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Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

giovedì 22 marzo 2012

Il Calendario Giuliano–Costantiniano - Un'icona millenaria del tempo

Di Ludmila Periepolkina

Fin dalla più remota antichità, l'uomo si è inchinato di fronte al mistero del tempo, cercando di sondarlo. Il tempo gli sembrava qualcosa di profondamente ostile, che richiedeva sacrifici cruenti (come per gli Aztechi) oppure un'arena della lotta tra caos e cosmos, oppure un sogno magico (tempo del sogno) che faceva tornare al passato oscuro dei primordi totemici.

Le leggende e i miti ci portano l'eco di antiche nozioni del tempo. L'uomo temeva o deificava il tempo, impartendogli le forme più diverse: un raggio, che penetra l'oscurità; una freccia, che vola dal passato al futuro, presso quelle popolazioni che avevano concepito una prevalente concezione lineare del tempo, più comune tra i popoli pastorali che ritmavano la loro vita con la ricerca di sempre nuovi pascoli; catene, o circonferenze, specialmente presso le popolazioni agricole che vedevano la loro vita dal succedersi ciclico delle stagioni[1]. Molto spesso, il tempo era concepito come un numero; talvolta, come tra gli orfici e i celti, era rappresentato con il suono o con la musica. Così, il dio celtico, Dagda, richiamava le varie stagioni dell'anno suonando su un'arpa vivente di quercia. C'è una concezione poetica del tempo con la quale si compie qualche tentativo di risolvere la disputa tra tempo ed eternità: "La morte e il tempo regnano sulla terra: non chiamarli maestri" (Vladimir Soloviev).

Il tempo si riflette in immagini metaforiche nei miti cosmogonici, antropogenici ed eziologici [2]. L'uomo intuiva che qualcosa di molto importante era collegato con il tempo: l'inizio e la fine; la sua memoria e speranza. Il sogno di spiegare il tempo e di padroneggiarlo si riflette anche nella "macchina del tempo" della fantasia moderna, che permetterebbe di vagare liberamente in questo regno insondabile[3].

Da Crono alla teoria di Einstein, l'umanità ha fatto un lungo cammino, senza mai essere in grado di svelare appieno l'enigma dell'essenza del tempo. Come oggetto secolare di riflessioni filosofiche e scientifiche, il tempo resta indeterminato come categoria. In verità, gli viene attribuita una categoria apparentemente indubitabile (la durata); ma spesso anche questa si rivela una finzione. Così, la teoria della relatività si basa, come ben si sa, sul concetto di tempo - spazio a quattro dimensioni, laddove l'asse temporale è immaginario.

Si può parlare del tempo della creazione del mondo, se l'atto stesso della creazione non entra tra le cause del fenomeno? Trascendente per natura, tale atto sorpassa ogni nozione umana di spazio e tempo. Nel parlare del "principio" dell'esistenza, l'uomo è forzato a fare ricorso alla categoria del tempo, per rimanere entro una cornice di pensiero a lui consueta.

Le definizioni razionali del tempo equivalgono a delle tautologie più o meno camuffate.Dopo tutto, dire che il tempo è "l'ordine dei fenomeni nella loro sequenza", equivale a definire il tempo per mezzo del tempo.

È possibile che il tempo sia una strada; ma dove conduce? Quando misuriamo il tempo, da dove viene, prima che siamo in grado di misurarlo? Che direzione prende e dove va quando ci lascia? Il Beato Agostino si accostò al mistero del tempo: "In te, anima mia, io misuro i tempi." Secondo il Beato Agostino, i tre stadi di un'azione che avvengono nell'anima umana - attesa, contemplazione e ricordo (memoria) - producono la "triplicità del tempo". Tuttavia,la nostra consapevolezza percettiva (anima) non genera il tempo stesso; esso deve il suo sorgere alla Sostanza eterna, il Creatore: "Anche il tempo è opera Tua."

Un millennio e mezzo or sono, il Beato Agostino disse in un linguaggio così chiaro e sublime ciò che gli uomini del ventesimo secolo hanno cercato di esprimere per mezzo di complesse formule matematiche. Riguardo al tempo, essi giungono al fatto che la nostra percezione, così come la più recente versione dell'ontologia (la funzione ondulatoria della meccanica dei quanti), si sviluppa nel tempo; ma esiste uno strato successivo (la fonte della "luce") laddove questo concetto è privo di significato.

Dio è la riconciliazione delle antinomie. L'amore sovrasta il tempo, e non è questo che dice anche il Signore attraverso l'apostolo Giovanni, riguardo alla vita alla quale ci chiama: "non vi sarà più tempo"[4]? E allora, che cos'è il tempo? "Sembra che non ci sia niente di più chiaro e ordinario," dice il Beato Agostino, "ma nel frattempo, in essenza, non c'è nulla di più incomprensibile e nascosto e provocatorio per il pensiero."

L'uomo, nel contemplare la natura e se stesso, ha visto che il morire cede il posto alla vita; e poi, le forze della vita fanno posto alla disintegrazione e alla morte. La custodia della vita era un miracolo attualizzato nei rituali. Per mezzo dei rituali, la vita della creazione e dell'uomo veniva armonizzata. I ritmi naturali dell'universo hanno trovato riflesso nelle festività rituali. Il rituale è collegato con il ritmo, così come è collegato anche con la memoria. Da qui proviene il calendario come incarnazione del ritmo che unisce macrocosmo e microcosmo. Secondo la tesi di Mircea Eliade, uno dei più grandi storici delle religioni del XX secolo, qualsiasi rito religioso è un evento sacro perché è una riattualizzazione di un evento originario e si svolge quindi in un "tempo sacro". Il tempo, per Eliade (1973), non è infatti "omogeneo" e "continuo", ma esistono intervalli di tempo sacro, un tempo cioè "circolare" "reversibile" e "infinitamente recuperabile", che interrompono la normale durata temporale, propria del tempo "quotidiano" "storico" e "cronologico". Il passaggio dall'uno all'altro avviene attraverso i riti che proiettano i partecipanti nel tempo originario e che quindi non possono essere celebrati che in determinate circostanze e modi. Scrive Eliade :"… ci rivela la medesima concezione ontologica "primitiva": un oggetto o un atto diventa reale (si real-izza[5]) soltanto nella misura in cui imita o ripete un archetipo. Così, la realtà si acquista esclusivamente in virtù di ripetizione o di partecipazione; tutto quello che non ha un modello esemplare è " privo di senso ", cioè manca di realtà.[...]. Si potrebbe quindi dire che questa ontologia "primitiva" ha una struttura platonica e Platone potrebbe essere considerato in questo caso come il filosofo per eccellenza della "mentalità primitiva", cioè come il pensatore che è riuscito a valorizzare filosoficamente i modi d'essere e di comportamento dell'umanità arcaica. Evidentemente l'originalità del suo genio filosofico non ne viene per nulla sminuita; infatti il grande merito di Platone consiste nello sforzo di giustificare teoricamente questa visione dell'umanità arcaica con i mezzi dialettici che la spiritualità della sua epoca gli offriva."[6]Non per nulla i Padri santi hanno sempre usato il referente della concettualizzazione e del linguaggio platonico come il più adeguato ad essere "piegato" e "riformulato" nei termini del Mistero cristiano. Così è del "tempo sacro" ove, per il cristiano, l'archetipo che si ripete in ogni ciclo annuale è Cristo ed il suo Mistero incentrato nella celebrazione della santa Pasqua. È attorno alla Pasqua che si "realizza" il mistero del tempo. Ecco perché per i Cristiani, lontano dall'essere marginale, il problema della datazione pasquale è centrale: su di esso si gioca la capacità della Chiesa di creare il tempo sacro del suo celebrare Cristo, attualizzare la sua salvezza, renderne partecipi i credenti fino all'avvento definitivo del suo Regno. Il tempo che interessa un calendario - nato come sacro e conservato come sacro dalla Chiesa non è il tempo "profano" ma il tempo capace di fare rivivere l'evento originario della Pasqua salvifica di Cristo e, attorno ad essa, tutti gli altri eventi attraverso i quali il Signore ha operato la nostra esterna salute. Se per l'uomo antico era normale che anche gli eventi "profani" si organizzassero attorno a questo "tempo sacro" che dava senso ed ordine alla sua esperienza di vita, l'uomo contemporaneo della società secolarizzata e desacralizzata vive ormai solo nel "tempo profano del mondo". Questo rende ancora più impellente che la santa Chiesa conservi perfettamente ed incrollabilmente il suo calendario. La rinuncia a questo significa rinunciare a dare alla vita dell'uomo credente la dimensione sacra che gli consente di accogliere, nel sacramento della festa, la grazia dell'evento salutare. Se anche la Chiesa, anziché portare il mondo e l'uomo alla dimensione di Dio e di Cristo, rinuncia adattandosi al mondo ed a ciò che è del mondo, questa è più che eresia, è vera e propria apostasia perché è allontanamento dalla sua stessa ragion d'essere. È, cioè, separazione dalla missione che Cristo Signore le ha affidato: instaurare omnia in Christo, tutto porre sotto signoria del Risorto, anticipare nella sua vita e nel suo culto l'escaton, il mistero dell'eternità quando il tempo si sarà trasformato nel perfetto presente ove il Padre il Figlio ed il Santo Spirito, nell'eterno circolo Triadico, chiamano per Grazia il cosmo intero a partecipare della loro vita divina.

Nel guardare alla realtà ed alla tradizione della Chiesa Ortodossa è impossibile sorvolare in silenzio la questione del calendario giuliano,[7]che ha pure esso una storia millenaria in tutte le nazioni ortodosse. Infatti, come vedremo, è solo in questo secolo che alcune Chiese ortodosse hanno adottato, per il ciclo fisso, il calendario gregoriano. Molti si pongono la domanda: perché la Chiesa Ortodossa, nonostante tutte le riforme civili e statali del calendario, continua a vivere con lo stesso calendario con il quale vivevano l'antico Impero Romano prima, Romano-cristiano poi, e l'antica Russia e tutto l'Occidente cristiano medioevale? Solo un'attitudine di pregiudizio potrebbe far sì che qualcuno lo veda come un fenomeno che nasce dall'idealizzazione tradizionale del passato,o dall'arretratezza, come alcuni sostengono, evitando in tal modo una risposta seria. Noi cercheremo di indagare le ragioni della sorprendente vitalità del calendario giuliano in Costantinopoli prima,in Russia poi, e nelle altre Chiese ortodosse che l'hanno mantenuto. Come ben si sa, questo sistema di cronologia giunse in Russia e negli altri paesi in cui il Cristianesimo Ortodosso si diffondeva, da Costantinopoli, la Nuova Roma. Il calendario giuliano ecclesiastico rappresenta la sintesi "bizantina" (anche se, come si sa, il vocabolo è quanto meno improprio) dell'eredità astronomica e calendariale dell'antica Babilonia e dell'antico Egitto, con il contributo accademico dei Padri della Chiesa alessandrina, che accolsero la sua implementazione all'epoca del Santo Imperatore Isapostolo Costantino il Grande.

Questo sistema di calcolare il tempo, che combina organicamente in sé il calendario giuliano e i cicli pasquali alessandrini (Paschalia), fu chiamato la "Grande Indizione" (o Grande Proclamazione) [8] a Costantinopoli, il "Circulus Magnus" in Occidente, e il "Ciclo della Creazione" in Russia[9]. Noi lo chiamiamo, per distinguerlo dal Calendario Giuliano pagano, CALENDARIO GIULIANO-COSTANTINIANO oppure CALENDARIO GIULIANO ECCLESIASTICO.

Nel parlare del calendario, è necessario sottolineare come già da tempo immemorabile il calendario era compreso non solo come uno strumento per misurare il tempo, ma anche come qualcosa che organizza il tempo e definisce il pulsare della vita cosmica, storica e biologica. Gli antichi lo compresero; non per nulla i sacerdoti, gli astronomi, gli astrologi e i matematici erano circondati da una venerazione universale, fino ai Magi del Vangelo, che, essendo "istruiti da una stella", vennero ad adorare il divino Cristo - Bambino. Riflettendo le rivelazioni del cielo, il calendario santificava le vite dei popoli e dava un ritmo definito alla loro esistenza.

Dopo l'incarnazione di Dio Verbo, il tempo divenne per i cristiani tempo di salvezza: esso trovò uno scopo. Il tempo venne in contatto con l'eschaton e ne fu penetrato. Avvenne la santificazione del tempo. Il calendario sacro del Medio Evo subordinava a sé non solo il tempo, ma anche l'intera struttura della vita. Iniziando dal quarto secolo dopo Cristo, tutta la vita liturgica della Chiese inizia a essere inseparabilmente legata al calendario giuliano ecclesiastico. Per oltre un millennio, questo calendario universale fu il calendario di tutta la parte occidentale del mondo conosciuto (ecumene) e rimane tuttora il calendario della Chiesa Ortodossa che è rimasta legata alla sua più autentica tradizione.

Si dovrebbe notare come i calendari a noi noti - quello giuliano e, dalla fine del sedicesimo secolo, quello gregoriano - devono la loro esistenza ai calcoli che determinano il tempo della celebrazione della Pasqua. Questa circostanza è tanto più significativa per il fatto che, nel secolarizzato mondo moderno, il tempo è determinato da fattori scientifici, socio - economici, politici e di altro genere, che non hanno alcunché in comune con il lato spirituale della vita. Nella cronologia cristiana vi è un centro del tempo. Si tratta dei giorni 14, 15 e 16 di Nisan: date che cambiarono il tempo del mondo. Queste tre date determinano tutta la teologia cristiana del tempo. "Con la crocifissione di Gesù Cristo (14 di Nisan), morì l'umanità del Vecchio Testamento; mentre con la sua risurrezione (16 di Nisan), nacque il cristianesimo."

