in Italia. Siamo convinti che finché l’Europa Occidentale e Centrale non sarà rieducata alla retta fede cristiana, direi riortodossata, studi sì fatti non saranno mai inutili.

Infine ringrazio il mio carissimo figlio in Cristo Sig. Augusto Scrino dell’aiuto letterario prestatomi per la sollecita traduzione del presente.

Napoli, 25 Marzo 1955.

Festa dell’Annunziazione di M. V.

† Archimandrita Benedictos Katsanevakis

sabato 8 dicembre 2012

I defunti sono santificati così come i vivi dai doni dell’Altare

di san Nicolas Cabasilas (circa 1319-1391) - da “Spiegazione della Divina Liturgia”

Questo divino e sacro rito (la Divina Liturgia) risulta doppiamente santificante. In primo luogo per l’intercessione. Infatti i doni offerti, per il solo fatto di essere offerti, santificano coloro che li offrono e coloro per i quali sono offerti e rendono misericordioso Dio nei loro riguardi. In secondo luogo santificano per mezzo della Comunione, poiché sono un vero cibo ed una vera bevanda, secondo la parola del Signore. Di queste due maniere la prima è comune ai vivi ed ai morti, poiché il sacrificio si offre per entrambe le categorie. Il secondo modo vale per i soli vivi, poiché i morti non possono né mangiare né bere. Che dunque? Per questa ragione i defunti non beneficeranno di questa santificazione e sono meno avvantaggiati dei vivi? Per nulla. Poiché il Cristo si comunica a loro nel modo che egli sa.

Ed affinché sia chiaro, consideriamo le cause di questa santificazione per vedere se anche le anime dei defunti non lo abbiano come quelle dei viventi. Quali sono le cause della santificazione? Forse l’avere un corpo, il correre con i piedi per giungere all’altare, il prendere con le mani i santi doni, il riceverli con la bocca, il mangiare ed il bere? Niente affatto. Molti infatti che li ricevono e che così si accostano ai misteri non ricavano alcun beneficio e si allontanano colpevoli d’infiniti mali.

Ma quali sono le cause della santificazione per quelli che sono santificati? E quali sono le condizioni che il Cristo richiede da noi? La purezza dell’anima, l’amore verso Dio, la fede, il desiderio del sacramento, l’ardore per la comunione, uno slancio ardente ed il correre ad essa assetati. Queste sono le cause da cui deriva questa santificazione e con le quali è necessario che coloro che al Cristo si accostano partecipino di lui e senza le quali è impossibile la santificazione. Ma tutte queste cause non sono corporali, ma dipendono dalla sola anima. Dunque nulla impedisce che le anime dei defunti le possano possedere come quelle dei viventi. Se dunque le anime sono pronte e disposte a ricevere il santo mistero ed il Signore, che santifica e consacra, vuole sempre consacrare e desidera ogni volta offrirsi in comunione, che cosa impedisce la partecipazione? assolutamente nulla.

venerdì 30 novembre 2012

L'esychia

Dell’Archimandrita Kallistos Ware (oggi vescovo di Diokleia) da "Sobornost" N° 3- 19

I. I DIFFERENTI LIVELLI DELL'ESYCHIA

Una delle storie dei "Detti dei Padri del deserto" descrive una visita di Teofilo, arcivescovo di Alessandria, ai monaci di Scete. Ansiosi di fare una buona impressione al loro illustre ospite, i monaci riuniti chiesero all'abate Pambo: "Di' qualcosa di edificante all'Arcivescovo". Ed il vecchio rispose: "Se non è edificato dal mio silenzio, tanto meno sarà edificato dalle mie parole". Questa storia indica l'estrema importanza data dalla tradizione del deserto alla esychia, la qualità dell'immobilità e del silenzio. "Dio ha scelto l'esychia al di sopra di ogni altra virtù" è detto altrove nei "detti dei padri del deserto". Come insiste S. Nilo di Ancira: "È impossibile che l'acqua infangata si possa chiarificare se si continua a rimestarla; ed è impossibile diventare monaco senza l'esychia".

Esychia, comunque, significa ben di più della semplice astensione dal parlare fisico. Il termine può essere invece interpretato a molti livelli differenti. Tentiamo di distinguere i vari significati, partendo dai più esteriori per arrivare ai più profondi ed interiori.

1. Esychia e solitudine

Nelle fonti più antiche il termine "esicasta" e il relativo verbo "esichazo" generalmente denota un monaco che vive in solitudine, da eremita, a differenza di quelli che sono membri di un cenobio. Questa accezione si ritrova già in Evagrio pontico (+ 399) e in Nilo e Palladio (inizi V secolo). Si ritrova pure nei "Detti dei Padri del deserto", in Cirillo di Scitopoli, in Giovanni Mosco, Barsanufio, e nella legislazione di Giustiniano. Il termine esychia continua ad essere adoperato con questo significato anche in autori posteriori, come in S. Gregorio il Sinaita (+ 1346). A questo livello il termine si riferisce soprattutto alla relazione, nello spazio, di un uomo in rapporto ad altri. Questo è il significato più esteriore.

lunedì 26 novembre 2012

Ancora sulla Sindone di Torino

Sottopongo all'attenzione dei lettori questo interessante articolo di un chimico del Dipartimento di Chimica Organica dell'Università di Pavia, che conferma le tesi espresse da Padre Theocleto, esposte nell'articolo in francese pubblicato qualche giorno fa..

Qui trovate altre informazioni: http://sites.google.com/site/luigigarlaschelli/shroudreproduction

E’ possibile riprodurre la Sindone? di Luigi Garlaschelli

Storia della Sindone di Torino

La Sindone di Torino non è affatto nota dal primo secolo dopo Cristo. Questa discussa reliquia comparve improvvisamente in Francia, a Lirey, verso il 1357, proprietà dei discendenti di Goffredo di Charny, un piccolo feudatario. Immediatamente Henri de Poitiers, il vescovo della locale diocesi (Troyes) si oppose all’ostensione che veniva fatta del telo, ritenendolo un evidente falso. Infatti i Vangeli non ne parlano, né egli riteneva verosimile che esso fosse rimasto sconosciuto per tredici secoli. Le ostensioni ripresero trent’anni dopo, e ancora il nuovo vescovo, Pierre d’Arcis, si oppose. Dopo un lungo braccio di ferro tra lui e il decano della chiesa ove avvenivano le ostensioni, nel 1389 il vescovo si appellò al Papa Clemente VII con un lungo memoriale, nel quale si racconta come il suo predecessore avesse addirittura trovato l’artista che l’aveva "astutamente dipinta".

lunedì 19 novembre 2012

L'Anziano Dobri Dobrev di Baylovo (Bulgaria)

L'incredibile figura dell'Anziano Dobre, un uomo di 96 anni che, anni fa, ha dato i suoi possedimenti alla Chiesa iniziando a vivere poveramente. Quest'uomo parte ogni giorno dal suo villaggio per recarsi nella capitale, Sofia, dove raccoglie soldi a favore di monasteri e chiese. E' divenuto il maggior benefettore della cattedrale sant'Alexander Newskji. La sua figura e il suo stile di vita ricordano quello degli staretz della Russia zarista. Non c'è dubbio: senza queste figure il Cristianesimo cesserebbe di avere il suo senso...
 

domenica 11 novembre 2012

Uno scritto interessante sulla Sacra Sindone

Dalla rivista "La Lumière du Thabor" (in francese) n.13, da p.72 a p. 80.

Il y a quelques années, c’était en 1978, accouraient en foules, du monde entier à Turin, des visiteurs venus voir et aussi vénérer le "Saint Suaire", le drap dans lequel Joseph d’Arimathée avait enveloppé le Corps du Seigneur, pour l’ensevelir. La relique était authentique, la science l’avait attesté. On fit même d’après le négatif, à l’ordinateur, le portrait de Jésus.

Mais voici qu’une nouvelle venue de Rome et publiée par "ESTIA" d’Athènes le 18.10.1986, annonçait que le "Saint Suaire" allait être soumis, à nouveau, à l’examen du "carbone 14". A la suite de cette nouvelle, l’érudit père Théoclète publiait dans Orthodox Typos du 28.11.1986, l’article qui suit. Pour lui le "Saint Suaire" n’est pas authentique et n’a rien à voir avec l’ensevelissement de Jésus. Voici ses arguments, que les "frères" latins, malgré sa demande, n’ont pas réfutés.

domenica 4 novembre 2012

Scelto il nuovo papa copto: è Tawadros

Fonte: Corriere.it

Il suo nome è stato estratto a sorte da un bambino. Fra i tre candidati era quello più lontano dalla politica attiva

MILANO - Il vescovo Tawadros è il 118esimo papa della chiesa copto ortodossa. Il suo nome è stato estratto a sorte da un bambino, la cui mano si dice sia guidata dal volere di Dio, al termine di una lunga liturgia nella cattedrale del Cairo.

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IL PERSONAGGIO - Il nuovo papa della più grande comunità cristiana del mondo arabo si insedierà il 18 novembre col titolo di papa di Alessandria, di tutta l'Africa e della santa sede di San Marco. Sostituisce Shenuda III, morto a marzo dopo un pontificato durato quasi 40 anni. Tawadros, 60 anni, si è laureato in farmacia prima di intraprendere la vita religiosa. È stato il secondo più votato dei tre candidati rimasti in lizza e secondo i media egiziani si è contraddistinto nella sua attività di vescovo nella città di Beheria, nel delta del Nilo, per la sua capacità teologica ma anche per la sua attività con i giovani.

I CANDIDATI - Oltre al vescovo Tawadros, erano candidati il vescovo Raphael, medico molto attivo in politica, un tempo collaboratore di Shenuda III, e padre Raphael Ava Mina, monaco e studente del papa che precedette Shenuda. Il vescovo Raphael era stato il più votato da un migliaio di grandi elettori. Dure le sfide che Tawadros dovrà affrontare, nella difficile fase di transizione democratica e in un momento di accresciuta forza politica dei gruppi islamisti. Ma il nuovo papa è convinto che la Chiesa debba rimanere fuori dalla politica.