Il tempo della Chiesa Cattolica Ortodossa, essendo tempo di attesa della risurrezione, già dai primi secoli del cristianesimo è concentrato intorno alla festa principale: la Santa Pasqua. Perciò, la storia del calendario Giuliano-Costantiniano è inseparabilmente collegata ai cicli pasquali. La Santa Pasqua è storicamente legata alla festa del Passaggio dell'Antico Testamento [10], che veniva celebrata alla luna piena del mese di Nisan (corrispondente al nostro marzo), il primo mese dell'antico calendario lunare biblico. Durante la sua vita terrena, il nostro Salvatore Gesù Cristo visse secondo questo calendario. Alla luna piena del mese di Nisan, il Signore, insieme a tutto l'Israele dell'Antico Testamento, venne e Gerusalemme per la festa della Pasqua. Precisamente in questo tempo, egli fu pure tradito, giudicato, crocifisso e risuscitato. [11]

Nell'anno della morte del nostro Signore sulla croce, la Pasqua ebraica cadde di venerdì e di sabato. Il Salvatore fu crocifisso venerdì 14 Nisan, che, per il computo della Chiesa, [liturgicamente] inizia ora alla sera del giovedì [12]; nel sabato fu nella tomba, e al mattino presto del primo giorno della settimana - il 16 di Nisan - egli risorse. Pertanto, gli eventi della passione, morte e risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo sono inseparabilmente collegati con la Pasqua ebraica. Ciò fu perpetuato canoni detti "dei santi Apostoli" che prescrissero che la Pasqua cristiana venisse celebrata in seguito alla Pasqua ebraica, dopo l'equinozio di primavera (Canone VII dei Santi Apostoli).Tra i primi cristiani rimanevano ancora non pochi aderenti ai riti dell'Antico Testamento. Così, le Chiese dell'Asia Minore (la loro metropoli era Efeso) celebravano la Santa Pasqua insieme con gli ebrei il 14 di Nisan, che cadeva ogni anno in un giorno differente della settimana. Tuttavia, altre chiese locali (Alessandria, Antiochia, Roma, Cesarea e Gerusalemme) celebravano la Pasqua nella prima domenica che seguiva il 14 di Nisan, conservando la sequenza neotestamentaria degli eventi sacri.

Sorsero controversie riguardo al problema che tutti i cristiani celebrassero la Santa Pasqua allo stesso tempo, controversie che divennero particolarmente acute alla fine del secondo secolo, sotto il Vescovo di Roma, Vittore. Il Vescovo Vittore non considerava ammissibile celebrare la Pasqua secondo il computo delle chiese dell'Asia Minore, e chiese una sospensione della comunione con loro. Fortunatamente come l'atteggiamento di San Policarpo di Smirne e di papa Zefirino già avevano fatto antecedentemente, ora la saggia ammonizione di Sant'Ireneo di Lione prevenne una rottura tra le chiese. Solo un piccolo gruppo, composto da aderenti del rito dell'Asia Minore, formò la setta dei "quattordicistii" o "quartodecimani". Dall'anno 325, tutti i cristiani della Chiesa Cattolica Ortodossa iniziarono a celebrare la Pasqua solo alla domenica, anche se non ancora sempre allo stesso tempo.

A causa dell'eresia ariana, e così pure per la risoluzione delle controversie sui cicli pasquali, fu convocato il primo Concilio Ecumenico di Nicea (anno 325). Il testo degli atti di questo concilio non è stato conservato; tuttavia, sulle basi di certi documenti che ci sono pervenuti, è possibile formulare un giudizio riguardo alle decisioni in esso prese riguardo alla celebrazione della Pasqua. Tra questi documenti, si possono ricordare: l'epistola del Concilio di Nicea alla Chiesa di Alessandria; l'epistola di San Costantino il Grande, Isoapostolo, ai vescovi non presenti al Concilio; e diversi passi dalle opere di Sant'Atanasio il grande, che fu egli stesso uno dei partecipanti al primo concilio ecumenico come diacono del vescovo Alessandro di Alessandria.

Nella sua epistola ai vescovi africani (capitolo 2), egli scrive: "il Concilio di Nicea fu convocato riguardo alla questione della Pasqua, poiché i cristiani in Siria, Cilicia e Mesopotamia non erano d'accordo con noi, e celebravano la Pasqua al tempo stesso in cui la celebravano gli ebrei" (Migne, Patrologia Greca, XXVI 10). Il decreto del Concilio di Nicea riguardante la Pasqua è contenuto altresì nelle testimonianze dei Santi Padri (partecipanti al Concilio o a questo vicini nel tempo), in Eusebio di Cesarea, un contemporaneo e testimone oculare del Concilio, e nelle decisioni del Concilio locale di Antiochia (anno 341). Per questa ragione, le asserzioni fatte dei sostenitori dei cicli pasquali riformati, ovvero che il decreto del primo Concilio Ecumenico sulla celebrazione della Pasqua è andato irrimediabilmente perduto, sono tendenziose e storicamente non corrette.

I 318 Santi Padri del Concilio di Nicea formularono un decreto (horos - letteralmente "termine" "confine" "limite entro il quale") riguardo alla Pasqua, che proibiva la sua celebrazione assieme agli ebrei, e che viene indicato dalla chiara citazione del Canone I del Concilio di Antiochia: "Che tutti coloro che osano violare il decreto del santo e grande Concilio che fu in Nicea ...riguardo alla santa festa della salvifica Pasqua, siano scomunicati e scacciati dalla Chiesa, se continuano, in uno stile di amore della contesa, a contrastare i buoni decreti. E questo è detto a proposito dei laici. Ma se, dopo questo decreto, uno di coloro che presiedono nella Chiesa, un vescovo, o presbitero, o diacono, osasse esercitare il proprio giudizio e celebrare la Pasqua con gli ebrei, a sovversione del popolo e a disturbo delle Chiese, il Santo Concilio d'ora in poi condanna costui a essere alieno dalla Chiesa, essendo divenuto non solo causa di peccato per sé, ma anche causa di disordine e della perversione di molti. E il Concilio depone dal sacro ministero non solo tali persone, ma anche tutti coloro che osassero essere in comunione con loro dopo la loro espulsione dal sacerdozio. E coloro che vengono così espulsi devono anche essere privati dell'onore esterno del quale erano partecipi secondo il santo canone e il sacerdozio di Dio."

È ben noto che la decisione del Concilio di Nicea riguardo alla data della Pasqua non figura tra i venti canoni di questo Concilio che sono giunti fino a noi. Tuttavia, la decisione non figura tra i canoni proprio perché non si tratta di un canone, ma di un documento di significato più importante, vale a dire un decreto (horos).

Nella sua epistola ai vescovi che non erano stati presenti al Concilio, Costantino il Grande dice che, "secondo l'opinione comune, si è riconosciuto che è meglio celebrare" il giorno della Santa Pasqua "tutti e ovunque nello stesso giorno, in quanto in una questione così importante... è molto sconveniente mostrare disaccordo. Il Salvatore ci ha lasciato un giorno [per la commemorazione] della nostra liberazione... che la sagacia delle Santità vostre rifletta su quanto sia biasimevole e indecente che negli stessi giorni alcuni facciano digiuno, mentre altri stanno celebrando feste..."

La compilazione dei cicli pasquali fu affidata alla Chiesa di Alessandria, la più erudita dell'antichità. Il problema affrontato dagli studiosi dei cicli pasquali era enormemente difficile. La sua complessità stava nel fatto che, nel compilare il calendario, essi dovevano tenere conto di requisiti di natura liturgica e storica. I Santi Padri risolsero questo problema in modo brillante.

Facendo uso della "mistura di eredità calendariali e astronomiche delle culture egiziana e babilonese, che era stata raffinata dalla scuola dei rinomati astronomi greci (da Metone a Ipparco)", essi crearono un capolavoro di arte calendariale - il calendario giuliano ecclesiastico, del quale il noto astronomo russo, E. A. Predtechensky, disse che "era tanto bene eseguito, da rimanere tuttora insuperato. I successivi cicli pasquali romani, accettati ora dalla Chiesa occidentale sono, a paragone di quelli alessandrini, tento ponderosi e goffi, da far venire in mente una stampa a poco prezzo di fronte a una raffigurazione artistica dello stesso soggetto. Per di più, questo meccanismo terribilmente complesso e impacciato non raggiunge nemmeno il suo scopo dichiarato."

Vediamo su cosa è basata la dichiarazione appena citata. Allo stesso tempo, cerchiamo una volta per tutte di essere liberi da preconcetti; nel caso in questione, cerchiamo di dare uno sguardo critico al calendario gregoriano che è accettato da tutte le nazioni moderne. Sapendo che solo gli argomenti di un certo peso sono in grado di far fronte a un'opinione preconcetta, soffermiamoci su un'analisi dei compiti (prima di tutto, quelli astronomici) che avevano di fronte a loro i compilatori cristiani, creatori del calendario giuliano ecclesiastico universale.

Come base dei cicli pasquali, i loro compilatori presero il calendario giuliano, così chiamato in onore di Giulio Cesare, che con l'aiuto del rinomato astronomo Sosigene introdusse la nuova cronologia nell'anno 46 a. C. Il grande merito di questo calendario sta nel fatto che possiede un'alternanza ritmica di tre anni semplici (ciascuno di 365 giorni) con un anno bisestile che contiene 366 giorni. Oltre a questo ritmo invariabile e così prezioso (il ritmo è la base di qualsiasi calendario), il calendario giuliano ha una particolarità: in esso, ogni 28 anni i giorni della settimana cadono nelle stesse date dei mesi (cosa importante per i cicli pasquali). Questo calendario di Giulio Cesare, orientato sul sole, fu usato per un periodo relativamente breve: dal 46 a.C. fino al Concilio di Nicea.

Dopo le riforme intraprese dai compilatori dei cicli pasquali (di cui parleremo più avanti), il calendario di Giulio Cesare si trasformò nello stesso calendario ecclesiastico giuliano o "Giuliano- Costantiniano", che l'intero mondo cristiano usò fino alla riforma gregoriana, e dal quale fino a oggi viene determinata la vita liturgica della Chiesa Ortodossa.

Gli studiosi di cicli pasquali a Nicea erano familiari con la cosiddetta "regola d'oro" della cronologia, stabilita dall'antico astronomo greco Metone, e che permetteva un allineamento preciso dei calendari lunare e solare. Nel 433 a.C., Metone calcolò che diciannove anni solari (vale a dire, 6939,75 giorni) erano equivalenti a diciannove anni lunari contenenti 6940 giorni, a condizione che nel corso dei diciannove anni lunari venga inserito per sette volte un mese lunare supplementare (embolismico). Gli astronomi sanno che il movimento della luna è piuttosto complesso, e che il computo delle sue fasi che abbraccia periodi prolungati, richiede grandi conoscenze in materia astronomica, e un'esperienza basata su osservazioni prolungate per molti secoli. Il ciclo lunare di diciannove anni, noto con il nome di "ciclo metonico", è considerato un capolavoro dell'astronomia mondiale. È di grande valore per i cicli pasquali, poiché le fasi della luna attraverso ogni ciclo di diciannove anni cadono negli stessi giorni del calendario giuliano solare.

E così, nella compilazione dei cicli pasquali, fu preso in considerazione il ciclo lunare di diciannove anni. Per di più, nel ciclo di Metone e Sosigene fu introdotta la cosiddetta "correzione di Callippo", che portava la durata dell'anno solare e del mese lunare in pari al loro vero valore astronomico. La riforma che fu accettata riuscì a soddisfare immediatamente i requisiti di entrambi i computi: quello lunare e quello solare. I compilatori dei cicli pasquali ortodossi ebbero altresì da correlare il ritmo lunare con la settimana (il ciclo di sette giorni), per preservare la sequenza degli eventi neotestamentari collegati ai giorni finali della vita terrena di Gesù Cristo, tenendo in considerazione la connessione tra la Santa Pasqua e il Passaggio dell'antico Testamento. Nella sua brillante opera dedicata alla questione del calendario giuliano ecclesiastico, A. N. Zelinsky dice a questo proposito: "Si può dire senza esagerazione che, nella sua complessità, il compito che stava di fronte ai compilatori dei cicli pasquali a Nicea eccedeva di gran lunga le difficoltà connesse alla riforma giuliana o alla correzione di Callippo".

Nel produrre i principi di cicli pasquali indipendenti dalla pratica ebraica, i compilatori ortodossi cercarono una divergenza tra il ciclo di Metone e Sosigene e la luna, e, di conseguenza, con il calendario ebraico [13]. Questa divergenza fu raggiunta grazie al fatto che all'inizio di un ciclo di Callippo, l'epatta (ovvero l'eccesso dell'anno solare su quello lunare, circa 11 giorni: il progresso della luna all'inizio di un anno di calendario) non è stata ridotta su ogni ciclo di 304 anni[14]. Nondimeno, a causa di ragioni astronomiche, ebbero ancora luogo, talvolta, coincidenze della Santa Pasqua con il Passaggio ebraico, fino all'anno 592. Per quanto riguarda la rarissime coincidenze della Pasqua Cristiana con il Passaggio ebraico che ebbero luogo fino all'anno 783, questo si spiega con il fatto che gli ebrei trasferiscono la data della loro festività, se questa cade di lunedì, mercoledì o venerdì. Questa circostanza aveva altresì causato le coincidenze precedenti.

Tuttavia, a partire dall'anno 592, "tali coincidenze divennero impossibili non solo astronomicamente, ma anche secondo gli aspetti del calendario pasquale"; La Santa Pasqua divenne una festa mobile; a questo punto, tutti i requisiti per la sua celebrazione vennero osservati con esattezza. È eccezionalmente importante notare che non esiste alcuna istruzione precisa riguardo al sistema del calendario o a regole tecniche per determinare il tempo della celebrazione della Pasqua in queste decisioni dei Santi Padri. Il Prof. V. V. Bolotov ha dimostrato in modo sufficientemente chiaro e convincente che "il Concilio di Nicea non aveva alcun bisogno di emanare decisioni di natura puramente tecnica: "i fratelli orientali" stessi sapevano come evitare di celebrare la Pasqua assieme agli ebrei."

Anche il Padre Prof. D. A. Lebedev condivide l'opinione di questo eminente studioso: "Il Concilio non deliberò la questione del giorno della Pasqua in dettaglio... la decisione che gli viene di solito attribuita, quella di celebrare la Pasqua nella domenica successiva alla prima luna piena di primavera è solo una formulazione tardiva del principio dei cicli pasquali alessandrini: la Pasqua alla prima domenica dopo il quattordicesimo giorno del mese lunare, che non cada prima del giorno dell'equinozio primaverile, il 21 marzo (di conseguenza, nei giorni 15-21 del mese lunare)". Anche A. I. Geogievsky, un ricercatore all'Accademia Teologica di Mosca, richiama l'attenzione su questo punto nel suo articolo "Sul calendario ecclesiastico". Il professor Liverij Voronov, dell'Accademia teologica di Leningrado, allo stesso modo nota questa circostanza nella sua opera "Il problema del calendario".

Il Concilio di Nicea "non rese uniforme per mezzo di un decreto la pratica per la determinazione del tempo della celebrazione della Pasqua". Questa circostanza ha un enorme significato per la controversia scientifica con coloro che combattono per la "correzione" del calendario giuliano ecclesiastico, citando il fatto che, come essi presumono, il principale fattore determinante dei cicli pasquali è l'equinozio di primavera, e, infallibilmente, la "prima luna piena" che viene dopo di esso. I sostenitori del "principio dell'equinozio", che si appoggiano principalmente sul "Sermone di Anatolio", un documento greco anonimo e poco conosciuto del quarto secolo, dovrebbero tenere presente che, nelle tabelle alessandrine dei cicli pasquali, che furono in seguito accettate da tutta la Chiesa, l'equinozio primaverile non è un valore autosufficiente, come gli aderenti al calendario gregoriano cercano di dimostrare, ma unicamente un valore secondario e derivato, che serve come limite per determinare il mese di Abib (Nisan), e insieme con questo, l'inizio del nuovo anno pasquale.

Come è ben noto, il Passaggio dell'Antico Testamento era l'antico ricordo fatto in Israele della sua liberazione dalla schiavitù egiziana. Dai tempi di Mosè questa festa cadeva nel giorno dal 14 al 15 del primo mese lunare dell'anno, Nisan (o Abib), secondo l'antico calendario ebraico, vale a dire, nel giorno della prima luna piena primaverile. Tuttavia, si deve ricordare che "il mese di Abib non è un valore definito che ha la propria estensione fissa nell'anno, come il nostro marzo." Nelle Sacre Scritture, Abib è definito come "il mese delle nuove spighe" (Esodo 13:4) , in cui, secondo Levitico 23:10-16 e Deuteronomio 16:9 [15], ogni ebreo doveva offrire al Signore il primo covone del raccolto - "il covone dell'offerta" - nel secondo giorno del Passaggio, alla festa degli Azzimi.

Le parole del Prof. Bolotov relative alla determinazione del tempo della celebrazione del Passaggio nell'Antico Testamento meritano attenzione: "Durante l'esistenza del Tempio e dei sacrifici, era impossibile riconoscere come mese del Passaggio, vale a dire, come Nisan, un mese nella cui luna piena l'orzo non poteva maturare nei dintorni di Gerusalemme".

Di conseguenza, il segno del mese del Passaggio di Abib, il "mese delle nuove spighe" secondo la Sacra Scrittura, è la maturazione delle nuove messi, e poiché il primo grano in Palestina, per osservazione, non matura prima dell'equinozio, non è possibile celebrare il Passaggio prima dell'equinozio di primavera. Quanto all'opinione che sia necessario celebrare la Pasqua immediatamente dopo l'equinozio, il Prof. Bolotov, citando la vera formula dei cicli pasquali, conclude che questo è "la pietra angolare della riforma gregoriana, sulla quale essa sta in piedi o cade". In aggiunta a ciò, non esistono termini per "equinozio" e "primavera" nell'antica lingua ebraica. La situazione geografica della Palestina è tale che vi sono solo due stagioni nell'anno: estate e inverno. "Così" scrive il Prof. Bolotov nel suo rinomato rapporto "la natura stessa della Palestina offre la propria imparziale testimonianza che la riforma gregoriana altro non è che uno sbaglio grossolano, un peccato di incapacità di comprensione".

E così, che ci piaccia o no, le discussioni sul calendario giuliano ecclesiastico portano invariabilmente a polemiche con i sostenitori del calendario gregoriano. E poiché la questione del calendario, oltre a essere di interesse scientifico, lo è ancor di più dal punto di vista pratico e molto attuale, essendo strettamente legata con la vita della Chiesa ortodossa, cerchiamo di osservare i punti basilari di questo problema.

Come già indicato in precedenza, Nostro Signore Gesù Cristo celebrò la Mistica Cena con i suoi discepoli in stretta aderenza alla tradizione ebraica. Tuttavia, l'ultima Pasqua dell'Antico Testamento celebrata da Cristo, a differenza di quella che la precedette, non fu celebrata con pane azzimo, ma con pane lievitato, in quanto il pane lievitato era permesso dalla Legge solo fino a dopo il mezzogiorno del 14 di Nisan[16]. A quell'ora Nostro Signore era sulla Croce "nel mezzo della terra operando la salvezza di tutti coloro che con speranza invocano il suo santo nome".

Sia la Mistica Cena che la Crocifissione di Cristo avvennero il giorno 14 di Nisan, il venerdì, secondo la suddivisione ebraica della giornata. Tuttavia, per il calendario giuliano romano, per il quale il giorno incomincia alla mezzanotte, la Cena Mistica di Cristo cade il giovedì, e la Crocifissione il venerdì. Il cristianesimo, avendo accettato il calendario giuliano dei romani, fece del Grande Giovedì il giorno della commemorazione della Mistica Cena e del Grande Venerdì il giorno della commemorazione della santa e salvifica Passione del Nostro Signore Gesù Cristo, che corrisponde alla tradizione dei Vangeli sinottici [Matteo, Marco e Luca].

La celebrazione cristiana della Santa Pasqua, che sostituì le prescrizioni dell'Antico Testamento, fu modificata in conformità con gli eventi del Nuovo Testamento e i decreti conciliari. Tuttavia, pur avendo conservato un legame storico con il Passaggio dell'Antico testamento, la festa della Risurrezione ne divenne totalmente indipendente. Nel corso di un lungo periodo, oltre un millennio, i cristiani, usando un singolo calendario, furono uniti riguardo alla celebrazione della Pasqua. Ciò sosteneva l'unità della struttura originale della Chiesa, anche dopo l'anno 1054. "La riforma gregoriana del Calendario nell'anno 1582 per la prima volta violò l'unità cristiana relativa al calendario,e, in conseguenza di ciò, l'unità pasquale". A questo proposito, citeremo le parole di San Giovanni Crisostomo: "L'esattezza nell'osservanza dei tempi non è così importante come l'offesa della divisione e dello scisma".

A questo punto è necessario far notare come il giorno dell'equinozio di primavera si sposta di uno ogni 128 anni, e le fasi della luna di un giorno ogni 310 anni. Ciò capita come risultato della processione del calendario, un fatto che era ben noto ai compilatori dei cicli pasquali. Tuttavia, a causa dell'impossibilità di unire i movimenti del sole e della luna in un sistema calendariale - astronomico, qualsiasi calendario è destinato a una maggiore o minore accuratezza. E, probabilmente, nessun astronomo è in grado di creare un calendario assolutamente accurato. Gli astronomi stessi lo confermano, con il fatto che ciascuno propone il proprio stile, distinto da quello degli altri. La disparità delle loro soluzioni, così come le loro contraddizioni, semina dubbi sulla correttezza della loro cronologia. È ugualmente impossibile fissare qualcosa in un calendario per sempre; o altrimenti un tentativo simile sarebbe simile al progetto di tenere nello stesso posto le due lancette di un orologio in moto.

Qui ci accostiamo proprio al momento collegato con un simile tentativo di mantenere il punto dell'equinozio di primavera per un "tempo eterno" al 21 di marzo (nell'anno del Concilio di Nicea esso cadde il 21 di marzo). La riforma gregoriana fu intrapresa nell'anno 1582, anche con lo scopo di fissare l'equinozio di primavera. Papa Gregorio XIII emanò la bolla Inter gravissimas , che proclama: "È stata nostra intenzione non solo restaurare l'equinozio nel luogo per esso stabilito nell'antichità, dal quale ha deviato approssimativamente di dieci giorni dal tempo del Concilio di Nicea, e far tornare il quattordicesimo giorno della luna al proprio posto, dal quale diverge al presente di quattro o cinque giorni, ma anche di creare un metodo e delle regole per mezzo delle quali si ottenga che in futuro l'equinozio e il giorno 14 della luna non si muovano mai dal loro posto".

Tuttavia, tutti sanno bene che il sole e la luna sono in moto costante, e che perciò è impossibile trovare alcun "metodo e regole" in grado di fissare l'equinozio e "il giorno 14 della luna" per sempre. Già sappiamo che il requisito principale chiesto fino dall'antichità per un calendario è il mantenimento del ritmo. Il ritmo ciclico e senza crepe del calendario giuliano è stato esaminato in precedenza. Ma ciò che è il merito di questo calendario costituisce il difetto principale di quello gregoriano. Quanto alla sua accuratezza astratta, essa "è stata ottenuta a un prezzo troppo alto." Dapprima, facendo bisestili solo alcuni secoli il numero di giorni in ogni secolo non è più identico. Nel calendario giuliano, tutti gli anni del secolo sono anni bisestili, mentre in quello gregoriano, lo è solo ogni quarto secolo; "ma se l'anno bisestile costante crea un ritmo, allora un secolo privato di un anno bisestile viola questo ritmo." In secondo luogo, nei secoli gregoriani, i segmenti di tempo che cadono allo stesso punto in secoli bisestili e ordinari non sono uguali ai segmenti di tempo corrispondenti che si trovano nei secoli non bisestili adiacenti. In terzo luogo, l'essenza di un calendario viene violata da quello gregoriano: la presenza di un periodo minimo contenente un numero intero di giorni. E, se nel calendario giuliano questo periodo equivale a quattro anni o 1.461 giorni, in quello gregoriano costituisce 400 anni, o 146.097 giorni. Oltre a ciò, i mezzi anni, quarti di anni e mesi del calendario gregoriano contengono un numero disuguale di giorni; i giorni della settimana non si accordano con le date dei mesi,sia in anni diversi che attraverso un medesimo anno. A causa della presenza nella maggioranza dei mesi gregoriani delle cosiddette settimane "spezzate", l'alternanza di queste ultime avviene indipendentemente dalla durata dei mesi. In aggiunta a questo, coloro che comparano i due calendari "dimenticano spesso che, In considerazione dell'irregolarità dell'orbita della terra attorno al sole, l'anno tropicale (a differenza di quello siderale) non ha un valore strettamente costante. La sua particolarità, alla quale siamo abituati, è che esso costituisce l'anno "naturale", vale a dire, il periodo del ritorno del sole all'equinozio o solstizio, per i processi realmente sperimentati sulla terra, mentre l'anno stellare è il periodo del ritorno del sole alla medesima stella fissa. In questo senso, il calendario gregoriano è geocentrico, mentre quello giuliano è cosmocentrico nella sua base[17]."

Ben si sa che, a paragone con l'anno giuliano, la durata dell'anno gregoriano è più prossima al valore dell'anno tropicale (l'anno giuliano lo supera leggermente, di 11 minuti e 14 secondi). Tuttavia, anche il calendario gregoriano è inaccurato in relazione al valore dell'anno tropicale. L'errore in esso presente crescerà con il tempo, cosicché "dopo 25.765 anni tropicali sarà indietro rispetto all'anno siderale di un anno intero. Questa è la ragione per cui tutte le ricerche astronomiche, e perfino quelle storico - astronomiche, correlate con lungi periodi di tempo, vengono condotte secondo il calendario giuliano e non secondo quello gregoriano." Queste argomentazioni scientifiche meritano di essere prese in considerazione dai sostenitori del calendario gregoriano, che amano sottolineare la sua esattezza astronomica.