LE SFIDE - Shenuda III è morto proprio mentre il Paese entrava in una fase completamente nuova, segnata dalla fine del regime di Hosni Mubarak e dall'inizio del predominio delle forze islamiche. Il successore dovrà ora scegliere se seguire le orme del predecessore che, soprattutto nell'ultima parte del pontificato, preferì tenere un atteggiamento di basso profilo nei confronti del regime in cambio di un atteggiamento tollerante verso una comunità religiosa che da tempo denuncia soprusi e discriminazioni. L'alternativa è puntare su una maggiore visibilità politica, rilanciando la presenza e il ruolo dei cristiani. Questo è ciò che sollecitano i movimenti di giovani copti che sono stati attivi durante la rivoluzione.

Dalle Omelie di San Giovanni Crisostomo (estratti)

Sui Salmi

Perché bisogna accostarsi all’Eucaristia in santità di vita.

[…] Pensa, o uomo, quale grande dignità consegui; e poiché tu stesso sei divenuto tempio, pensa con quanta purezza è giusto che debba presentarti! Come manifesterai la tua purezza? [Potrai farlo] se scaccerai ogni cattivo pensiero; se farai in modo di chiudere ogni ingresso della tua mente alle azioni del demonio; se, come si fa nei santi templi, perseveri nel rendere bella la tua anima. 

Infatti, se nel tempio giudaico non era consentito a tutti entrare in qualsiasi luogo, ma vi erano molte e varie divisioni, in quanto vi era una parte assegnata ai proseliti, un’altra ai Giudei ai quali era stata data fin dall’inizio, un’altra ai sacerdoti, un'altra al solo sommo sacerdote, e questo non [poteva entrare] sempre ma una sola volta all’anno; pensa allora quanta santità è necessario che tu abbia in te stesso, dal momento che hai ricevuto dei simboli ancora più grandi di quelli che essi ricevettero nel Santo dei Santi. Ad abitare in te, infatti, non tiene i Cherubini, ma il Signore degli stessi Cherubini, non hai né l’arca, né la manna, né le tavole di pietra e neppure la verga di Aronne, ma il corpo e il sangue del Signore, lo Spirito al posto della lettera, la grazia che supera ogni umano pensiero, hai un dono inenarrabile. Ebbene, con quanti più grandi simboli e più venerabili misteri sei stato onorato, di tanta maggiore santità sei tenuto a rendere conto. Perciò se trasgredirai i comandamenti, riceverai un castigo più duro.

(Salmo 133, 1-2; PG 55, 386)

Eucaristia e santità della lingua.

Poni, Signore, una custodia alla mia bocca. … Pensa che la lingua è il membro con il quale parliamo con Dio e con il quale celebriamo le lodi. È il membro con il quale riceviamo il tremendo sacrificio. I fedeli sanno bene ciò che si sta dicendo. È necessario, pertanto, che la lingua si libera da ogni accusa, maledizione, parola oscena e calunnia. Se qualche pensiero impudico ci incalza, dobbiamo soffocarlo dentro di noi, senza permettergli di giungere alle nostre labbra. Anche se il suo animo esasperato ti porta a nutrire rancori, devi estirpare anche questa radice: la porta sia custodita e ben guardata, senza permettere che all’interno possano nascere cattivi pensieri; ma se nascono, bisogna soffocarli all’interno stesso ed estirparne la radice.

(Salmo 140 [141], 3; PG 55, 433)

venerdì 26 ottobre 2012

I messaggi dell'Iconografia bizantina nell'Europa Cristiana contemporanea

Di Constantinos Charalampidis, da: Orientamento Spirituale dell'Europa. Edizioni KYROMANOS, Thessaloniki, 1997.

Ogni arte cela un suo ed esclusivo messaggio, naturalmente incomprensibile se non se ne conosce il codice silenzioso e mistico, che sono poi le linee, i colori e i volumi. Tentare di leggere un' opera d'arte e, nel nostro caso, un oggetto artistico appartenente storicamente e cronologicamente al mondo bizantino è quanto dobbiamo fare.

I pensieri ed i sentimenti dei bizantini sono impressi nelle opere dell'architettura, della pittura, della scultura e nei piccoli oggetti d' arte che si collocano in un amplissimo arco cronologico che va dai primi secoli del cristianesimo fino al 1453, alla caduta cioè di Costantinopoli sotto la dominazione turca. 

L'arte bizantina, oltre a dilettare lo spettatore con i suoi capolavori, provoca e invita, attraverso il prisma di una visione spirituale-metafisica, ad una considerazione soprannaturale dei suoi eterni valori. Bisanzio, che continuò la tradizione come baluardo dell'arte antica, assimilò e descrisse in nuove forme rappresentative il mondo degli eletti dello spirito, costituiti dai santi e dai beati della Chiesa cristiana. La «colonizzazione» artistica dell'arte bizantina nell' Europa occidentale ha segnato il rinnovamento e la rivitalizzazione dell'arte europea. L'evoluzione artistica in Europa dunque si compì grazie all' influenza antropocentrica e cristocentrica della tradizione iconografica bizantina. L'arte bizantina, in altre parole, sia proponendo i suoi prototipi artistici sia offrendo esempi fortemente influenzati dall' antichità classica, realizzò il rinnovamento e favorì l'evoluzione artistica in Europa. Per sé Bisanzio riuscì a consolidare teologicamente e artisticamente il dogma del culto delle immagini e a dare soluzioni definitive a tutte le altre eresie cristologiche-spirituali da una parte, a porsi come Magistra Europae per la civiltà occidentale dall'altra.

Quando parliamo dell'arte di Bisanzio, ci riferiamo soprattutto alla capitale, a Costantinopoli cioè, nella quale fiorì l'arte imperiale e prosperarono i grandi laboratori di architetti e pittori che accettavano in tutto il mondo bizantino ordinazioni per la realizzazione di templi, delle chiese di monasteri, di mosaici e di affreschi. Il ruolo direttivo della capitale si realizzò grazie alla sua ecumenicità sovranazionale su tutti i popoli vicini e meno, svelando un'antica arte benedetta dell'ecumene. I popoli vicini ma anche l'Occidente furono colpiti dalla bellezza spirituale, dalla perfezione espressiva, dalla certezza metafisica, dalla pienezza dogmatica e dalla funzionalità sacrale dell'arte bizantina. Erano i messaggi e gli immutabili valori che esprimevano quotidianamente i luoghi di culto interamente affrescati dei bizantini. Inoltre la sacralità orientale delle forme, la qualità didattica dei programmi iconografici, la narratività classica delle narrazioni bibliche e la loro importanza educativa rappresentavano i segni caratteristici attraverso i quali si compiva la trasfigurazione spirituale dei fedeli.

sabato 20 ottobre 2012

San Gregorio Sinaita: scritti sulla preghiera

Originario dell'Asia Minore, la sua vita fu per lungo tempo un seguito di peregrinazioni che lo condussero da Clazomene a Laodicea, a Cipro, al monte Sinai da dove prese il soprannome. Visse nella prima metà del quattordicesimo secolo. Andato a visitare il Monte Athos portò lì la buona novella reclutando qualche discepolo tra cui il suo futuro biografo Callisto, più tardi vescovo di Costantinopoli. Insegnò a tutti i monaci dell'Athos la sobrietà, la custodia della mente, l'orazione mentale.

L'instabilità politica e l'insicurezza del luogo lo costrinsero a nuovi spostamenti. Dopo una prima permanenza in Bulgaria, nella solitaria Parorea, ritornò più tardi per stabilirvisi e morirvi. La Filocalia contiene cinque scritti di Gregorio: un Acrostico sui comandamenti di carattere piuttosto speculativo, alcuni Capitoli diversi e Tre opuscoli molto simili, sulla vita esicasta.

Per Gregorio la vita spirituale consiste nel recuperare, o meglio riscoprire l'"energia" battesimale. Si può riuscirvi attraverso diverse vie. La più breve è quella della preghiera dello spirito: preghiera di Gesù accompagnata dalla tecnica respiratoria. Gregorio, senza dilungarsi molto sul ritmo della respirazione, precisa più di altri l'utilizzo di tale invocazione, allude ad un certo dolore fisico conseguente al metodo, ed espone più dettagliatamente i suoi effetti psicologici: calore, gioia, etc.... Tuttavia in un passo sottolinea con decisione il carattere strettamente relativo della tecnica stessa.

Nutrito della dottrina di Climaco e di Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio domina tutta la restaurazione esicasta del XIII-XIV secolo. Tutta la sua vita fu consacrata all'orazione esicasta e alla sua diffusione. I suoi scritti sono divenuti, in Oriente, preghiera del cuore.

sabato 6 ottobre 2012

Dalla "Lettera agli Efesini" di Sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

Procurate di riunirvi più frequentemente per il rendimento di grazie e per la lode a Dio. Quando vi radunate spesso, le forze di Satana sono annientate ed il male da lui prodotto viene distrutto nella concordia della vostra fede. Nulla è più prezioso della pace, che disarma ogni nemico terrestre e spirituale. Nessuna di queste verità vi rimarrà nascosta se saranno perfetti la vostra fede e il vostro amore per Gesù Cristo. Queste due virtù sono il principio e il fine della vita: la fede è il principio, l'amore il fine. L'unione di tutte e due è Dio stesso, e le altre virtù che conducono l'uomo alla perfezione ne sono una conseguenza.

Chi professa la fede non commette il peccato e chi possiede l'amore non può odiare. "Dal frutto si conosce l'albero" (Mt 12, 33): così quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede fino alla fine.