Quanto alla ricerca cronologica, il calendario gregoriano, secondo le parole del Prof. V.Bolotov, rappresenta una "vera e propria tortura per i cronologi." A questo proposito, è interessante notare l'attività del rinomato cronologo, Giuseppe Scaligero, un contemporaneo di Papa Gregorio XIII. Nel suo trattato, "Una nuova opera per il miglioramento del computo del tempo," egli dimostra che soltanto il sistema calendariale -cronologico giuliano è in grado di fornire un computo ininterrotto nella cronologia mondiale. È possibile tenere un conto sequenziale e ininterrotto dei giorni con il Ciclo della creazione di Scaligero (i cicli pasquali niceni sono il suo prototipo) da una data di partenza convenzionale. Grazie a questa qualità unica, come pure ai suoi altri meriti, la cronologia giuliana nella redazione di Scaligero forma la base di tutti i computi astronomici e cronologici. Perciò, "rimane un fatto paradossale che lo stesso sistema, senza il quale l'astronomia e cronologia dei nostri tempi non riesce a funzionare, fu considerato da Papa Gregorio XIII come inutile per il calendario." Nella ricerca storica e cronologica, si devono fare i calcoli dapprima secondo il calendario giuliano, e quindi tradurli nelle date gregoriane. Tutto ciò mostra la mancanza di fondamento dei passi intrapresi da Roma. La riforma del 1582 ha mostrato di essere, in essenza, futile sia dal punto di vista scientifico sia riguardo alla meta che i gregoriani si erano fissati. Dopo tutto, nel calendario gregoriano, la data dell'equinozio di primavera, sebbene più lentamente che nel calendario giuliano, si sta regolarmente allontanando dal suo vero significato astronomico, mentre la luna piena astronomica di Pasqua si sta separando dall'equinozio al ritmo di un giorno ogni 210 anni.

Il tentativo di Roma di fare della Pasqua una festività esclusivamente primaverile manca di alcun fondamento, poiché il cristianesimo, essendo una religione universale, celebra la risurrezione di Cristo in entrambi gli emisferi in stagioni dell'anno differenti. Dopo tutto, se il giorno della Santa Pasqua nell'emisfero settentrionale del pianeta cade in primavera, in quello meridionale cade in autunno. La Santa Pasqua non può cadere in primavera, per ragioni sia astronomiche che meteorologiche, in entrambi gli emisferi della terra allo stesso tempo. È una festa di primavera secondo lo spirito, e non secondo la lettera.

Così, la quindicesima proclamazione è stata in corso dall'anno 1941; di conseguenza, la Pasqua nell'anno 1941 fu celebrata nella stessa data dell'anno 1409 (vale a dire, 532 anni prima), mentre nell'anno 1988 è caduta nello stesso giorno dell'anno 1456, e così via. Questa ciclicità interna, che è stata posta nella natura del calendario giuliano stesso, ci dà le basi per esaminarlo (a differenza del calendario gregoriano) come calendario veramente perpetuo. È difficile sopravvalutare i meriti matematici e di altro genere in questo sistema.

I Santi Padri del primo Concilio Ecumenico, avendo preso in considerazione tutti i computi astronomici e matematici, non diedero però valore assoluto all'accuratezza astronomica dei calcoli. Tutte le inesattezze per le quali il calendario giuliano ecclesiastico è biasimato "sono troppo ovvie per non presumere che esse fossero permesse intenzionalmente, per la semplificazione dei cicli pasquali." Oltre a ciò, i compilatori dei cicli pasquali sapevano che l'accuratezza in sé è qualcosa di condizionato, poiché i valori iniziali vengono accettati dagli uomini in modo ipotetico. Sia la Precessione degli equinozi che l'avanzamento delle vere fasi lunari erano loro ben note. Avendo accettato il 21 marzo come limite per la celebrazione della Pasqua, essi sapevano che l'equinozio è mobile. Secondo le decisioni accettate dalla Santa Chiesa, la Pasqua è celebrata entro i limiti dal 22 marzo fino al 25 aprile incluso (secondo il calendario giuliano). Il giorno della Santa Pasqua si sposta di diversi giorni dal momento del plenilunio in virtù del fatto che è celebrato senza eccezioni di domenica.

Essendo, da una parte, in certo modo dipendenti dai dati dell'astronomia, i cicli pasquali ortodossi d'altro canto non aderiscono a un'accuratezza astronomica assoluta (che è impossibile in pratica). Nondimeno, questo sistema completo, che è servito per più di un millennio e mezzo come calendario liturgico sacro per tutti i popoli cristiani, è un modello di bellezza e sapienza. Frutto delle fatiche di creatori divinamente ispirati, il calendario giuliano ecclesiastico unisce in sé il condizionato con il non condizionato, l'assoluto con il relativo.

Prendendo in considerazione il fatto che molti dettagli dei cicli pasquali ortodossi hanno un carattere puramente simbolico e condizionato, non ci si dovrebbe preoccupare per il fatto che nel nostro tempo il momento astronomico dell'equinozio di primavera sia passato al di fuori dei confini della Pasqua secondo il ciclo alessandrino. Secondo l'equinozio tradizionalmente accettato al 21 marzo, la celebrazione della Pasqua ortodossa (ma non di quella gregoriana) è tenuta precisamente dopo la "prima luna piena." Il giorno del "plenilunio ecclesiastico pasquale" del 21 marzo, accettato nei cicli pasquali alessandrini come il vero 14 di Nisan, "precede sempre la Pasqua del Signore, che giunge al vero 15 di Nisan; e cioè, rispetta i requisiti di Zonaras, di Balsamon, e del secondo canone di Blastaris."

E così, i rimproveri mossi ai cicli pasquali ortodossi per "arretratezza" rispetto alla scienza sono frutto di incomprensione e pregiudizio, così come dell'ignoranza di tutto l'aggregato di problemi collegati con la questione più complessa del calendario giuliano ecclesiastico. Il Prof. V. V. Bolotov ha mostrato in modo convincente che dall'astronomia nel "proprio elemento, gli studiosi della Pasqua non possono ricevere direzioni veramente valide. Solo la meteorologia può dare tali direzioni, ma solo quando raggiungerà un grado di sviluppo, che ora può essere intravisto solo in un futuro molto distante," un grado di sviluppo che risolva problemi come questo: nell'anno N, l'orzo matura attorno a Gerusalemme nel dato tempo, mentre nell'anno N + 100 maturerà nell'altro tempo dato. "Con il presente stato della scienza," dice Bolotov, "si possono considerare i cicli pasquali alessandrini ortodossi come opera altamente perfetta, e indubbiamente superiori ai cicli pasquali gregoriani, perciò quieta non movere".

Lo sforzo di Papa Gregorio XIII di rettificare quella che gli sembrava una violazione dei canoni della Chiesa sulla celebrazione della Pasqua, finì per essere davvero una violazione di uno dei canoni fondamentali della Chiesa. Così, celebrando la Santa Pasqua prima degli ebrei o insieme a loro, i seguaci della riforma gregoriana iniziarono a violare il Canone Apostolico VII, i decreti del Concilio di Nicea e il Canone I del Concilio locale di Antiochia.

Cambiare la sequenza degli eventi di cui ci parla il Vangelo significa distorcerli. Misticamente la Pasqua del Nuovo Testamento simbolizza il rimpiazzo dell'offerta sacrificale dell'agnello nell'Antico Testamento con il sacrificio redentivo del nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo: l'Agnello che prende su di sé i peccati del mondo (cfr Gv 1,29). E se, per ragioni puramente astronomiche, la Pasqua cristiana nella Chiesa primitiva coincideva con il Passaggio della sinagoga, è totalmente inaccettabile che la Santa Pasqua preceda il Passaggio ebraico. "Perfino i quartodecimani, che furono condannati dalla Chiesa antica per il fatto che celebravano sempre la Pasqua insieme agli ebrei (ovvero, il 14 di Nisan), non avrebbero potuto immaginare qualcosa del genere." Nel solo periodo dal 1851 al 1950, i seguaci del calendario gregoriano hanno celebrato la Pasqua quindici volte prima degli ebrei, e più di una volta insieme a loro; per esempio, il 1 aprile 1923, il 17 aprile 1927, il 18 aprile 1954 e il 19 aprile 1981. Pertanto, il decreto del Concilio locale di Costantinopoli del 1583, che dichiarò non canonico il calendario gregoriano, rimane effettivo. Il Sigillion (lettera enciclica) di questo concilio, firmata da tre patriarchi orientali - Geremia di Costantinopoli, Silvestro di Alessandria e Sofronio di Gerusalemme - e dal resto dei gerarchi al Concilio, proclama:

Chiunque non segue i costumi della Chiesa e quanto i Sette Santi Concili Ecumenici hanno ordinato riguardo alla Santa Pasqua e al Menologio [le feste fisse] e hanno stabilito che noi seguissimo, ma desidera seguire i cicli pasquali e il Menologio gregoriano, egli, così come gli astronomi senza Dio, si oppone a tutti i decreti dei santi concili e vuole cambiarli e indebolirli; che egli sia anatema e scomunicato dalla Chiesa di Cristo e dall'assemblea dei fedeli. Come risultato della riforma calendariale gregoriana, il papato si separò definitivamente dall'Ortodossia. La comprovata inutilità di questa riforma ci convince che la separazione dall'Ortodossia era il suo principale, anche se inconfessato, proposito, che fu così raggiunto da Roma.

Non si deve pensare che la riforma del calendario non abbia incontrato oppositori. Sia tra i contemporanei di Papa Gregorio XIII e in seguito ve ne furono non pochi, e tra di loro delle grandi menti. Il grande Copernico si rifiutò di prendere parte alle preparazioni per questa riforma, che erano già iniziate nell'anno 1514 al Concilio Laterano. Giuseppe Scaligero rimase un risoluto oppositore della riforma del calendario fino alla fine della sua vita. Tuttavia, il papato a quel tempo rappresentava una potente forza religioso - politica a cui non era sempre possibile resistere. La Controriforma in Europa, guidata da Roma, era, come ben si sa, ben organizzata e spietata. La ricerca del potere è sempre collegata con la ricerca di potere sul tempo. La storia conosce molti esempi di "appropriazione" di un tale potere; tra gli eventi storici più vicini a noi si può menzionare la Rivoluzione francese con il suo Termidoro. Roma incoraggiò con forza un'attitudine di pregiudizio contro il calendario giuliano. Solo pochi realizzano che, da un punto di vista scientifico formale, il calendario gregoriano non ha assolutamente alcun vantaggio su quello giuliano, in quanto i due calendari differiscono nei loro principi.

Le nazioni cattolico - romane passarono quasi immediatamente al nuovo stile. Tuttavia, i paesi protestanti non accettarono la riforma gregoriana per lungo tempo, riconoscendo che "è meglio separarsi dal sole che unirsi a Roma." Ma verso la metà del diciottesimo secolo il calendario gregoriano penetrò in tutte le nazioni d'Europa. Roma, rafforzando il proprio primato e il proprio significato mondiale, andò "contro l'evidenza scientifica, contro la tradizione e i canoni della Chiesa. Le nostre passioni ci spingono a distorcere la ragione, la logica e la conoscenza. Questo, in tutta probabilità, accade non solo con gli individui, ma anche con un'intera società, un popolo, e perfino con un'intera Chiesa e cultura individuale (locale)." Come conseguenza della riforma del calendario nel mondo occidentale, il centro della vita spirituale e liturgica iniziò gradualmente a slittare dalla Pasqua alla Natività del Signore. Riguardo a ciò che questa festa cristiana è diventata in Occidente, c'è ben poco bisogno di fare commenti. Questa "festa," che è per la maggior parte una occasione di commercio e di intrattenimento, è blasfema nei confronti dell'evento sacro della Natività di Cristo. Che stridente contrasto tra i supermercati e i negozi affollati e le chiese vuote o semi - vuote nei giorni del Natale in Occidente! l problema della cronologia, causato dalla riforma gregoriana, resta irrisolto persino ai nostri giorni. Ora già per più di quattro secoli, il dissenso e i disaccordi nella Chiesa riguardo alla vita liturgica non cessano. L'accettazione del "calendario giuliano corretto" da parte di diverse delle Chiese autocefale [ortodosse] non ha fatto altro che aggravare il problema.

Nel 1923, alla conferenza costantinopolitana delle Chiese ortodosse convocata dal Patriarca Melezio IV, fu approvato il "calendario giuliano corretto." Tre patriarchi orientali condannarono severamente questo congresso, che illegalmente definì se stesso "pan -ortodosso," e si rifiutarono di prendervi parte. Non un singolo rappresentante plenipotenziario della Chiesa russa, che ammonta a tre quarti dell'intero mondo ortodosso, era presente. Questa conferenza, che introdusse un profondo dissenso nell'unità ortodossa, può essere considerata uno degli eventi più tristi della vita della Chiesa nel ventesimo secolo. Oltre all'abolizione del calendario giuliano, le altre decisioni della conferenza costantinopolitana del 1923, come il permesso di un secondo matrimonio del clero, il matrimonio dopo l'ordinazione, la richiesta di abbandonare il ciclo mobile delle feste della chiesa e persino della disposizione settimanale dei giorni, la proposta di abbreviare i servizi divini e altre dubbie innovazioni testimoniano la sua totale illegalità canonica. Molte di queste decisioni furono respinte dalla coscienza della Chiesa cattolica ortodossa; tuttavia, quella sul nuovo calendario, accettata da alcune delle Chiese, violarono la loro unità con le altre Chiese ortodosse e causarono tra loro seri dissensi interni, che continuano ancora oggi. I metodi che Melezio IV (Metaxakis)[18]usò per introdurre il nuovo stile meritano un'attenzione speciale. Così, nella sua lettera all'Arcivescovo Seraphim di Finlandia, datata 10 Luglio 1923, Melezio IV racconta una bugia manifesta, affermando che il nuovo stile era stato accettato per richiesta popolare e per un consenso delle Chiese ortodosse. In tal modo, egli condusse in errore persino il Santo Tikhon, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. Tuttavia, in risposta all'epistola del Patriarca costantinopolitano, il 27 febbraio 1924,riguardo all'introduzione del calendario neo - giuliano nell'uso della Chiesa, il Santo Patriarca Tikhon lo informò che nella Chiesa russa sarebbe risultato impossibile introdurre il nuovo stile in vista della decisiva opposizione del popolo. Melezio IV fu forzato a ritirarsi dalla carica a causa dell'estrema indignazione della popolazione ortodossa di Costantinopoli; i greci devastarono l'edificio del patriarcato e "lo sottoposero ad assalto e percosse." Ciò, tuttavia, non eliminò i disturbi al calendario da lui seminati. Essendo in seguito divenuto Patriarca di Alessandria, Metaxakis impose il calendario neo - giuliano anche su questa Chiesa. Questo fatto è tanto più deplorevole proprio perché furono i Padri della Chiesa alessandrina a creare i cicli pasquali ortodossi e a custodirli con zelo per uno spazio di molti secoli. Le Chiese ortodosse autocefale di Grecia, Alessandria, Antiochia, Romania e Bulgaria accettarono lo stile giuliano "corretto" per l'intero anno liturgico, eccettuando soltanto il periodo del Triodio quaresimale e del Pentecostario, che sono osservati secondo il calendario giuliano. Tuttavia, sotto il calendario neo - giuliano "i cicli pasquali alessandrini non possono essere usati senza manovre dubbie e artificiali." Oltre a ciò, il calendario neo - giuliano, invece del periodo giuliano di 4 anni, ha un periodo di 900 anni, cosa che fa crescere il periodo dei cicli pasquali da 532 anni a 119.700 anni, praticamente trasformando i cicli pasquali "corretti" in tempi pasquali non ciclici (questo calendario di Milankovich coincide con il calendario gregoriano fino all'anno 2800). Di fatto, questo "calendario giuliano corretto" ha bisogno esso stesso di correzioni, in particolare, di natura canonica. Combinato artificialmente con i cicli pasquali alessandrini, porta disordine nella vita liturgica.

Così, la Kyrio-Pascha [coincidenza della domenica di Pasqua con la festa dell'Annunciazione] diventa impossibile, la festa dell'Annunciazione non può cadere nella settimana della Passione, e la sua celebrazione frequentemente non corrisponde al tempo determinato dal Tipico. Il primo e il secondo ritrovamento del Prezioso Capo del Precursore non raramente vengono dislocati dai giorni indicati dal Tipico. Ugualmente rivelatore è l'esempio del ricordo dei santi Quaranta Martiri di Sebaste. Il giorno dedicato alla loro memoria secondo il Tipico (capitolo 48 con i capitoli marciani), può cadere dal martedì della prima settimana fino al lunedì della sesta settimana della Grande Quaresima, o i Quaranta giorni santi. Le parole del servizio ai Santi Quaranta Martiri lo mostrano allo stesso modo:"O voi che avete portato la passione di Cristo, avete reso splendido l'augusto digiuno con la memoria della vostra gloriosa sofferenza; poiché essendo quaranta, voi santificate i quaranta giorni" (Gloria… delle Lodi); "il coro della radianza dei quaranta, l'intero esercito raccolto da Dio, risplendette assieme sul digiuno attraverso sofferenze onorevoli, santificando e illuminando le nostre anime" (prima stichira di "Signore, a te ho gridato").

Sotto il calendario neo - giuliano, con il quale il giorno dei Santi Quaranta Martiri può, contrariamente al Tipico, cadere nella settimana dei latticini o persino nella settimana di carnevale, queste parole di preghiera perdono il loro significato. Non infrequentemente, anche la celebrazione del giorno della memoria del santo Grande Martire Giorgio è violata dai neo - calendaristi. Il peggiore di tutti i casi, comunque, è quello del digiuno di Pietro, o digiuno degli apostoli. L'istituzione di questo digiuno nella Chiesa è già testimoniata nelle Costituzioni Apostoliche : "dopo Pentecoste, celebrate per una settimana, e quindi digiunate" (libro 5, capitolo 9). Secondo l'antica prescrizione, questo digiuno inizia il lunedì successivo alla domenica di Tutti i Santi, che è la prima dopo la Pentecoste. A seconda del giorno della celebrazione della Santa Pasqua, la sua durata è differente in anni differenti: il digiuno più prolungato è di sei settimane, mente il più breve è di una settimana e un giorno.

Un'intera serie di testi patristici parla dell'alto rispetto che questa festa ha goduto tra i cristiani. I riferimenti si trovano nei Santi Atanasio il Grande, Ambrogio di Milano e Teodoreto di Ciro. San Leone Magno dice che il Digiuno degli Apostoli, che segue la prolungata festa di Pentecoste, è "in special modo necessario, in modo da purificare attraverso questo sforzo i nostri pensieri ed essere resi degni dei doni dello Spirito Santo "(Sermone 76). In un altro dei suoi sermoni (74), San Leone spiega il significato di questo digiuno: "I maestri, che con il loro esempio e i loro precetti hanno illuminato tutti i figli della Chiesa, hanno delimitato l'inizio della guerra per Cristo con un santo digiuno, per avere, quando andiamo in guerra contro la depravazione spirituale, un'arma a tal fine nell'astinenza, con la quale poter mortificare i desideri peccaminosi. Questo costume dovrebbe essere tenuto con diligenza anche perché quei doni che ora sono comunicati da Dio alla Chiesa rimangano in voi."

Nelle Chiese ortodosse autocefale che hanno accettato il "calendario giuliano corretto," il digiuno degli apostoli è frequentemente abbreviato o sparisce completamente se cade nella settimana di Pentecoste, quando il digiuno è proibito dal Tipico. Negli anni recenti, ciò ha avuto luogo nel 1983 e nel 1986.

È possibile mantenere inviolata la regola liturgica di Gerusalemme (Tipico) - l'inestimabile frutto dello sforzo di preghiera dei più grandi asceti ortodossi - soltanto sotto il calendario ecclesiastico giuliano e i cicli pasquali alessandrini. Quanto al calendario neo giuliano, sotto il suo uso in un periodo di soli venti anni (1969-1989) si possono contare decine di deviazioni dal Tipico, cosa che implica un allontanamento dalla tradizione patristica, una violazione dell'unità della preghiera tra le Chiese ortodosse, e nella vita pratica dissenso e divisione tra il popolo della Chiesa. L'accettazione del calendario neo - giuliano nella pratica ecclesiastica di alcune Chiese autocefale, secondo le parole del Metropolita Antonio (Vadkovsky), "può in futuro avere conseguenze indesiderabili e persino perniciose per il bene della Chiesa universale e può servire come arma nelle mani dei suoi nemici, che sotto il sedicente pretesto dell'interesse dei popoli ortodossi, sono da molto tempo in armi contro l'unità universale." Queste parole, pronunciate all'inizio del ventesimo secolo, si sono sfortunatamente rivelate giustificate. La questione del calendario ecclesiastico appartiene a una serie di questioni quanto mai importanti di significato ecclesiastico - religioso che portano perfino alla separazione delle chiese. "Che nessuno pensi che siamo in contesa a causa dei tempi, dei mesi e dei giorni, e stiamo sopportando privazioni a causa dei pleniluni e degli equinozi. Ci battiamo per la Santa Chiesa; la stiamo difendendo dai poteri dell'Ade che sono insorti contro di lei," scrive l'Arcivescovo (in seguito Metropolita) Innokenty di Pechino nella sua lettera aperta. Dopo la conferenza inter - ortodossa di infausta memoria a Costantinopoli nel 1923,l'introduzione del nuovo calendario fu spesso effettuata frettolosamente e con forzature. I moderni riformatori del calendario ecclesiastico trattano con arroganza la tradizione e la determinazione dei 318 Santi Padri del primo Concilio Ecumenico sulla Santa Pasqua, che fu confermata dal Concilio locale di Antiochia e da tutti i seguenti Concili Ecumenici. Tuttavia, non ci si deve dimenticare che gli anatemi dei patriarchi e gerarchi orientali, proclamati negli anni 1583 e 1756, incombono pesantemente sui neo - calendaristi. Secondo l'espressione dell'epistola enciclica del 1848, firmata da quattro patriarchi, i neo-calendaristi, che violano la tradizione scritta e non scritta, "volontariamente si rivestono di maledizione come di un manto" (Salmo 108:18). Il Concilio pan - russo del 1917-1918 rifiutò decisamente il nuovo stile e stabilì che il calendario giuliano ecclesiastico fosse mantenuto per il computo ecclesiastico. Quattro concili degli arcipastori della Chiesa Russa all'Estero, tenuti nel 1923, 1924, 1926 e 1931, presero la decisione di rifiutare il nuovo stile, in vista del fatto che gli anatemi dei patriarchi orientali del 1583 e del 1756 pesano su di esso anche in questi tempi, "poiché non sono stati revocati né sciolti da qualsivoglia concilio"

Nel nostro tempo di totale secolarizzazione, sarebbe utopistico proporre un ritorno al calendario giuliano per uso civile. Ciò sarebbe, nelle parole del Metropolita Vitaly (Ustinov), equivalente come sforzo a far tornare l'intero mondo occidentale contemporaneo ai primi tempi cristiani. Tuttavia, è necessario opporsi consapevolmente a tutte le manipolazioni del calendario ortodosso. "E voi, cristiani pii e ortodossi, mantenetevi in quelle cose che avete imparato, in cui siete nati e siete stati cresciuti, e quando la necessità chiama, effondete il vostro stesso sangue per mantenere la fede e la confessione dei Padri; custodite voi stessi e siate attenti in queste cose, in modo che anche il nostro Signore Gesù Cristo vi aiuti."

La Chiesa ortodossa russa (in Russia e all'estero), i monasteri del Santo Monte Athos, così come le Chiese Ortodosse di Gerusalemme, di Georgia e di Serbia e tutti gli zelati dell'eredità patristica si tengono fermamente ancorati al calendario ecclesiastico giuliano, e nonostante molte pressioni si rifiutano di accettare il nuovo stile. In un'epoca di compromessi e di inaudite deviazioni canoniche, di perdita di riverenza di fronte alle cose sante, di scandalosa abbreviazione dei servizi divini, del rifiuto del digiuno, per non parlare del "sacerdozio" femminile, questa totale rottura con la Tradizione Sacra; in un'epoca in cui "l'abominio della desolazione" si impadronisce anche dei circoli ecclesiastici, bisogna definire la verità "non per mezzo della generale coscienza della Chiesa, che al presente non è sufficiente, ma per mezzo della generale Tradizione della Chiesa, in accordo con la Chiesa antica."

Come nei tempi dei monoteliti e degli iconoclasti, bisogna cercare la risposta alla dolorosa questione moderna del calendario ecclesiastico nella Tradizione Sacra, ricordando l'esempio del venerabile Massimo il Confessore, che respinse l'eresia monotelita come innovazione, e si rifiutò di essere in comunione con il patriarca monotelita, "anche se l'universo intero fosse stato in comunione con lui" (Letture dei Minei, 21 gennaio). Allo stesso modo, sia i confessori che i martiri, che soffrirono a causa delle sante icone, si batterono contro l'iconoclasmo, senza aspettare un concilio, ma facendosi guidare unicamente dalla Tradizione Sacra, criterio quanto mai affidabile nel risolvere i turbamenti ecclesiastici.

Riguardo al calendario ecclesiastico, ci si può domandare con le parole del Beato Agostino sull'eresia pelagiana: è proprio necessario radunare un concilio per denunciare una simile manifesta perdizione? E se l'eresia pelagiana fu condannata solo a un concilio locale cartaginese, e nondimeno fu respinta da tutta la Chiesa ortodossa, allora anche il nuovo stile, che fu condannato non da uno, ma da molti concili e sinodi, dovrebbe alla fine essere respinto da tutti gli ortodossi veramente credenti. Quanto alle vane argomentazioni dei patroni della riforma del calendario ecclesiastico, che hanno fatto per se stessi un idolo della scienza, "che essi sappiano che agli ortodossi non conviene essere guidati nella vita della Chiesa dalla scienza, bensì dalla Grazia."

Il movimento ecumenico contemporaneo cerca soluzioni che possano risolvere la questione del calendario. Tra le altre proposte riguardo a tale questione, due solo quelle più spesso deliberate:

1. Assegnare la festa della Santa Pasqua in un giorno fisso secondo il calendario gregoriano (la prima o la seconda domenica di aprile). Questa proposta, che è in completa rottura con la determinazione del Concilio di Nicea, fu sostenuta dal Concilio Vaticano Secondo.

2. Determinare la data della celebrazione della Pasqua impartendo un significato astronomico letterale ai concetti di "equinozio" e di "plenilunio."