E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo. E’ cosa buona insegnare, se chi parla pratica ciò che insegna. Uno solo è il maestro, il quale " parla e tutto è fatto " (Sal 32, 9), e anche le opere che egli fece nel silenzio sono degne del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù è in grado di capire anche il suo silenzio e di giungere così alla perfezione. Egli con la sua parola opererà e con il suo silenzio si farà conoscere. Nulla è nascosto al Signore, anche i nostri segreti sono davanti al suo sguardo. Facciamo dunque ogni cosa nella consapevolezza che egli abita in noi, perché possiamo essere suo tempio e perché egli in noi sia il nostro Dio. Così è di fatto e lo vedremo con i nostri occhi se giustamente lo amiamo.

Non illudetevi, fratelli miei, coloro che corrompono le famiglie non erediteranno il regno di Dio (cfr. 1 Cor 6, 9-10). Se coloro che così fecero secondo la carne furono puniti con la morte, quanto più non dovrà essere punito colui che con perversa dottrina corrompe la fede divina, per la quale Gesù Cristo è stato crocifisso? Un uomo macchiatosi di un tale delitto andrà nel fuoco inestinguibile, e così pure chi lo ascolta.

Il Signore ha ricevuto sul suo capo un'unzione preziosa, perché si diffondesse nella sua Chiesa il profumo dell'immortalità. Guardatevi dunque dalle pestifere esalazioni del principe di questo mondo, cioè dai suoi errori, perché non vi trascini in schiavitù, lontano dalla vita che vi aspetta. Perché non diventiamo tutti saggi, ricevendo la conoscenza di Dio, che è Gesù Cristo? Perché corriamo stoltamente alla rovina, per l'ignoranza del dono che il 'Signore ci ha benignamente concesso? Il mio spirito non è che un nulla, ma è associato alla croce, la quale se è scandalo per gli increduli, per noi invece è salvezza e virtù eterna (cfr. 1 Cor 1, 20-23).

domenica 30 settembre 2012

Alcune differenze tra gli offici divini greci e russi e il loro significato

Di Basilio Krivoshein (Arcivescovo di Bruxelles e del Belgio) - Relazione al Congresso Liturgico dell'Istituto Teologico San Sergio di Parigi, il 2 Luglio 1975

Lo scopo di questa relazione non è di esaminare in dettaglio l'evoluzione storica delle forme degli offici divini, l'origine delle specifiche differenze tra greci e russi, il significato dei differenti Tipici in questo processo, né le loro mutue influenze, etc. Io non sono un liturgista, e non mi occupo di queste cose in modo sistematico. Mi limiterò a diversi commenti e osservazioni, di natura più personale, su come si celebrano la Liturgia e altre funzioni nelle chiese greche da un lato, e nelle chiese russe dall'altro. Nel parlare delle chiese di uso greco non dimentico che il Monte Athos non adottò le riforme di Costantinopoli del 1838 e rimase fedele ai Tipici più antichi.

In questa relazione, non mi interesso solo dell'una o dell'altra variante testuale o di una differenza nelle rubriche, ma prima di tutto del significato che gli stessi atti liturgici possono avere nella consapevolezza dei fedeli, e di come questi si possono riflettere nella loro condotta religiosa, anche se tali differenze sono spesso basate su incomprensioni. Queste "varianti liturgiche" possono essere interessanti per comprendere e valutare tali particolarità di pietà popolare.

Inizieremo con alcune osservazioni più o meno ordinarie sulle differenze della celebrazione della Divina Liturgia. Si deve notare che le più grandi differenze tra i greci e i russi nelle loro celebrazioni sono collegate in un modo poco diretto al nostro tema, dato che avvengono nelle cosiddette preghiere "segrete", che non sono udibili alla maggior parte dei laici, e che pertanto non hanno influenza diretta sulla loro condotta. Nondimeno parleremo anche di questi, dato che queste preghiere costituiscono la parte più importante della Liturgia, e dato che il clero che le pronuncia fa parte anch'esso del Popolo di Dio. Lasciando da parte per il momento ciò che precede la Liturgia stessa (la Grande Dossologia per i greci, le Ore per i russi, così come la Proscomidia), ci fisseremo su di una differenza più sostanziale e caratteristica nella Liturgia dei Catecumeni.

domenica 16 settembre 2012

Il padre spirituale

“La paternità spirituale alla luce della tradizione ortodossa” di p. Symeon Koutsas (Ed. Sacra Metropoli di Kalavrita e Aigialeia, Aigion 1995) - Pubblicato originariamente in: http://www.myriobiblos.gr/texts/italian/koutsas_padre.html

A. La formazione dell'istituzione


Il senso dell’istituzione

Ogni uomo possiede un padre secondo la carne, quello a cui deve il suo ingresso nella vita. Il cristiano però, oltre al padre naturale, possiede anche un padre spirituale, quello che lo ha generato secondo lo spirito, che lo ha introdotto nella vita in Cristo e lo guida lungo la via della salvezza. La nascita naturale ci fa entrare nella vita, ci incorpora nella comunità umana; la rinascita in Cristo, un altro genere di nascita, ci fa entrare nella comunione della Chiesa e ci dona la possibilità di vivere la vita stessa di Cristo. Nella Chiesa primitiva, nella quale i credenti ricevevano il battesimo per lo più in età adulta, il padre spirituale di ciascun cristiano era il pastore della comunità che l’aveva accolto con il battesimo e l’aveva guidato alla vita in Cristo. Oggi quasi tutti riceviamo il battesimo da bambini e spesso il padre spirituale del cristiano non è il prete che l’ha battezzato, ma quello che a un certo momento della vita lo ha condotto a prendere coscienza della sua fede e lo guida nella vita cristiana.

L’esempio dell’apostolo Paolo ci consente di presentare il mistero della paternità spirituale in tutta la sua bellezza. Paolo è padre spirituale dei cristiani di Corinto e di molte altre città. Rivolgendosi ai cristiani di Corinto scrive: «Non per farvi vergognare scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante l’evangelo» (1Cor 4, 14). Paolo, insomma, per i cristiani di Corinto non era semplicemente il pedagogo e il maestro in Cristo, ma il padre, colui che li aveva rigenerati secondo lo spirito, colui che li aveva introdotti nella famiglia dei redenti. Il suo cuore apostolico si infiammava d’amore per i suoi figli spirituali e il suo stesso amore paterno in Cristo costituiva la forza motrice della sua sollecitudine apostolica. «Avrei voluto darvi non soltanto l’evangelo, ma la mia stessa vita» (1Ts 2, 8). «Piccoli figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4, 19). Non smetteva di ammonire ciascuno, tra le lacrime, proponendosi per i suoi interlocutori la loro edificazione spirituale e il loro radicamento nella vita in Cristo (cf. At 20, 31; Ef 4, 12-16).

lunedì 10 settembre 2012

La verità sui fatti serbo-croati negli anni quaranta

La spinosa questione tra il Vaticano e la Chiesa Serba riguarda il genocidio di oltre 700.000 Serbi ortodossi da parte dei fascisti Croati di Ante Pavelic tra il 1941 e il 1945. Molti di questi Serbi furono trucidati nel campo di concentramento di Jasenovac, a un centinaio di kilometri da Zagabria. Di questo campo fu comandante il frate francescano Miroslav Filipovic-Maistorovic detto "Frà Satana". Vi trovarono la morte Serbi, Ebrei, Zingari, Musulmani e oppositori politici croati. Molti erano bambini di età compresa fra i tre mesi e i quattordici anni. Le stime delle vittime degli Ustascia nel solo campo di Jasenovac variano da 150.000 a 200.000. Questo numero va inserito nel contesto più generale degli spaventosi massacri avvenuti nello Stato Indipendente di Croazia fra il 1941 e il 1945.

Cliccando su questo link:

http://www.google.it/images?hl=it&q=immagini+jasenovac&rlz=1I7PRFA_it&um=1&ie=UTF-8&source=univ&ei=W7BKTeXsHI2XOq2DldUP&sa=X&oi=image_result_group&ct=title&resnum=1&ved=0CCoQsAQwAA&biw=1276&bih=882

troverete delle foto relative a questo campo. Avverto i lettori che sono immagini davvero terrificanti. Un altro link molto interessante sull'argomento è questo: http://www.altrainformazione.it/wp/la-auschwitz-del-vaticano/ Anche qui vi sono immagini molto crude.

Di questa triste pagina della storia uno dei più foschi protagonisti fu il cardinale Alojsius Stepinac beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1998. Scopriamo il perché in questi articoli.

Serbia: il “nodo Stepinac” e il no a Benedetto XVI

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Il patriarca Irinej

 

La memoria di Costantino e le polemiche sul mancato viaggio del Papa

di Raffaele Guerra
Roma, 9/9/201

sta qui

Dietro il recente rifiuto opposto alla visita di Benedetto XVI ferve una realtà molto complessa. Già da molti mesi, infatti, il Santo Sinodo di Belgrado aveva escluso con fermezza la possibilità di invitare il Papa alle celebrazioni che si terranno il prossimo anno a Nis, in memoria dei 1700 anni trascorsi dalla promulgazione dell’editto di Milano.

Il pomo della discordia è l’annunciata preghiera che il pontefice romano aveva in programma di fare sulla tomba del cardinale Alojzije Stepinac (1898-1960), considerato dai serbi un collaborazionista del regime degli ustascia. “Il Papa”, ha commentato un anonimo esponente del Santo Sinodo serbo, “avrebbe potuto ricevere l’invito se avesse visitato l’ex campo di concentramento di Jasenovac, onorando i circa 700 mila serbi e i quasi 100 mila ebrei e rom uccisi”.

sabato 8 settembre 2012

8 settembre / 26 agosto: L'icona della Madre di Dio di Vladimir (Vladimirskaja)

“Oggi, luminosa e bella, la gloriosa città di Mosca accoglie come aurora la tua miracolosa icona, o Sovrana”. Ad essa noi accorriamo e supplici così t'invochiamo: “O meravigliosa Regina, Madre di Dio, prega Cristo, nostro Dio in te incarnatosi, di conservare questa città e tutte le città e regioni cristiane libere dalle insidie nemiche, e di salvare, come il Misericordioso, le nostre anime” (Invocazione del tropario principale dell'ufficio della festa del 26 agosto).

Tutte le icone antiche, specie quelle più miracolose, cui la devozione del popolo è molto forte, hanno in comune la tradizione che le vuole dipinte dallo stesso San Luca. Tradizione con ogni probabilità vera se si considera San Luca non come il personaggio storico in quanto tale, ma come l’iconografo perfetto, cioè colui che dopo la preghiera ed il “digiuno degli occhi” riceve la Grazia dello Spirito e divenendo il “dito di Dio”, “scrive” su una tavola di legno quella Luce increata diversamente non visibile ai nostri occhi. Per Grazia ed attraverso lo Spirito l’Immagine diviene prototipo e quindi finestra sul Cielo. E’ interessante notare come secondo la fonte cui si attinge, San Luca dipinse complessivamente sette o settanta icone, o addirittura, come qualcuno sostiene, soltanto tre (un’Odigitria, una Elousa e una icona del Segno). E’ molto probabile però che dietro questa tradizione si nasconda soltanto la dottrina evangelica del perdono. Le icone servono ad avvicinarsi a Dio, ma perché questo avvenga, il cuore del fedele che le contempla deve essere puro, diviene quindi necessario raggiungere questa purezza attraverso il perdono divino. Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. (Mt. 18,21-22).

lunedì 3 settembre 2012

Messaggio del Patriarca ecumenico per la salvaguardia del creato

Messaggio di Sua Santità Bartolomeo, per Grazia di Dio Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma, e Patriarca ecumenico, nel giorno dell’indizione del nuovo anno ecclesiastico.

+ B A R T O L O M E O


PER GRAZIA DI DIO
 ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
 E PATRIARCA ECUMENICO


CHE LA GRAZIA, LA PACE E LA MISERICORDIA
 DEL CRISTO SALVATORE GLORIOSAMENTE RISORTO SIANO CON TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA 


S.S. Bartolomeo I

Fratelli e figli diletti nel Signore,

Dio ha creato l’Universo e ha formato la terra come una perfetta abitazione per l’uomo, e ha dato a lui il comandamento e la possibilità di svilupparsi, di moltiplicarsi, di riempirla e di governare su essa e su tutti gli animali e le piante che sono in essa (Gen. 1, 28).

Il mondo che ci circonda ci è stato dunque donato dal Creatore come un campo di attività sociale, ma anche di santificazione, in attesa della restaurazione della creazione nel secolo futuro. Da sempre la Santa e Grande Madre Chiesa di Cristo sostiene e vive questa posizione teologica, perciò anche la Nostra Umile Persona è stata posta, com’è noto, a capo della iniziativa ecologica, ripresa dal nostro Sacratissimo Trono Ecumenico, per la protezione del nostro assai travagliato pianeta, volontariamente e involontariamente.

domenica 2 settembre 2012

Il Santo Mandylion

Racconto tratto dal “Sinassario del Mandylion” che data intorno all'anno 1000. Un sinassario è un testo che informa sul contenuto e sull’oggetto di una festa.

Abgar era toparco, cioè governante, re, di Edessa (l’odierna Urfa, in Turchia) e soffriva insieme di lebbra e di gotta. Aveva provato invano ogni medico e medicina. Venne a sapere dei miracoli che Gesù operava a Gerusalemme in mezzo alla ingratitudine dei giudei. Allora, nei giorni della passione, egli chiamò a sè un certo Anania (o Hanna), suo segretario e ottimo ritrattista, e gli affidò un doppio incarico: consegnare una lettera a Gesù e farne un ritratto il più fedele possibile.

Il testo della lettera era:

Abgar, toparco della città di Edessa, a Gesù Cristo eccellente medico apparso a Gerusalemme, salve!

Ho sentito parlare di te e delle guarigioni che operi senza medicamenti. Raccontano infatti che fai vedere i cechi, camminare gli zoppi, che mondi i lebbrosi, scacci i demoni e gli spiriti impuri, risani gli oppressi da lunghe malattie e resusciti i morti. Avendo udito di te tutto questo mi è venuta la convinzione di due cose: o che sei figlio di quel Dio che opera queste cose, o che tu sei Dio stesso. Perciò ti ho scritto pregandoti di venire da me e di risanarmi dal morbo che mi affligge e di stabilirti presso di me. Perché ho udito che i giudei mormorano contro di te e ti vogliono fare del male. La mia città è molto piccola, è vero, ma onorabile e basterà a tutti e due per vivere in pace.

lunedì 27 agosto 2012

Una critica ecclesiologica del Sinodo della Resistenza

Sul sito della Parrocchia ortodossa San Massimo di Torino, il nostro fratello e concelebrante P. Ambrogio ha tradotto un interessante ed illuminante articolo che riporto ai lettori di questo spazio. L’introduzione in corsivo è del P. Ambrogio.

L’originale in inglese lo trovate qui, la traduzione è qui.

Dopo oltre trent'anni di propaganda di stupidaggini ecclesiologiche da parte del Sinodo della Resistenza (che è stato, in più o meno larga misura, alla radice di tutte le organizzazioni scismatiche "ortodosse" in Italia), è un vero piacere veder apparire sul blog ortodosso "Mystagogy" un recente articolo di rara chiarezza sulla contraddizione ecclesiologica di base nel voler creare una contro-Chiesa in quella stessa Ortodossia di cui "si riconosce la grazia". Traduciamo e mettiamo volentieri l'articolo nella sezione "Confronti" del nostro sito. Avremmo anche noi qualche considerazione da aggiungere su questo tema in fondo piuttosto meschino, ma preferiamo lasciare la parola a figure dell'Ortodossia recente quali i padri Giovanni Romanidis, Giorgio Florovsky ed Epifanio Theodoropoulos.

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Nella sua conferenza dal titolo "Dialoghi ortodossi-eterodossi e il Consiglio Mondiale delle Chiese" tenuta presso il St. Vladimir's Seminary il 23 maggio 1980, padre Giovanni Romanidis cita quanto segue riguardo all'ecclesiologia tradizionalista del Sinodo della Resistenza del Metropolita Cipriano:

"Le quindici Chiese ortodosse canoniche, che annoverano circa 300 milioni di cristiani ortodossi, hanno inviato i loro rappresentanti a Salonicco per incontrarsi tra loro tra il 29 aprile e 2 maggio, al fine di affrontare una nuova eresia vecchio-calendarista. Questo nuovo fenomeno di agostiniani anti-ecumenisti è guidato in Grecia dal cosiddetto metropolita ortodosso Cipriano di Filì e negli Stati Uniti dal cosiddetto arcivescovo ortodosso Crisostomo di Etna, California. Sono stati colti in flagrante nel tentativo di stabilire la loro eresia agostiniana posando come nemici dell'ecumenismo in paesi come la Russia, la Bulgaria, la Serbia, la Georgia, ecc. Cipriano di Fili originariamente era stato un prete di nuovo calendario della Chiesa ufficiale di Grecia, ma alcuni anni fa ha aderito a una chiesa vecchio-calendarista. Si sospetta che dietro questo movimento vi sia chi sta cercando di penetrare i paesi ortodossi con le eresie di Agostino, con il pretesto dell'ortodossia tradizionale anti-ecumenista del Vecchio Calendario. Posando come ortodossi tradizionali super-conservatori, Cipriano di Fili e Crisostomo di Etna sono stati molto impegnati a cercare di promuovere e difendere le eresie di Agostino tra gli ortodossi, come si può facilmente vedere nelle loro pubblicazioni. Ciò che è interessante è il fatto che sia i latini che i protestanti considerano Agostino come il padre fondatore di entrambe le teologie latina e protestante. Pertanto, ciò che viene detto in questa introduzione circa la cura della malattia della religione si applica allo stesso modo a Cipriano di Fili e Crisostomo di Etna e al loro tentativo di penetrazione dei paesi ortodossi tradizionali con la teoria della malattia della religione".

giovedì 23 agosto 2012

La forza di amare è in noi stessi

Dalle "Regole Diffuse" di San Basilio il Grande, vescovo di Cesarea di Cappadocia

L'amore di Dio non è un atto imposto all'uomo dall'esterno, ma sorge spontaneo dal cuore come altri beni rispondenti alla nostra natura. Noi non abbiamo imparato da altri né a godere la luce, né a desiderare la vita, né tanto meno ad amare i nostri genitori o i nostri educatori. Così dunque, anzi molto di più, l'amore di Dio non deriva da una disciplina esterna, ma si trova nella stessa costituzione naturale dell'uomo, come un germe e una forza della natura stessa. Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità ed anche il bisogno di amare.

L'insegnamento rende consapevoli di questa forza, aiuta a coltivarla con diligenza, a nutrirla con ardore e a portarla, con l'aiuto di Dio, fino alla sua massima perfezione. Voi avete cercato di seguire questa via. Mentre ve ne diamo atto, vogliamo contribuire, con la grazia di Dio e per le vostre preghiere, a rendere sempre più viva tale scintilla di amore divino, nascosta in voi dalla potenza dello Spirito Santo.

Diciamo in primo luogo che noi abbiamo ricevuto antecedentemente la forza e la capacità di osservare tutti i comandamenti divini, per cui non li sopportiamo a malincuore come se da noi si esigesse qualche cosa di superiore alle nostre forze, né siamo obbligati a ripagare di più di quanto ci sia stato elargito. Quando dunque facciamo un retto uso di queste cose, conduciamo una vita ricca di ogni virtù, mentre se ne facciamo un cattivo uso, cadiamo nel vizio.

Infatti la definizione del vizio è questa: uso cattivo e alieno dai precetti del Signore, delle facoltà che egli ci ha dato per fare il bene. Al contrario la definizione della virtù che Dio vuole da noi è: uso retto delle medesime capacità, che deriva dalla buona coscienza secondo il mandato dei Signore.