Secondo l'opinione di A. N. Zelinsky, entrambe queste proposte sono inaccettabili. La prima, in connessione con le insufficienze astronomiche e canoniche del calendario gregoriano e delle sue modifiche; la seconda, in connessione del fatto che la "accuratezza astronomica,"compresa in modo letterale, metterebbe la Chiesa in costante dipendenza dal progresso della conoscenza astronomica; inoltre, la soluzione non sarebbe canonica, poiché permetterebbe la coincidenza della Pasqua cristiana con il Passaggio ebraico, ovvero, conducendo a una totale rottura con la tradizione patristica. "Se le confessioni cristiane sono destinate un giorno a unirsi," scrive Zelinsky, "allora tale unione, nella sfera del calendario liturgico ecclesiastico, dovrebbe fondarsi su solide e incrollabili fondamenta. Queste fondamenta possono essere solo il sacro sistema calendariale cosmologico del Grande Ciclo della Creazione: la brillante creazione conciliare di anonimi devoti della scienza e della fede."

La Chiesa ortodossa veramente tale (indipendentemente dal numero o dalla ufficialità, ma solo sulla base della fede) non ha accettato alcuna divergenza dalle prescrizioni dei Santi Padri. La cronologia giuliana rimane inviolabile nella vita della Chiesa ortodossa. Molti eminenti studiosi nel mondo ortodosso e non solo furono sostenitori del calendario giuliano, tra di loro i Proff. V. V. Bolotov ed E. A. Predtechensky, il Prof. N. G. Glubolovsky, il grande accademico e teologo russo Padre Prof. D. A. Lebedev, e tutto il pio popolo dei credenti. "In considerazione della risoluta resistenza del popolo," risultò impossibile introdurre "lo stile giuliano corretto" in Russia nell'anno 1923, nonostante la decisione che fu presa. Il Metropolita Innokenty di Pechino e della Cina scrisse che "ogni tentativo di 'correggere o sostituire i nostri cicli pasquali deve essere considerato come un tentativo di portar via dal tesoro della Chiesa uno dei suoi oggetti più preziosi, del quale essa può giustamente vantarsi di fronte agli eruditi del nostro tempo."

Nel prendere parte alla commissione sulla questione della riforma del calendario in Russia, il Prof. V. V. Bolotov parlò della questione così: "Come prima, io resto decisamente un devoto del calendario giuliano. La sua estrema semplicità costituisce il suo vantaggio scientifico su qualsiasi calendario riformato. Penso che la missione culturale della Russia nella questione presente consista nel mantenere in esistenza il calendario giuliano ancora per qualche secolo, e attraverso questo mezzo facilitare per i popoli occidentali un ritorno all'antico stile incorrotto dalla riforma gregoriana, di cui nessuno ha bisogno."

E così, la riforma gregoriana del calendario - che è realmente un "nuovo" stile - è una testimonianza del nuovo approccio razionalistico alla categoria del tempo. A partire dal Rinascimento, l'uomo vuole divenire il padrone del tempo. Il tempo perde per lui la dimensione mistica; cessa di essere il tempo dell'attesa, per divenire il tempo del progresso. Ma "il progresso... percepibile e accelerato è sempre un sintomo della fine." E forse, allora non vi sarà più tempo... per il pentimento. Il tempo è una creazione di Dio. Il tempo, così come tutta la creazione, ha perduto la sua primitiva perfezione con la caduta dei nostri progenitori nel peccato, e ora attende la liberazione insieme a tutta la creazione. Dio compie la santificazione della creazione, che partecipa della sua vita celeste. Nello stesso modo, si compie anche la santificazione del tempo. Perciò, si può parlare del calendario ecclesiastico come di una icona di questa santificazione del tempo. È ovvio che esiste anche il tempo non santificato, che non posto in questa icona. Il tempo cosmico, con tutti i suoi ritmi, in sé non è ancora un soggetto di iconografia ed è santificato solo attraverso un rapporto con la storia sacra. Da qui l'incompatibilità del tempo santificato e quello non santificato, delle feste della Chiesa e di quelle secolari. La profanazione del calendario ecclesiastico è un tentativo sacrilego di contaminare ciò che è santo, un tentativo di espellere ciò che già è stato santificato dal regno dei cieli verso il mondo esteriore.

Avendo manipolato la cronologia, santificata per secoli, del calendario giuliano e dei cicli pasquali alessandrini, i compilatori del calendario gregoriano (e dopo di loro - anche se indirettamente - quelli del calendario giuliano "riformato") prima di tutto hanno operato nel senso di consolidare l'autorità del Papa di Roma, che stava traballando dopo la riforma protestante. La riforma gregoriana, che si era permessa di "abolire" dieci giorni realmente esistenti, rifletteva quella generale condizione dell'anima e della mente in Occidente, secondo la quale il tempo iniziava a dipendere dalla volontà umana. Il razionalismo, che aveva preso possesso delle menti, iniziò a meccanizzare il mondo e desiderò gestire le leggi della natura e del tempo. "I fiori del male," piantati in quei tempi, diedero i loro frutti amari nella nostra era.

Al termine del ventesimo secolo, la gente ha iniziato a parlare in modo un po' più scettico delle "conquiste" del Rinascimento. Il pensiero dell'uomo di oggi, che volge uno sguardo mentale alla secolarizzazione, alla scristianizzazione, e, insieme a loro, al completo declino morale che seguì il Rinascimento, sta iniziando a interpretare il Rinascimento e ad accostarlo in modo differente. Indagando nella genealogia del degrado morale dell'uomo moderno, si può notare che esso affiora dalle sue radici precisamente all'epoca del Rinascimento, l'epoca dello sforzo senza freni che l'uomo compie per elevarsi, per stabilirsi al di sopra di tutte le cose: sulla natura, sui suoi simili, e infine, sullo stesso Signore Iddio.

Evitando la glorificazione, e solo per stabilire i fatti, è necessario dire che la Chiesa ortodossa tradizionale, oltre ad alcune Chiese che pur mantengono, abbastanza contraddittoriamente, la comunione ecclesiastica con i neocalendaristi, come il Patriarcato di Mosca, la Chiesa Serba, il Patriarcato di Gerusalemme e parte del Santo Monte Athos, mantiene fedelmente la tradizione apostolica ed ecclesiastica. Non è la sua fedeltà il pegno della sua fioritura spirituale nel nostro tempo? Non è vero che per mezzo di questa fedeltà essa instilla speranza nei moderni uomini occidentali, che sono giunti a un vicolo cieco morale e spirituale?

Nell'anno 1988, abbiamo celebrato il millennio del Battesimo della Russia. La Russia ebbe inizio dopo il suo incontro con Cristo, e nello corso di tutta la sua difficile storia, non ha mai dimenticato l'amore della sua "gioventù." La Santa e dolce ortodossia, come altri concetti come quello di "santa Russia" sono concetti che per qualche ragione vengono riferiti al passato. Eppure, la Santa Ortodossia, ferma nell'osservanza incrollabile della Tradizione, non è mai morta: essa vive. Vive nel fervore di preghiera del popolo ortodosso, è nei cuori degli asceti che hanno intrapreso lo sforzo monastico, malgrado una crescita nell'ateismo. La Santa Ortodossia ferma ed inconcurra vive nei monasteri, nelle chiese, nel suo popolo pio e timorato di Dio. In un'era di apostasia, la Chiesa ortodossa porta al mondo la buona novella del suo amore fedele per Cristo. Ora che l'accelerazione escatologica del tempo è percepibile, essa, conservando il calendario giuliano ecclesiastico, che è stato santificato nei secoli, è essa stessa un esempio di attitudine reverente verso il tempo donato da Dio. Il fatto che il calendario gregoriano sia divenuto in pratica il calendario di tutti i paesi del mondo, non è ancora una prova della sua infallibilità e desiderabilità. "Dio non è nella forza, ma nella giustizia," disse il santo, ortodosso, Grande Principe Alexander Nevsky.

Al tempo presente, si può osservare un ritorno in Occidente all'icona,[19]che era stata dimenticata nel corso di molti secoli. Perché non presumere che ci possa essere anche un ritorno all'icona del tempo, il calendario giuliano ecclesiastico? Come sarà il tempo del futuro "ottavo giorno"? Sappiamo solo che sarà santificato, e che non sarà simile a ciò che ora è calcolato secondo il sole e la luna. Non si dovrebbe probabilmente contrapporre in modo così categorico il tempo all'eternità. Infatti, forse il tempo santificato è già eternità.

La Chiesa di Cristo unisce il temporale e l'eterno. Ciò si realizza, prima di tutto, nel mistero dell'Eucaristia. Mentre rimane nel tempo, la Chiesa, attraverso la presenza reale di Cristo, trasfigura il tempo, così come trasfigura anche il mondo. Il tempo della preghiera è un'entrata nell'eternità, nel regno di Dio, dove "Cristo è tutto e in tutti." Coloro che vivono in preghiera sanno per esperienza che durante i servizi divini o le preghiere private, alla lettura del Vangelo o del Salterio, i confini del tempo vengono come cancellati. Questo capita assieme alla sensazione di unità con Dio, quando il Signore mite e umile di cuore in qualche modo speciale ci visita. Allora il cuore risponde a questo grido divino di amore e,trovandosi al di fuori del tempo, si dimentica di tutto. Troviamo questa esperienza mistica della Chiesa nelle opere dei Santi Padri; essa viene espressa in modo particolarmente vivido San Simeone il Nuovo Teologo nei suoi sermoni e inni. Quanto ai disaccordi e alle opinioni contraddittorie riguardo al calendario giuliano, ci sembra che un argomento in suo vantaggio sia la discesa annuale del fuoco pieno di Grazia sulla Tomba del Signore: un miracolo che avviene alla riunione di molte migliaia di pellegrini il Sabato Santo secondo il calendario giuliano. In questo evento, ci si mostra la santificazione mistica di questa bimillenaria icona del tempo.

Mi prenderò la libertà di finire questo testo con le parole di un monaco ortodosso: "Il tempo è un grande mistero, e uno può toccare un mistero solo per mezzo di simboli. Il calendario giuliano è un'icona del tempo. Se vogliamo naturalizzare il concetto del tempo, come l'icona è stata naturalizzata, trasformandola in un ritratto, allora perché dobbiamo orientarci allo stile gregoriano? Ci sono calendari ancor più accurati. Ci sono il calendario degli Incas, quello di Omar Khayyam, che possiedono brillanti metodi matematici,e forse domani apparirà qualche tipo di nuovo calendario ancor più corretto astronomicamente; Ma non dobbiamo volgerci a mani tese verso gli osservatòri."

[1] Questa distinzione tra "tempo lineare" e "tempo ciclico" ha ovvi limiti. Ma è utile per comprendere le diverse visioni dell'antichità. Gli ebrei prima, ed i cristiani poi hanno sviluppato però una concezione profondamente originale del tempo. Il tempo è lineare, nel senso che cammina verso l'escaton; è ciclico nel senso che ritorna ogni anno nella celebrazione liturgica dei "magnalia Dei".

[2] lo studio delle cause, spesso delle malattie.

[3] Il grande storico delle Religioni, Mircea Elide, ha dedicato al mistero del tempo nell'esperienza religiosa umana grande spazio nei suoi studi. Ma non solo, anche nella sua opera di scrittore: in particolare sono da sottolineare i romanzi "Nozze in cielo", "La foresta proibita","Diciannove rose", tutti editi in Italia da Jaka book.

[4]Ap 10,6

[5] nota del curatore

[6] M. Eliade, , Il mito dell'eterno ritorno. Archetipi e ripetizioni. Borla, Roma, 1968, pp. 55-56.

[7] Giulio Cesare, nel 46 a.C., procedette a una riforma del calendario romano precedente usato che aveva dato origine a grandi imprecisioni ed ad una confusione notevole nel computo del tempo., dietro suggerimento, forse, dell'astronomo alessandrino Sosigene e, probabilmente, di vari filosofi e matematici. Dopo aver assegnato la durata di 445 giorni all'anno 708 di Roma (46 a.C.), che definì ultimus annus confusionis, stabilì che la durata dell'anno sarebbe stata di 365 giorni, e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare. L'anno di 366 giorni fu detto bisestile, perché quel giorno complementare doveva cadere sei giorni prima delle calende di marzo (facendo raddoppiare il 23 febbraio), e chiamarsi così bis sexto die ante Kalendas Martias (= nel doppio sesto giorno prima delle calende di marzo).Con la riforma di Giulio Cesare (che stabilì così la regola del calendario giuliano) l'anno restò diviso in 12 mesi, della durata, alternativamente, di 31 e 30 giorni, con la sola eccezione di febbraio, che era destinato ad avere 29 giorni oppure 30 (negli anni bisestili). Inoltre gennaio e febbraio diventarono i primi mesi dell'anno, anziché gli ultimi, com'era stato dai tempi di Numa Pompilio fino ad allora. E il calendario da lunisolare divenne in questo modo solare (almeno apparentemente, come vedremo più oltre), simile dunque a quello degli Egizi. Purtroppo, già nel 44 a.C., subito dopo la morte di Cesare, si iniziò a commettere errori, inserendo un anno bisestile ogni tre anziché ogni quattro anni. A ciò si pose rimedio nell'8 a.C., quando Augusto ordinò che fossero omessi i successivi tre anni bisestili, rimettendo a posto le cose. In quello stesso periodo il Senato decise di dare il nome di Augustus al mese di Sextilis, in onore dell'imperatore. Non limitandosi a ciò, stabilì anche che questo mese dovesse avere lo stesso numero di giorni del mese che onorava la memoria di Giulio Cesare, ossia Julius. Fu così che fu tolto un giorno a febbraio, che scese a 28 giorni (29 negli anni bisestili), per darlo ad agosto, mentre fu cambiato il numero dei giorni degli ultimi quattro mesi dell'anno, per evitare che ci fossero tre mesi consecutivi con 31 giorni.