La regola del buon uso vale anche del dono dell'amore. Nella stessa nostra costituzione naturale possediamo tale forza di amare anche se non possiamo dimostrarla con argomenti esterni, ma ciascuno di noi può sperimentarla da se stesso e in se stesso. Noi, per istinto naturale, desideriamo tutto ciò che è buono e bello, benché non a tutti sembrino buone e belle le stesse cose. Parimenti sentiamo in noi, anche se in forme inconsce, una speciale disponibilità verso quanti ci sono vicini o per parentela o per convivenza, e spontaneamente abbracciamo con sincero affetto quelli che ci fanno del bene.

Ora che cosa c'è di più ammirabile della divina bellezza? Quale pensiero è più gradito e più soave della magnificenza di Dio? Quale desiderio dell'animo è tanto veemente e forte quanto quello infuso da Dio in un'anima purificata da ogni peccato e che dice con sincero affetto: lo sono ferita dall'amore? (cfr. Ct 2, 5). Ineffabili e inenarrabili sono dunque gli splendori della divina bellezza.

venerdì 17 agosto 2012

Dalle "Catechesi" di san Cirillo, vescovo di Gerusalemme: il Simbolo della Fede

Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.

Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal 1, 8).

Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento.

Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore. Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate. Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di Ciò che vi è stato donato.

«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservare intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.

Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.

domenica 12 agosto 2012

Dalle Omelie di San Giovanni Crisostomo: sulla carità

La carità è la madre dell’amore, di quell’ amore che caratterizza il cristianesimo, dell’amore che è superiore a ogni miracolo, e che distingue i discepoli di Cristo. La carità agisce come medicina per i nostri peccati, come detersivo che deterge la nostra anima, come scala che porta in cielo. Insieme con la preghiera continua il cristiano ha bisogno anche di praticare continuamente la carità perché la carità è potente sopra ogni cosa e prepara la medicina del perdono.

Neanche la natura dell’acqua ha la forza e la capacità di pulire e di togliere la sporcizia del corpo quanto la forza della carità riesce a pulire la nostra anima. Così come non dovresti, con le mani macchiate dal peccato, cominciare la preghiera, allo stesso modo non dovresti pregare senza praticare la carità verso i nostri fratelli bisognosi. La preghiera è come il fuoco, soprattutto quando proviene da un cuore puro e timoroso di Dio, questo fuoco, però, per arrivare alle volte celesti, ha bisogno di essere alimentato dall’olio; e l’olio che alimenta questo fuoco è la carità verso i nostri fratelli. Dunque, versa olio abbondante, per sentire la gioia e per ottenere che la tua preghiera sia fatta con più vigore. Il seme si chiama carità. Il seminatore, quando va a seminare, non considera che facendo ciò svuota i suoi granai, ma guarda avanti pensando al tempo in cui raccoglierà il frutto della sementa. Perché non esitiamo quando si tratta di seminare sulla terra, nonostante sappiamo delle malattie e degli animali che rovinano il nostro raccolto, ma esitiamo quando si tratta di seminare in cielo? E quale giustificazione troverai quando, seminando sulla terra, speri, facendolo di buon grado, mentre quando dovresti seminare in cielo esiti e ti disinteressi?

mercoledì 8 agosto 2012

Parliamo di musica: Il canto russo znamenny (znamenny raspjev)

Di Dawn Gauthier



 L'illustrazione mostra la notazione znamenny con le lettere rosse Shaidurov (cinnabar) che designano l'altezza e l'inflessione di tono. L'estratto è un Irmos, parte di uno dei nove cantici che introducono un tropario o un inno d'una festa. L'illustrazione è tratta dal libro Irmosy tserkovanago znamenny penia, pubblicato dal Knigoizdatelstvo Znamenny Peniye, Kiev, 1913. (Nicholas Brill, History of Russian Church Music, Bloomington, IL: Nicholas Brill, 1980)

Introduzione al canto znamenny

Come regola generale per orientarci in questo campo, si deve dire che il canto liturgico cristiano è stato trascurato dai più per molti anni per il suo non facile accesso. Come ogni musica, il canto liturgico può essere superficialmente trovato bello, tuttavia un vero apprezzamento su di esso può nascere solo attraverso una completa comprensione della sua storia e del suo processo di composizione. In questo modo il canto liturgico può essere comparato addirittura alla musica dodecafonica del ventesimo secolo; è raro che le persone lo apprezzino pienamente senza comprendere com'è stato composto.

martedì 31 luglio 2012

Metropolita Anthony (Bloom +2003): "La preghiera giorno dopo giorno"

Metropolitan Anthony arranged for Daily Reading, by H. Wybrew, Springfield 1988 - traduzione: Riccardo Larini, edizioni Qiqajon – Comunità di Bose

PREFAZIONE

Nella premessa a Vivere nella chiesa ci era parso importante sottolineare l’ecclesialità dell’agire del Metropolita Anthony Bloom, quasi un trait-d’union delle molteplici forme assunte dal suo servizio alla Chiesa ortodossa russa e ai tanti lettori dei suoi scritti spirituali. Una visione della chiesa come “madre di tutti degli uomini”, capace di farlo amare da molti cristiani non ortodossi, e da tantissimi non credenti, per anni fedeli ascoltatori delle sue parole di speranza; ma, ed è ciò che ci ha spinto a presentare al pubblico questo lavoro, un’ecclesialità fondata su un profondo spirito di preghiera.

Anthony Bloom ha scritto soprattutto su quest’ultimo tema, e quasi tutti i suoi libri sono stati tradotti in moltissime lingue, compreso l’italiano. Perché allora procedere a una nuova raccolta di suoi scritti sulla preghiera? Almeno per due ragioni. La prima è che ben pochi autori mostrano come Anthony Bloom una semplicità, coniugata a una notevole profondità spirituale. E la semplicità di chi possiede una visione lucida della realtà che vuole descrivere, ma è soprattutto la semplicità di cuore che cresce e si invera a partire da una profonda vita di preghiera. Dalle righe degli scritti del nostro autore emerge con forza l’indicibile esperienza di un profondo rapporto con il Signore. Così presi per mano, siamo condotti, passo dopo passo, giorno dopo giorno, alla scoperta di un possibile itinerario di preghiera.

giovedì 26 luglio 2012

Parliamo di musica: Influenze del canto bizantino in Occidente

di Silvia Peruchetti

Il canto greco-bizantino ebbe numerosi contatti con la civiltà musicale occidentale, tanto da influenzare largamente quest'ultima per tutta la durata del Medioevo.

L'influenza bizantina sulla musica medievale occidentale

E' universalmente noto che Bisanzio esercitò una fortissima influenza sull'arte occidentale e, soprattutto durante il 1400, anche sulla filosofia e la letteratura umanistica; meno noti, ma non per questo meno importanti, sono invece gli influssi in campo musicale, destinati ad avere ripercussioni anche per molti secoli a venire.

Influenze sul canto ambrosiano (o milanese)

Il canto ambrosiano, monodico e liturgico come quello greco-bizantino, ebbe origine dal confluire di diverse tradizioni (canto romano antico, canto franco/gallicano, canti greco-siriaci e greco-bizantini) e dall'opera di grandi personaggi come Ambrogio (vescovo dal 374 al 397, e dal quale il canto prende il nome), che ebbero il merito di introdurre forme liturgico-musicali sconosciute fino ad allora in Occidente ma ben note alla Cristianità d'Oriente. Il rito ambrosiano è inoltre l'unico tra i repertori locali creati dalle chiese occidentali (oltre a quello romano) ad essere pervenuto fino ai nostri giorni per tradizione ininterrotta.

L'influsso greco-siriaco poté avere inizio fin dall'ingresso del Cristianesimo nella regione lombarda, testimoniato anche dalla presenza di vescovi orientali, eretici ariani, ecc...; nei secoli successivi le vicende storico-religiose (trasferimento della capitale da Milano a Ravenna; esilio dell'alto clero milanese a Genova, città che era nell'orbita dell'influsso bizantino-ravennate; ecc…) aprirono le porte a nuovi elementi orientali, tanto che non è difficile cogliere echi di una sicura presenza bizantina anche nell'attuale repertorio milanese – alcune melodie presentano un testo che è una mera traduzione da originali bizantini; altri canti presentano invece uno stile decisamente affine a quello greco-bizantino, non coincidente con quello tradizionale dell'Occidente.

domenica 22 luglio 2012

La Verità

Una omelia del Vescovo Nicolaj (Velimirovic)

Non bisogna chiedere cosa sia la verità. Pilato ha chiesto a Cristo "cos’è la verità?" e non ha ricevuto nessuna risposta. Cristo non ha voluto rispondere ad una domanda sbagliata. Ci possiamo chiedere se Pilato avrebbe saputo formulare correttamente la domanda. Avrebbe dovuto chiedere - "Chi" è la verità? Se avesse chiesto così avrebbe avuto la risposta: "Io sono la Verità" gli avrebbe risposto Cristo, così come in precedenza aveva detto ai suoi discepoli: "Io sono la Via, la Verità, la Vita"

Capite, fratelli miei, di cosa sto parlando, sto parlando della frustrazione con la quale il Signore così spesso frustra l’Europa. Uno dei principali motivi è che l’Europa eretica da tanti secoli fa a Cristo la stessa domanda di Pilato: cos'è la verità? fin dal momento della separazione dalla antica Chiesa, apostolica ed ortodossa. Se chiedesse correttamente - Chi è la Verità - avrebbe la risposta: la Verità è personale, la Verità è Dio, e non è una cosa. La Verità è "Lui" e non "ciò" La Verità è Colui che che è sempre uguale e non ciò che continuamente muta. La Verità è la Divina Personalità Trinitaria, eguale nei secoli, immutabile, non passeggera, indipendente, intoccabile, irresistibile, Alfa ed Omega del tutto vivente, l’inizio e la fine del creato, la fiamma della luce che mai si spegne, la culla della vita, la Mente e la Sapienza che sorge ad Oriente, l’immenso ed irresistibile Amore, lo Spirito della Vita che tutto risuscita, la Parola che fa ogni cosa, la Gioia che supera ogni canto, la Pace che sorpassa ogni intendimento, la Capacità di realizzazione che supera ogni sogno, l’Artista che insegna l’arte alle formiche, alle api, agli uccelli ed agli uomini.

venerdì 20 luglio 2012

Dire "Amen" alla nostra Storia

di Padre John Shimchick - Articolo tratto da "Jacob's Well", Giornale della Diocesi di New York e New Jersey, Chiesa Ortodossa in America.

Tutto inizia nella metà del sesto secolo come innovazione liturgica. l'imperatore Giustiniano viene a conoscenza che alcuni sacerdoti, nell'area di Costantinopoli e nelle sue province, iniziavano a recitare le preghiere Eucaristiche e quelle battesimali sommessamente (a voce, quindi, non udibile ).

L'imperatore stesso protestò vigorosamente e nell'intento di contrastare questo, ed altri abusi che venivano praticati nella vita della Chiesa, nel 565 Pubblicò la Novella 137, in questo documento troviamo la seguente asserzione: "Più volte Noi ordiniamo a tutti i Vescovi e Sacerdoti di recitare le preghiere della Divina Oblazione e del Santo Battesimo non in voce inaudibile, ma in modo che esse possano essere ascoltate dal Popolo fedele, così che le loro menti siano stimolate ad una compunzione maggiore." [1] Nonostante i suoi sforzi, Giustiniano non riuscì a fermare questa pratica.

Questa situazione "aprì la strada ad un cambiamento fondamentale non solo nell'ambito delle pratiche liturgiche ma anche nel sentimento eucaristico popolare". [2] Da questo momento in poi si sviluppa una concezione più allegorica della liturgia. Ogni azione, che prima aveva un significato strettamente pratico, ora assume altri significati, spesso relativi alla Vita di Gesù Cristo: Il Piccolo Ingresso simboleggia il Suo ministero pubblico, il Grande Ingresso si fa allegoria della Sua sepoltura.

lunedì 16 luglio 2012

La preghiera di Gesù nella spiritualità esicasta

Di P. Placide Deseille, tratto da: La Prière de Jésus dans la Spiritualité Hésychaste - Monastère Saint Antoine le Grand.

Da una trentina d’anni, numerose pubblicazioni hanno rivelato agli Occidentali un metodo di vita spirituale familiare ai cristiani d’Oriente, il cui momento principale è dato dall’invocazione ripetuta incessantemente:“Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore ”.

Motivatamente parliamo di metodo di vita spirituale: perché la Preghiera di Gesù non può essere considerata una semplice orazione giaculatoria paragonabile a quelle raccomandate dalla pietà cattolica, anche se il metodo occidentale delle “aspirazioni” possa collegarsi allo stesso filone tradizionale risalente ai Padri del deserto.

Ma la Preghiera di Gesù è inseparabile da una dottrina di vita spirituale che i cristiani bizantini e slavi considerano volentieri il cuore dell’ortodossia: l’esicasmo. Perciò, se si vuole cogliere il significato e la portata dell’invocazione del Nome di Gesù nella spiritualità ortodossa, è indispensabile conoscere le grandi linee di questa dottrina.

Le origini del metodo

La via esicasta poggia su un doppio fondamento: la dottrina della deificazione dell’uomo in Cristo, così come formulata dai Padri della Chiesa greca, e l’insegnamento pratico dei Padri del deserto sulla custodia del cuore e la preghiera continua. Messi di fronte alle eresie trinitarie e cristologiche, i grandi vescovi e i teologi dell’Oriente elaborarono una dottrina che non era puramente speculativa, ma coinvolgeva profondamente una concezione del destino spirituale dell’uomo. Come ripeteranno instancabilmente di fronte ai negatori della consustanzialità del Verbo o delle due nature di Cristo, se il Verbo non è Dio, l’uomo non può essere divinizzato; se una natura umana integrale non è stata unita “senza separazione né confusione” alla natura divina in Cristo, l’uomo non può più essere salvato e divinizzato. Divinizzazione che veniva concepita in maniera estremamente realistica, non indubbiamente come unione ipostatica di ogni persona umana con l’essenza divina, ma come una compenetrazione vitale dell’agire increato di Dio, alla guisa e nel prolungamento della deificazione della natura umana di Cristo.

lunedì 9 luglio 2012

Un discorso ispirato e profetico di San Justin Popovic: La cultura europea e il Cristianesimo

Da “Svetosavlje kao filosofija zivota” 1953

La cultura europea ha per fondamento l’uomo e nell’uomo si esauriscono il suo programma ed il suo fine, i suoi mezzi ed il suo contenuto. L’Umanesimo ne è il principale architetto. Essa infatti è costruita sul principio: L’uomo – quello europeo – è misura di tutte le cose, di quelle visibili e di quelle invisibili. Egli è il sommo creatore dei valori e colui che li distribuisce. La verità è quella che egli proclama come tale; il bene ed il male sono ciò che egli riconosce come tali. Per dirla in breve e con chiarezza: l’uomo europeo s’è proclamato dio. Non vi siete forse accorti come egli ami atteggiarsi a dio, con la scienza e con la tecnica, con la filosofia e con la politica, con l’arte e con la moda – si atteggia a dio ad ogni costo, sia pur con l’Inquisizione e con il Papismo, con il ferro ed il fuoco, e perché no? Anche con il trogloditismo ed il cannibalismo? Con il linguaggio della sua scienza umanistico-positivistica ha dichiarato che Dio non esiste. E guidato da questa logica coraggiosamente ha concluso da tutto ciò: Visto che non c’è Dio, sono io dio!

Nulla ama tanto l’uomo europeo quanto atteggiarsi a Dio, sebbene nell’universo sia come un topo in trappola. Per dimostrare la sua divinità, ha dichiarato che tutti i mondi che stanno sopra di noi sono vuoti, senza Dio e senza esseri viventi. Egli a qualsiasi costo vuole soggiogare la natura, per cui ha organizzato una campagna sistematica contro la natura ed a tale campagna ha dato il nome di cultura. In quest’opera ha impegnato la sua filosofia e la sua scienza, la sua religione e la sua etica, la sua politica e la sua tecnica. Ed è riuscito a levigare un pezzettino della crosta della materia, ma non l’ha trasformata. Lottando con la materia, l’uomo non è riuscito a renderla umana, ma essa è riuscita a limitarlo ed a renderlo superficiale, a ridurlo a materia. Ed egli, circondato da essa, si riconosce in essa.

mercoledì 4 luglio 2012

L’icona “Il Roveto ardente”

L'icona della Madre di Dio detta "Roveto ardente" deve il suo nome al miracolo testimoniato da Mosè stesso nel vecchio testamento. Nel III capitolo dell'Esodo, Dio chiama Mosè sul monte Oreb, dal mezzo di un cespuglio che bruciava a fuoco vivo, ma senza consumarsi egli ode la voce di Dio che gli comunica l'incarico di salvare gli Ebrei dalla schiavitù in Egitto. In quella occasione Dio confida a Mosè il suo nome: "Io sono Colui che sono" (Esodo 3, 14).

La Chiesa rifacendosi alla tradizione dei Santi Padri ed ai suoi Concili Ecumenici, ritiene che le fiamme che Mosè vide erano di fatto la Gloria di Dio fattasi luce, e preannunciatrice della Trasfigurazione di Gesù; ecco perché il cespuglio non si poteva mai consumare. Dio concesse a Mosè di vedere la sua Gloria, che come la sua essenza stessa è eterna, quindi non consumabile. Quando Dio parlò a Mosè, questi udì la Parola del Verbo (Logos) prima ancora dell'incarnazione. La visione della gloria di Dio, come luce in questa vita come nella prossima coincide con il fatto salvifico stesso. Il miracolo del Cespuglio ardente consiste quindi in una prefigurazione della nascita di Gesù dalla Vergine Maria. La Vergine diede alla luce il Cristo pur rimanendo tale, esattamente come il cespuglio che brucia ma non si consuma.

lunedì 2 luglio 2012

La rivelazione miracolosa dell’icona della Resurrezione e delle Dodici Feste

Breve storia di un’antica icona (probabilmente del XVII secolo), che si è rivelata miracolosamente il 20 ottobre 1935

Icone_de_la_Resurrection

Una parrocchiana, di nome N., della chiesa di Asnières notò un giorno una tavola con la quale alcuni bambini stavano giocando, rigandola e trafiggendola di chiodi. La forma e l’aspetto della tavola facevano pensare a un’icona, sicché N. la prese in consegna e la portò in chiesa. La tavola-icona, nera e indecifrabile, fu affidata ad un iconografo-restauratore che non poté fare nulla per rimetterla in sesto. Alla fine venne collocata nel presbiterio, con buona pace di N., che chiamava quest’icona martire, dal momento che «essa portava, come nostro Signore, il segno dei chiodi».

Nel 1935 l’icona venne portata nella cappella di una piccola comunità monastica a Rozay en Brie. Le sorelle decisero di affiggerla a una parete poco illuminata affinché passasse inosservata, dal momento che non poteva essere venerata a causa del suo stato di illeggibilità. Il Metropolita Evlogij era atteso il 20 ottobre 1935 per la benedizione della nuova cappella. Il mattino di quel giorno le suore, intente nei preparativi, furono testimoni del miracolo. N., colei che aveva recuperato l’icona, scese nella cappella e trovò l’icona splendente in tutta la sua bellezza, pienamente leggibile nei suoi dettagli e nei suoi colori: si rivelava essere un’icona della Resurrezione e delle Dodici grandi Feste dell’anno liturgico.