[8]Non si deve assolutamente confondere, per la somiglianza dei nomi, la "Grande Indizione" Costantiniana, con l'"Indizione Romana" che si è usata indicare negli atti notarili fino agli anni '50. Quest'ultima è una computazione che si riferisce a un periodo di 15 anni, che non ha alcuna relazione col movimento degli astri. Il numero riportato dagli almanacchi indica il posto occupato dall'anno corrente nel ciclo quindicennale in corso. Il nome di indizione romana deriva non dalla Roma antica, ma dalla Roma papale medievale. Infatti il suo uso incominciò nel IV secolo d.C. per precisare le date degli avvenimenti negli atti pubblici, anche se la sua origine risale agli ordinamenti fiscali dell'imposta fondiaria sotto gli imperatori. Il primo ciclo delle indizioni si fa cominciare con l'anno 3 a.C., ma questa origine non fu sempre la stessa; da Gregorio VII in poi i papi fissarono per origine il 1. gennaio dell'anno 313. Per trovare il numero dell'indizione romana relativo, ad esempio, al 1990 basterà calcolare il resto della divisione

(1990 - 312) : 15, che è 13. Se il resto è zero, il numero dell'indizione romana sarà 15.

[9] Come vedremo più in là la Grande Indizione è la caratteristica specifica del Calendario Giuliano Costantiniano: "Quanto al calendario giuliano, di cui ci occupiamo, la sua semplicità, vitalità e praticità stanno nel fatto che i giorni ritornano alle stesse date dopo 28 anni, e le lune nuove e piene dopo 19 anni. Il ciclo pasquale, o la Grande Proclamazione, contiene 532 anni. E 'costruito per mezzo della combinazione del "ciclo della luna" di 19 anni con il "ciclo del sole" di 28 anni (La ragione di ciò è che in un periodo di 28 anni si elidono tutti gli spostamenti del calendario dovuti non solo agli anni comuni, ma anche agli anni bisestili (in quanto in questo arco di tempo sono contenuti esattamente 7 anni bisestili). Questo calcolo non funziona più col calendario gregoriano perché se il periodo di 28 anni è scelto a cavallo fra due secoli, quanto detto non è più valido quando l'anno secolare, a causa della riforma gregoriana, non è bisestile (come il 1900).Negli almanacchi è riportato sotto il nome di ciclo solare il numero d'ordine che l'anno corrente occupa nel ciclo solare in corso. Poiché dai cronologisti è stato adottato l'anno 9 a.C. come primo anno di un ciclo solare, per trovare il numero del ciclo solare relativo, poniamo, al 1990, si svolge la seguente operazione: (1990 + 9): 28. Se svolgiamo la divisione abbiamo come quoziente 71, col resto di 11: il primo è il numero di cicli solari interi trascorsi dal 9 a.C. fino al 1990, il secondo indica il posto occupato dal 1990 nel ciclo in corso a questa data (ed è il numero riportato dagli almanacchi sotto il nome di ciclo solare).

Se il resto della divisione è uguale a 0, il numero relativo al ciclo solare dell'anno in corso risulta essere 28. Il numero 532 è, quindi, e giova ripeterlo, il risultato della moltiplicazione dei due valori: 19 e 28. In tal modo, il ciclo pasquale consiste di ventotto "cicli della luna" di 19 anni, e diciannove "cicli del sole" di 28 anni. Questo sistema crea un ritmo matematico unico. Al termine di una Grande Indizione, le fasi della luna e i giorni della settimana ritornano alle stesse date. Così, la quindicesima proclamazione è stata in corso dall'anno 1941; di conseguenza, la Pasqua nell'anno 1941 fu celebrata nella stessa data dell'anno 1409 (vale a dire, 532 anni prima), mentre nell'anno 1988 è caduta nello stesso giorno dell'anno 1456, e così via. Questa ciclicità interna, che è stata posta nella natura del calendario giuliano stesso, ci dà le basi per esaminarlo ( a differenza del calendario gregoriano) come calendario veramente perpetuo)".

[10] "Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sull'imbrunire, sarà la Pasqua del SIGNORE" (Lev. 23:5);"I figli d'Israele celebreranno la Pasqua alla data stabilita. Allora Mosè parlò ai figli d'Israele perchè celebrassero la Pasqua. Ed essi celebrarono la Pasqua il quattordicesimo giorno del primo mese, all'imbrunire, nel deserto del Sinai; i figli d'Israele si conformarono a tutti gli ordini che il SIGNORE aveva dato a Mosè.Or vi erano degli uomini che, essendo impuri per aver toccato un morto, non potevano celebrare la Pasqua in quel giorno. Essi si presentarono in quello stesso giorno davanti a Mosè e davanti ad Aaronne," (Num.9,2-6)

[11] Si tratta, ovviamente, della datazione liturgica o simbolica o sacra, ossia quella che ricorre - aritmicamente e ciclicamente - nel ritmo della vita della Chiesa che è proiezione terrena dell'armonia della creazione cosmica restaurata in Cristo e proiettata nell'eschaton. Infatti non ci interessa poi molto il problema storico in se. Infatti Dionigi il Piccolo, nei suoi calcoli per stabilire l'anno di inizio dell'era cristiana, ha, probabilmente, probabilmente commesso un errore (forse di circa 7 anni, forse di 4 o 5). Il Signore Gesù Cristo potrebbe dunque essere nato nell'anno 747 dalla fondazione di Roma, ovvero nel 7 avanti Cristo (ma forse nel 4 o 5 a.C., o forse, come sostenuto dallo storico Giorgio Fedalto, che rivaluta i calcoli di Dionigi, poco prima dell'inizio dell'anno 1). La data esatta però non è nota: infatti la Chiesa festeggia, fin dal IV secolo, la Natività il 25 dicembre, ma solo per sostituire in questa data i festeggiamenti pagani al Sole, nei giorni in cui, passato il solstizio d'inverno, il tempo di luce di ogni giorno inizia ad allungarsi. Celebrazione che si addice perfettamente alla nascita del "Sole di giustizia" dell'"Oriente dall'alto", come ama definire il Signore la Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa. Anche sulla data di morte vi sono parecchie incertezze, ma le due date più accreditate sono quelle del 7 aprile 30 e del 3 aprile 33. Entrambe queste date, però, cadono di venerdì (la "Parasceve dei Giudei", come dice il Vangelo di S. Giovanni, perché quell'anno era il 14 Nisan) e precedono la prima domenica di luna piena di primavera, soddisfacendo le norme del Concilio di Nicea per il calcolo della data di Pasqua. La tradizione della Chiesa ha sempre considerato l'anno 33 come quello in cui Gesù fu crocifisso, morì e risorse.

[12] La Chiesa Ortodossa ha rigorosamente conservato il computo biblico di contare il giorno da tramonto a tramonto, così che il Vespro, sviluppo dell'antico Officio della "introductio lucernae in coena communitatis" sia l'apertura del nuovo giorno.

[13] Nel Calendario Ebraico l'anno può essere comune (se composto di 12 mesi lunari per un totale di 353, 354 o 355 giorni, a seconda che sia difettivo, regolare o abbondante) oppure embolismico (se composto di 13 mesi lunari per un totale di 383, 384 o 385 giorni). Dodici anni comuni (il 1°, 2°, 4°, 5°, 7°, 9°, 10°, 12°, 13°, 15°, 16°, 18°) intercalati con sette anni embolismici (il 3°, 6°, 8°, 11°, 14°, 17°, 19°) formano un ciclo diciannovennale che si ripete continuamente (ciclo Metonico), poiché equivale a diciannove anni solari. Perciò questo calendario si definisce lunisolare. I mesi del calendario ebraico sono: Tishri, Heshvan, Kislev, Tevet, Shevat, Adar, Nisan, Iyar, Sivan, Tammuz, Av, Elul. Gli anni embolismici hanno 13 mesi, raddoppiando il mese di Adar. I mesi hanno una durata di 29 o 30 giorni, generalmente (ma non sempre) in modo alternativo (29-30-29 ecc.).L'inizio del giorno ebraico si ha al tramonto del sole, convenzionalmente (ai fini dei calcoli del calendario) alle ore 18, ora di Gerusalemme.Ogni ora è suddivisa in 1080 parti. Gli Ebrei contano gli anni a partire dalla prima luna nuova dell'anno della creazione del mondo secondo la Bibbia. Questo momento corrisponde a 5 ore e 204 parti dopo le ore 18 (quindi poco prima di mezzanotte) del 6 ottobre 3761 a.C., secondo il calendario giuliano. Questo giorno è il giorno 1 del mese Tishri. Da questo giorno parte il calcolo dei mesi e degli anni, secondo il ciclo di 19 descritto sopra, composto da anni comuni ed embolismici. A loro volta anche gli anni comuni possono distinguersi in anni di 353, 354 o 355 giorni, e gli embolismici in anni di 383, 384 o 385 giorni. Questo avviene secondo il seguente meccanismo. L'anno dura di regola 354 giorni; se però la luna nuova cade dopo mezzogiorno del giorno che dovrebbe essere il nuovo capodanno, questo slitta di un giorno, così come slitta di un altro giorno nel caso in cui il capodanno dovesse cadere di mercoledì, venerdì o sabato. In questo modo può succedere che risultino 2 anni consecutivi di 356 giorni: in questo caso si ritarda di 2 giorni l'inizio del primo di questi 2 anni. Analogamente, se dovessero risultare 2 anni consecutivi di 382 giorni, si correggerebbe ritardando di 1 giorno l'inizio del secondo di questi 2 anni. Pur essendo di diversa durata e iniziando in periodi diversi (in particolare, l'anno del calendario ebraico ha una durata e quindi un capodanno variabile), il calendario ebraico e il calendario giuliano (e gregoriano) si raggiungono ogni 19 anni, come detto sopra, per cui nel corso dei secoli marciano di pari passo.

[14] Non è semplice spiegare a chi non s'intenda di matematica o di astronomia cosa sia l'epatta. Ci proviamo partendo dal calendario gregoriano - che ci è più familiare - per tornare al nostro calendario ortodosso. Premettendo che l'età della luna è uguale al numero di giorni trascorsi dall'ultimo novilunio. L'epatta relativa a un determinato anno è l'età della luna al 31 dicembre dell'anno precedente..La seguente regola serve a calcolare l'epatta di un anno gregoriano qualunque: si moltiplica il numero d'oro (vedi dopo) per 11, .dal prodotto si sottrae 10, il risultato si divide per 30, e si ottiene un resto, che indichiamo con a. Si sottrae 15 dal numero secolare dell'anno proposto (ovvero il numero formato escludendo le ultime due cifre dell'anno) e si ha un numero b. Si divide b per 25, si toglie il quoziente dal dividendo, si divide questa differenza per 3, e si ottiene un quoziente c. Si moltiplica b per 3, si divide il prodotto per 4, e si ottiene un quoziente d. Si sottrae c da d, e si divide il risultato per 30; il resto di questa divisione sia chiamato e. Se infine si sottrae e da a, si ha l'epatta. Nel caso che e sia maggiore di a, si sottrae a da e, poi si sottrae il risultato da 30, ottenendo così l'epatta. Di tutti i quozienti si considera solo la parte intera, trascurando le cifre decimali. Lo schema delle operazioni da eseguire è il seguente: [(n. d'oro x 11) - 10] : 30 (r) = resto = a; n. secolare anno - 15 = b; [b - (b : 25)] : 3 = c; (b x 3) : 4 = d; (d - c) : 30 (r) = resto = e; a - e = epatta; oppure: 30 - (e - a) = epatta. Ecco un esempio, relativo al calcolo dell'epatta per il 1990: 15 (= n. d'oro) x 11 = 165; 165 - 10 = 155; 155 : 30 = 5 con resto 5; a = 5; 19 (= n. secolare anno) - 15 = 4; b = 4; 4 : 25 = 0,16; 4 - 0 = 4; 4 : 3 = 1,3; c = 1; 4 x 3 = 12; 12 : 4 = 3; d = 3; 3 - 1 = 2; 2 : 30 = 0 con resto 2; e = 2; 5 - 2 = 3; epatta per il 1990 = 3.