L’icona era meravigliosa e sembrava vivere di una luce che proveniva dall’interno; successivamente i graffi si coprirono con un filetto d’oro, allo stesso modo in cui guariscono le ferite di un corpo umano. Il dettaglio più trascurabile appariva chiaramente: si potevano, ad esempio, contare i peli della coda del puledro d’asina sul quale Cristo entrava in Gerusalemme. Appreso del miracolo il metropolita Evlogij e i suoi sacerdoti decisero di dedicare la chiesa alla Resurrezione di Cristo. La comunità di Rozay en Brie fu chiusa nel 1972 e l’icona fu solennemente riportata a Asnières, dov’è venerata ancora oggi.

giovedì 28 giugno 2012

La preghiera di Gesù: mistero della spiritualità ortodossa

Di Élisabeth Behr-Sigel

Da «La douloureuse joie: Aperçus sur la prière personnelle de l’Orient chrétien. Éditions de l’Abbaye de Bellefontaine, 1981».

1. L’opera spirituale

Uno tra gli elementi più importanti della preghiera monastica nella Chiesa ortodossa è la “Preghiera di Gesù” chiamata anche “preghiera” o “azione spirituale”. La sua forma esterna – si potrebbe dire la sua realtà “materiale”– è la ripetizione più frequente possibile del Nome di Gesù Cristo, associata alla preghiera del pubblicano (Lc 18,14) e si esprime in questi termini: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore”.

La sua essenza spirituale è “la discesa della mente nel cuore”, giungendo, attraverso la purificazione del pensiero e la memoria costante di Gesù Cristo, all’illuminazione dell’uomo interiore attraverso la Grazia divina e la presa di coscienza dell’abitazione mistica in sé dello Spirito Santo.

La pratica di questa preghiera è una tradizione antica e venerabile della Chiesa d’Oriente. Essa proviene da una corrente spirituale che risale ai Padri del deserto della quale l’insegnamento dei grandi pensatori cristiani del III e del IV secolo è l’espressione teologica.

Male o poco conosciuta in Occidente, tale grande tradizione mistica, in qualche sorta anima della teologia orientale, ha suscitato comunque ricerche e lavori interessanti. Ma questi studi, scritti da specialisti di letteratura patristica greca ignoravano generalmente le forme più recenti che riguardano la tradizione antica praticata dalle chiese slave e greche moderne, tradizione vivente al di fuori della quale gli antichi testi rimangono spesso incomprensibili al punto che Padre I. Hausherr scriveva: “La questione dell’esicasmo non presenta solo un interesse storico – sufficiente del resto a meritargli l’attenzione dei ricercatori in questi tempi di rinnovamento degli studi ascetici e mistici – essa non ha perso la sua attualità nell’Oriente ortodosso. Alcuni pensano pure che, tra tutte le questioni il cui studio s’impone – in chi s’interessa dell’avvenire religioso greco o slavo – questa è la più importante”. Noi aggiungiamo che la letteratura ascetica e mistica russa, che potrebbe fornire degli insegnamenti preziosi sulla permanenza e il rinnovamento della pratica della preghiera spirituale, resta quasi totalmente sconosciuta in Occidente.

domenica 24 giugno 2012

Dal “Commento sui Salmi” di sant’Ambrogio, vescovo di Milano

Apri la tua bocca alla parola di Dio

Sia sempre nel nostro cuore e sulla nostra bocca la meditazione della sapienza e la nostra lingua esprima la giustizia. La legge del nostro Dio sia nel nostro cuore (cfr. Sal 36, 30). Per questo la Scrittura ci dice: " Parlerai di queste cose quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai " (Dt 6, 7). Parliamo dunque del Signore Gesù, perché egli è la Sapienza, egli è la Parola, è la Parola di Dio. Infatti è stato scritto anche questo: Apri la tua bocca alla parola di Dio.

Chi riecheggia i suoi discorsi e medita le sue parole la diffonde. Parliamo sempre di lui. Quando parliamo della sapienza, è lui colui di cui parliamo, così quando parliamo della virtù, quando parliamo della giustizia, quando parliamo della pace, quando parliamo della verità, della vita, della redenzione, è di lui che parliamo. Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla. Per questo Davide ha detto: Ascolterò che cosa dice in me il Signore (cfr. Sal 84, 9) e lo stesso Figlio di Dio dice: " Apri la tua bocca, la voglio riempire " (Sal 80, 11). Ma non tutti possono ricevere la perfezione della sapienza come Salomone e come Daniele. A tutti però viene infuso lo spirito della sapienza secondo la capacità di ciascuno, perché tutti abbiano la fede. Se credi, hai lo spirito di sapienza. Perciò medita sempre, parla sempre delle cose di Dio, " quando sarai seduto in casa tua " (Dt 6, 7).

Per casa possiamo intendere la chiesa, possiamo intendere il nostro intimo, per parlare all'interno di noi stessi. Parla con saggezza per sfuggire al peccato e per non cadere con il troppo parlare. Quando stai seduto parla con te stesso, quasi come dovessi giudicarti. Parla per strada, per non essere mai ozioso. Tu parli per strada se parli secondo Cristo, perché Cristo è la via. In cammino parla a te stesso, parla a Cristo. Senti come devi parlargli: " Voglio, dice, che gli uomini preghino dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese " (1 Tm 2, 8).

Parla, o uomo, quando ti corichi affinché non ti sorprenda il sonno dì morte. Senti come potrai parlare sul punto di addormentarti: " Non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non trovi una sede per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe "(Sal 131, 4-5). Quando ti alzi, parlagli per eseguire ciò che ti è comandato. Senti come Cristo ti sveglia. La tua anima dice: " Un rumore! E’ il mio diletto che bussa " (Ct 5, 2) e Cristo dice: " Aprimi sorella mia, mia amica " (Ivi). Senti come tu devi svegliare Cristo. L'anima dice: " Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, svegliate, ridestate l'amore " (Ct 3, 5). L'amore è Cristo.

giovedì 21 giugno 2012

Chi è il padre spirituale?

Di Mons. Kallistos Ware, The Orthodox Way, S. Vladimir’s Seminary Press

L’anziano o ‘vegliardo’, noto in greco come “gheron” e in russo come “starets”, non deve essere necessariamente avanti con gli anni. Piuttosto deve essere saggio alla luce della sua esperienza della verità divina, benedetto dalla grazia della “paternità nello spirito”, con il carisma di guidare gli altri sulla Via. Ciò che offre ai suoi figli spirituale non è primariamente un’istruzione morale o una regola di via, ma un rapporto personale. «Uno starets», dice Dostoevsky, «è uno che prende la tua anima e la tua volontà, nella sua anima e nella sua volontà» I discepoli di Padre Zaccaria erano soliti dire di lui: «E’ come se si portasse i nostri cuori in mano».

Lo starets è l’uomo della pace interiore, al cui fianco migliaia di persone possono trovare la salvezza. Lo Spirito Santo gli ha donato il frutto della sua preghiera e della rinuncia a se stesso, il dono del discernimento, permettendogli di leggere i segreti dei cuori degli uomini; e così egli risponde, non solo alle domande che gli altri gli rivolgono, ma anche a quelle domande – spesso più fondamentali – che non hanno nemmeno pensato di porre. Insieme al dono del discernimento egli possiede il dono della guarigione spirituale – il potere di guarire le anime degli uomini, e talvolta anche i loro corpi. Questa guarigione spirituale viene fornita non solo attraverso parole di consiglio ma attraverso il silenzio e la presenza. Per quanto sia importante il consiglio, molto più importante è la sua preghiera di intercessione. Prega costantemente per i propri figli, si identifica con loro, considera le loro gioie e i loro dolori come suoi propri, prende sulle spalle il peso della loro colpa o della loro ansietà. Nessuno può essere starets se non prega insistentemente per gli altri.

domenica 17 giugno 2012

La Preghiera di Gesù nella Tradizione della Chiesa

dal libro del vescovo Ignatij Brjančaninov: Preghiera e lotta spirituale, ed Gribaudi.

La formula

La preghiera di Gesù si dice in questo modo: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio abbi pietà di me, peccatore. In origine, la si diceva senza la parola peccatore; questa è stata aggiunta più tardi alle altre parole della preghiera. Tale parola esprime la coscienza e la confessione della caduta, che bene si applica a noi, come fa notare Nil Sorskij, e piace a Dio, che ci ha comandato di rivolgergli preghiere con la coscienza e la confessione del nostro stato di peccato.

Tenendo conto della debolezza dei principianti, i Padri li autorizzano a dividere la preghiera in due parti e dire talora: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, peccatore, e talaltra: Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. E’ solo un permesso, una concessione, e non è per nulla un ordine o una prescrizione che si deve assolutamente osservare. E' molto meglio infatti utilizzare costantemente la stessa formula per intero, senza preoccuparsi di cambiarla, rischiando di distrarsi. Anche chi, a motivo della propria debolezza, prova il bisogno di alternare le formule non deve permettersi di farlo troppo spesso. Si può, per esempio, utilizzare una metà della preghiera fino al pasto di mezzogiorno e l'altra metà nel seguito della giornata. Gregorio Sinaita sconsiglia i cambiamenti frequenti: "le piante continuamente trapiantate non mettono radici".

martedì 12 giugno 2012

Detti dei Padri del deserto

Il Padre Poemen disse: "Insegna alla tua bocca a dire ciò che il tuo cuore racchiude".

Un fratello venne dal padre Teodoro e cominciò a parlare e a trattare cose di cui non aveva ancora fatto esperienza. "Non hai ancora trovato la nave - gli dice l'anziano -, non hai ancora caricato il tuo bagaglio, e sei già arrivato in quella città prima di essere partito? Compi prima l'opera e poi giungerai a ciò di cui ora parli".

Un anziano ha detto: “Quanto uno si sarà reso folle per il Signore, altrettanto il Signore lo renderà saggio”.

L’abate Amun disse: “Sopporta ogni uomo come Dio ti sopporta”.

Disse un anziano: “Senza la sorveglianza delle labbra è impossibile all’uomo progredire anche in una sola virtù; poiché la prima delle virtù è la sorveglianza delle labbra”.

Un anziano disse: “Credete forse che Satana voglia introdurre in voi tutti i pensieri? No, è per mezzo di un pensiero solo che vince l’anima e spera condurla a perdizione. Egli abbandona in essa quell’unico pensiero, non occorre altro. Attenti dunque a non mostrar compiacenza verso un solo cattivo pensiero”.

domenica 10 giugno 2012

La Chiesa, Pentecoste permanente

Di San Justin Popovic

Tratto da La Lumière du Thabor n. 38 pp. 37-67 - Trad. dal francese di Chiara Ruth Rantini - pubblicato su La Pietra n. 1 / 2001 pp. 6-18

Chi è dunque, il Dio-Uomo, il Cristo? Chi è Dio in Lui, e chi è l'uomo? In cosa sarà possibile riconoscere Dio nell'uomo, e in cosa l'uomo in Dio? Quali doni Dio ci ha concesso nel e con il Dio-Uomo? Tutto ciò, è lo Spirito Santo a svelarlo: è dunque lo "Spirito di verità" che ci rivela la Verità circa Dio in Lui, circa l'uomo, e riguardo a tutto ciò che è stato donato per mezzo di Lui. Che significa questo? Ciò supera di molto quello che gli occhi umani hanno mai potuto vedere, quello che le orecchie hanno potuto sentire, ciò che il cuore ha mai potuto intuire 1.

Per mezzo della sua vita terrestre, nella nostra carne, il Dio-Uomo ha fondato la Chiesa, il suo corpo divino-umano. In questo modo ha preparato la discesa, la vita e l'attività dello Spirito Santo nel corpo della Chiesa, anima di questo stesso corpo. Nel giorno della Santa Pentecoste, lo Spirito Santo è disceso nel corpo divino-umano della Chiesa per dimorarvi in eterno come anima vivificante 2. Già gli Apostoli, per mezzo della loro fede nel Dio-Uomo, il Signore Gesù Cristo Salvatore del mondo, Dio e uomo perfetto, costituivano il corpo divino-umano della Chiesa. Ora, questa discesa, come del resto l'intera attività dello Spirito Santo nel corpo divino-umano della Chiesa, è possibile solo per mezzo e grazie al Dio-Uomo 3:"Per opera sua, lo Spirito Santo è entrato nel mondo" 4. Nell'economia divino-umana della salvezza tutto è condizionato dalla Persona divino-umana del Signore Gesù Cristo; niente potrebbe prodursi al di fuori di questa categoria della divino-umanità. Persino l'attività dello Spirito Santo nel mondo non potrebbe essere dissociata dall'opera divino-umana della salvezza compiuta dal Cristo. Tra tutti i doni eterni della Trinità e dello stesso Spirito Santo, la Pentecoste appartiene alla Chiesa dei santi Apostoli, alla santa Tradizione apostolica, alla santa gerarchia apostolica, a tutto ciò che è apostolico e divino-umano.

venerdì 8 giugno 2012

Un eroe dello spirito: Abuna Matta El-Meskin

Abuna Matta El Meskin (Padre Matteo il Povero, 20/9/1919 - 8/6/2006), monaco Copto Ortodosso, è stata la figura chiave della rinascita del monachesimo egiziano che cominciò nel 1969, quando fu incaricato di rifondare il monastero di San Macario a Wadi El-Natrun in Egitto. Al momento della sua morte la comunità si era accresciuta passando da 6 a 130 monaci, mentre contemporaneamente nuovi monasteri erano stati fondati ed altri già esistenti si erano rinvigoriti numericamente.

Il Monastero di San Macario a Scete (Wadi el-Natrun): Storia del Monastero

Il Monastero di san Macario è situato in Wadi el-Natrun, l’antica Scetes, a 92 km dal Cairo, sul lato occidentale della via del deserto verso Alessandria. Fu fondato nel 360 D.C. da San Macario l’egiziano, che era il padre spirituale di oltre 4.000 monaci di diverse nazionalità – Egiziani, Greci, Etiopi, Armeni, Nubiani, Palestinesi, Italiani, Galli e Spagnoli. Tra loro c’erano uomini di lettere e filosofi, membri dell’aristocrazia del tempo, insieme a semplici contadini analfabeti. A partire dal quarto secolo fino ad oggi il monastero è stato sempre abitato da monaci, senza interruzione.

La morte è vinta: le finalità ultime secondo i Padri della Chiesa

Dell'Archimandrita Placide Deseille, da un opuscolo edito dal Monastero Saint-Antoine-le-Grand, St-Laurent-en-Royans, France. - Pubblicato anche nella rivista “Le Chemin”, n. 33 del 1996

Scopo della creazione

Il Cristiano è un uomo che attende. Il Signore ci dice nel Vangelo: “Tenete sempre la cintura ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quei servi che attendono il padrone, che ritorna dalle nozze, per aprirgli al momento che verrà e busserà” (Lc 12, 35-36). Pochi testi ci rivelano in modo tanto perfetto quali debbano essere il senso e l’orientamento profondo della vita cristiana.

Scopo della creazione è la deificazione dell’uomo e dell’universo. Tutta l’economia della salvezza, l’opera redentrice di Cristo, l’azione santificante dello Spirito, hanno come scopo quello di ricondurre l’umanità decaduta al fine per cui è stata creata, verso la pienezza della deificazione. Col ritorno di Cristo, che aspettiamo, si realizzerà il completamento supremo di questo disegno di Dio, questa economia della salvezza raggiungerà la sua definitiva realizzazione.

Se vogliamo ritrovare un cristianesimo vivente, che sia per noi fonte perpetua di gioia e di slancio spirituale, dobbiamo ricollocare al centro della nostra vita cristiana il desiderio impaziente e la certezza del ritorno glorioso del Signore, quel desiderio e quella certezza che animavano le prime generazioni cristiane.

Lo Spirito e la Sposa dicano: “Vieni!”. Colui che ascolta dica:“Vieni!”. Colui che ha sete venga e colui che lo desideri prenda l’acqua della vita, gratuitamente (Ap 22, 17).

domenica 3 giugno 2012

21 maggio / 3 giugno: i santi Costantino ed Elena


Il santo e grande imperatore Costantino, figlio di Costanzo Cloro, sovrano delle province occidentali dell'impero romano, nacque intorno al 280 a Naisso, l'odierna Niš in Serbia. Nel 306 succedette a suo padre.

Secondo la tradizione l'imperatore Costantino fu coinvolto da un evento straordinario: in occasione di una guerra combattuta in Italia contro Massenzio e Massimino che avevano formato una lega contro di lui, mentre si trovava alla testa delle sue truppe, vide in cielo una croce luminosa con sopra iscritto: “Si conquista da questa”. La notte seguente gli apparve in sogno nostro Signore che gli rivelò il significato e il potere della Croce. Al mattino ordinò che fosse fatto un labaro sotto forma di croce con sopra riportato il nome di Gesù Cristo. Il 29 ottobre, nei pressi di Ponte Milvio, la guerra fu vinta, Costantino entrò trionfalmente a Roma e fu proclamato imperatore d'Occidente, mentre a suo cognato Licinio rimase l'impero d'Oriente.

lunedì 28 maggio 2012

Il ricordo di due giorni meravigliosi...

...che resteranno impressi in modo indelebile nella mia memoria e che voglio condividere con voi. La mia ordinazione diaconale e quella sacerdotale a Parigi, per mano di Sua Eminenza Gabriele, Arcivescovo di Comana, Esarca del Patriarca Ecumenico.

L'ordinazione diaconale, nella chiesa di Saint Serge...

mercoledì 23 maggio 2012

La Preghiera di Gesù

Di Pavel Evdokimov, da “La novità dello Spirito” ed. Ancora.

«Pregare incessantemente», insiste. S. Paolo, perché la preghiera è la sorgente e la forma più intima della nostra vita spirituale. La vita di preghiera, la sua densità, la sua profondità, il suo ritmo, danno la misura della nostra vita spirituale e ci rivelano a noi stessi.

In uno spirito raccolto e silenzioso sorge la vera preghiera, e l'essere è misteriosamente visitato. « L'amico dello sposo è presente e ascolta»; l'essenziale dello stato di preghiera è esattamente « farsi presente », ascoltare la presenza di Cristo. Agli inizi, la preghiera è agitata: l'uomo versa in essa tutto il contenuto psichico del suo essere; ma nella preghiera le troppe parole dissipano; mentre « è sufficiente tenere le mani alzate », dice S. Marco.

La preghiera del Signore è breve. Un eremita la iniziava al calar del sole e la terminava dicendo «amen» ai primi raggi del sole nascente. Non servono lunghi discorsi; gli spirituali si accontentavano di pronunciare il nome di Gesù, ma in questo nome contemplavano il Regno. Una grave deformazione fa della preghiera la ripetizione meccanica delle formule. Ora, secondo i maestri, non basta avere la preghiera, delle regole, delle abitudini; occorre diventare preghiera, essere preghiera incarnata, fare della propria vita una liturgia, pregare con le cose più quotidiane, vivere la storia di un operaio conciatore che parla delle tre forme di preghiera: la domanda, l'offerta e la lode, e mostra come esse diventano lo stato di preghiera e possono santificare tutti gli istanti del tempo, anche per chi non può disporne. Al mattino, frettoloso, quest'uomo semplice presentava tutti gli abitanti di Alessandria al cospetto di Dio e diceva: «Abbi pietà di noi peccatori». Lungo la giornata, durante il suo lavoro, avvertiva costantemente che tutto il suo faticare era come un'offerta: «A te, Signore!»; e la sera, tutto lieto di trovarsi ancora in vita, la sua anima non poteva che esclamare: «Gloria a te!».