Conoscendo però l'epatta di un anno qualsiasi, è molto facile sapere l'epatta degli anni ad esso più vicini. Essendo la durata di una lunazione di circa 29 giorni e mezzo, e calcolando i computisti sia antichi che moderni i mesi lunari alternativamente di 29 e di 30 giorni, l'epatta è sempre un numero che varia tra 0 e 29, poiché se l'epatta fosse uguale a 30, sarebbe come se fosse 0. Sappiamo inoltre che 12 lunazioni intere formano circa 354 giorni, con un residuo rispetto all'anno solare di 11 giorni circa se l'anno è comune e di 12 se è bisestile. Per questo motivo da un anno all'altro l'epatta aumenta di 11 unità, e quando diventa maggiore di 30 basta sottrarre questo numero. Così, se l'epatta del 1990 è 3, quelle degli anni successivi saranno rispettivamente 14, 25, 6, 17, ecc. Ogni 19 anni, però, proprio in corrispondenza degli anni con numero d'oro uguale a 1, l'epatta aumenta di 12 unità rispetto all'anno precedente (con numero d'oro 19).Ma il calendario gregoriano è fissato sul problema dell'esattezza astronomica più che su quello del "mantenimento del ritmo" (ricordiamo che un calendario perfetto è impossibile e che quindi è necessario scegliere, e si sceglie sulla baso di come si vuol concepire il calcolo del tempo) poiché la durata del ciclo metonico non è esattamente di 19 anni, ma più breve di circa un'ora e mezza, per conseguenza le epatte crescono di un giorno ogni 300 anni circa, e di 8 giorni ogni 2500 anni circa. Fino al 1582 questo "particolare" era stato trascurato: il ciclo metonico veniva considerato di 19 anni esatti e per sapere l'epatta (in maniera astronomicamente imprecisa), partendo dal numero d'oro, era sufficiente effettuare il seguente calcolo:

epatta = (r) [11 x (n-1)] : 30,

intendendo per (r) il resto della divisione per 30 e per n il numero d'oro.

Nella riforma gregoriana del calendario si è provveduto ad attuare questa correzione, chiamandola equazione lunare. Come si osserverà dopo queste aggiunte di quantità temporali per adeguare il calendario alla corrispondenza fisica dell'astronomia vengono pagate con un alto prezzo: appunto l'interruzione del ritmo. Il calendario cessa di essere e ciclico, e armonico. Fu stabilito così che alle epatte degli anni del periodo 550-800 si dovesse aggiungere una unità negli anni 800, 1100, 1400 e 1800, e che in seguito si ripetesse l'aggiunta di una unità ogni 300 anni per 7 volte, mentre l'ottava volta l'aggiunta di una unità sarebbe avvenuta dopo 400 anni. La seguente tabella dà così il numero di unità da aggiungersi alle epatte del periodo 550-799:

EQUAZIONE LUNARE

Anni dell'era volgare Equazione lunare

550 0

800 1

1100 2

1400 3

1800 4

2100 5

2400 6

2700 7

3000 8

3300 9

3600 10

3900 11

4300 12

4600 13

Sempre nella riforma gregoriana si calcolò che l'anno 551, considerato anno base per l'equazione lunare, dovesse avere numero d'oro 1 ed epatta 8. Partendo da questo dato, è anche possibile calcolare l'epatta per il periodo successivo al 1582 utilizzando la formula seguente:

epatta = y + 8 + equazione lunare - giorni tolti dalla riforma gregoriana, dove

y = (r) [11 x (n-1)] : 30,

ossia l'epatta secondo il vecchio metodo di calcolo (intendendo come al solito per (r) il resto della divisione e per n il numero d'oro).

La formula: epatta = y + 8

che non tiene conto dell'equazione lunare, è quella da utilizzare per calcolare la data di Pasqua secondo il calendario Giuliano-Costantiniano. È l'epatta che viene ancor oggi utilizzata da quasi tutte le chiese ortodosse, sempre per fissare la data di Pasqua, in quanto le nostre chiese non hanno accettato la riforma gregoriana. Soltanto la Chiesa di Finlandia ha infatti adottato il calendario nuovo anche per il computo pasquale. Occorre ora chiarire cos'è il numero d'oro. Si intende per Numero d'oro quel numero che si ottiene considerando che il movimento di rotazione della Luna (su se stessa) avviene in un periodo di tempo uguale a quello della sua rivoluzione (movimento intorno alla Terra), e precisamente in 27 giorni, 7 ore e 43 minuti primi. Tale periodo di tempo è detto rivoluzione siderea o mese sidereo, in quanto coincide con l'intervallo che passa fra due congiunzioni successive della Luna con una stella fissa. Tuttavia, siccome anche la Terra si sposta lungo la sua orbita intorno al Sole, mentre la Luna compie il suo moto intorno al nostro pianeta, ne consegue che la Luna non ritorna in congiunzione con il Sole dopo un mese sidereo, ma circa due giorni più tardi. Il valore medio dell'intervallo di tempo che passa fra due congiunzioni successive della Luna con il Sole è di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti primi e 3 secondi, e prende il nome di rivoluzione sinodica o mese lunare o lunazione. Nel V secolo a.C. l'astronomo ateniese Metone scoprì che 235 lunazioni (mesi lunari) fanno quasi esattamente 19 anni solari. Per tale ragione, dopo un ciclo di 19 anni (detto ciclo di Metone o ciclo metonico o ciclo lunare) le fasi della Luna tornano ai medesimi giorni dell'anno.

In altre parole, dopo aver osservato i giorni in cui hanno avuto luogo le diverse fasi lunari per 19 anni, si noterà che il ventesimo anno queste cadranno negli stessi giorni del primo anno, il ventunesimo anno cadranno negli stessi giorni del secondo anno, e così via. Ecco perché la serie dei tempi, partendo dall'anno 1 a.C., è stata divisa in periodi di 19 anni, e a ciascun anno di ogni periodo è stato abbinato un numero naturale dall'1 al 19. Il numero d'oro è quindi il numero dell'anno nel ciclo lunare in corso. Per trovare allora il numero d'oro relativo a qualsiasi anno, basta sommare 1 all'anno, e dividere poi per 19. Il resto di questa divisione dà il numero d'oro; se però il resto è uguale a 0, il numero d'oro è 19. Meglio ancora si può ottenere dividendo l'anno per 19 e aumentando di una unità il resto così ottenuto. Per l'anno 1990, ad esempio, il calcolo è: (1990 + 1) : 19 = 1991 : 19 = 104 col resto di 15; oppure 1990 : 19 = 104 col resto di 14; 14 + 1 = 15; per cui il numero d'oro per il 1990 è 15.

[15]"Queste sono le solennità del SIGNORE, le sante convocazioni che proclamerete ai tempi stabiliti. Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sull'imbrunire, sarà la Pasqua del SIGNORE;il quindicesimo giorno dello stesso mese sarà la festa dei Pani azzimi in onore del SIGNORE; per sette giorni mangerete pane senza lievito. Il primo giorno avrete una santa convocazione; non farete in esso nessun lavoro ordinario; per sette giorni offrirete al SIGNORE dei sacrifici consumati dal fuoco. Il settimo giorno si avrà una santa convocazione, non farete nessun lavoro ordinario. Il SIGNORE disse ancora a Mosè: «Parla ai figli d'Israele e di' loro:"Quando sarete entrati nel paese che io vi do e ne mieterete la raccolta, porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta;il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti al SIGNORE, perchè sia gradito per il vostro bene; l'agiterà il giorno dopo il sabato. Il giorno che agiterete il fascio di spighe, offrirete un agnello di un anno, che sia senza difetto, come olocausto al SIGNORE.

L'oblazione che l'accompagna sarà di due decimi di efa di fior di farina intrisa d'olio, come sacrificio consumato dal fuoco, di profumo soave per il SIGNORE; la libazione sarà di un quarto di hin di vino. Non mangerete pane, n* grano arrostito, né spighe fresche, fino a quel giorno, fino a che abbiate portato l'offerta al vostro Dio. È una legge perenne, di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete.( Lev. 23:4-16)

[16] "Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case; perchè chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo, sarà tolto via da Israele.Osservate dunque la festa degli Azzimi; poiché in quello stesso giorno io avrò fatto uscire le vostre schiere dal paese d'Egitto; osservate dunque quel giorno di età in età, come un'istituzione perenne. Mangiate pani azzimi dalla sera del quattordicesimo giorno del mese, fino alla sera del ventunesimo giorno. Non mangiate nulla di lievitato; dovunque abiterete, mangerete pani azzimi"».(Esodo 12:15-20)

[17] Per comprendere appieno questa affermazione occorre avere chiari alcuni concetti astronomici: quello di Giorno sidèreo e giorno solare. Anno sidèreo, anno solare e anno civile Prendendo in considerazione il moto di rotazione terrestre (quello che la Terra compie attorno al suo asse) e il movimento di rivoluzione (quello che la Terra compie attorno al Sole) si sono create le due principali unità di misura del tempo: il giorno (durata della rotazione) e l'anno (durata della rivoluzione). Va subito precisato che si danno più definizioni di giorno e di anno. Si definiscono innanzitutto un giorno sidèreo e un giorno solare, a seconda che riferiamo la rotazione terrestre a una stella o al Sole.

Il giorno sidèreo o siderale è l'intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi di una stella sullo stesso meridiano; la sua durata, pressoché invariabile, è di 23 ore e 56 minuti, e corrisponde al tempo impiegato dalla Terra per compiere un'intera rotazione. Infatti si può considerare trascurabile lo spostamento che la Terra effettua, nel contempo, lungo la sua orbita intorno al Sole, data l'enorme distanza, dal sistema solare, della stella presa come punto di riferimento. Il giorno solare è l'intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi del Sole sullo stesso meridiano. Esso è più lungo di circa 4 minuti del giorno sidèreo (e dura perciò all'incirca 24 ore), non essendo più trascurabile lo spostamento che la Terra compie intorno al Sole mentre effettua la sua rotazione, data la vicinanza di quest'ultimo. Inoltre, il giorno solare non è una misura costante, ma è un po' più lungo in inverno e un po' più corto in estate, poiché varia la velocità del moto di rivoluzione della Terra. Il giorno solare medio, che rappresenta la media aritmetica di tutti i giorni solari di un anno, è invece una misura costante, adatto quindi alle esigenze della vita civile, ed è preso come unità-base per la misurazione del tempo. La sua durata risulta così di 24 ore esatte, ognuna delle quali (ora solare media) viene suddivisa a sua volta in 60 minuti primi, suddivisi anche questi in 60 minuti secondi. Il moto rotatorio della Terra subisce un rallentamento regolare, a causa di una trasformazione dell'energia in calore: la durata del giorno si allunga perciò di due millesimi di secondo ogni cento anni. Così come per il giorno, anche per l'anno si può distinguere quello sidèreo da quello solare. L'anno sidèreo o siderale corrisponde all'intervallo di tempo tra due passaggi consecutivi del Sole per uno stesso punto dell'eclittica, riferito a una stella. Misura la durata di una completa rivoluzione della Terra, che è di 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 10 secondi (in giorni solari medi). L'anno solare o tropico o tropicale è il periodo di tempo compreso fra due passaggi successivi del Sole all'equinozio di primavera (misura dunque il periodo di tempo intercorrente tra l'inizio della primavera e l'inizio della primavera successiva), e ha una durata di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi (in giorni solari medi, nell'anno 2000), risultando così di circa 20 minuti e 25 secondi più corto dell'anno sidèreo. Questa differenza è dovuta all'effetto di un moto secondario compiuto dalla Terra, detto di precessione degli equinozi, causato dall'azione perturbatrice che gli astri vicini esercitano sulla direzione dell'asse terrestre. In realtà, la durata dell'anno solare si accorcia di circa mezzo secondo ogni secolo, per cui l'anno 1 d.C. ebbe una lunghezza di 365 g, 5 h, 48 m e 55 s, cioè 10 secondi più dell'anno 2000. Ed è proprio l'anno solare il periodo a cui si è fatto riferimento per l'istituzione dell'anno civile, unità di misura del tempo effettivamente utilizzata e basata su un arrotondamento dell'anno solare per esigenze di praticità. Per questo l'anno civile è sempre costituito da un numero intero di giorni, che possono essere 365 (nel caso si tratti di un anno comune) o 366 (nel caso si tratti di un anno bisestile).Dal 1972 la misurazione del tempo è stata ufficialmente abbinata al numero di oscillazioni atomiche del cesio, che vibra precisamente al ritmo di 9.192.631.770 oscillazioni al secondo. La durata media ufficiale dell'anno è dunque di circa 290.091.200.500.000.000 oscillazioni di cesio, equivalenti a 365,242199 giorni. Poiché però la Terra non è così precisa nei suoi movimenti, l'orologio pilota dell'Osservatorio navale degli Stati Uniti, che misura il Coordinated Universal Time, deve essere continuamente ricalibrato quasi ogni anno, in genere con l'aggiunta di qualche secondo, per stare per l'appunto al passo degli effettivi (imprecisi) movimenti della Terra. Come diciamo anche altrove, queste "calibrature" non cicliche ma occasionali, alterano l'aspetto ritmico del calendario, con grave danno per il suo significato mistico e liturgico.

[18] È noto come Metaxakis appartenesse alla Massoneria (Gran Loggia di Grecia) alla quale era stato iniziato quando era Metropolita nell'isola di Cipro. Come è noto la Massoneria persegua un vago Deismo per il quale la credenza nel Grande Architetto dell'Universo, ordinatore del mondo, unifica gli uomini mentre le religioni lo dividono. Va dunque perseguita la strada che porta a pensare ad una sostanziale unità di tutte le fedi che si distinguerebbero solo per elementi marginali ed esteriori. Le matrici massoniche del movimento ecumenico parrebbero trarre origine di qui.

[19] Questo avvicinamento dell'Occidente ad aspetti del santo culto ortodosso è spesso esteriore e "di moda". Spesso è una vieta ripetizione di quella capacità di sincretismo senza una vera anima che ha portato nei secoli a falsificazioni e trasformismi. Va perciò guardata con attenzione ma anche con grande prudenza e discernimento.

Traduzione dello ieromonaco Ambrogio (Cassinasco), adattamento del vescovo Silvano (Livi)

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