Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

martedì 31 luglio 2012

Metropolita Anthony (Bloom +2003): "La preghiera giorno dopo giorno"

Metropolitan Anthony arranged for Daily Reading, by H. Wybrew, Springfield 1988 - traduzione: Riccardo Larini, edizioni Qiqajon – Comunità di Bose

PREFAZIONE

Nella premessa a Vivere nella chiesa ci era parso importante sottolineare l’ecclesialità dell’agire del Metropolita Anthony Bloom, quasi un trait-d’union delle molteplici forme assunte dal suo servizio alla Chiesa ortodossa russa e ai tanti lettori dei suoi scritti spirituali. Una visione della chiesa come “madre di tutti degli uomini”, capace di farlo amare da molti cristiani non ortodossi, e da tantissimi non credenti, per anni fedeli ascoltatori delle sue parole di speranza; ma, ed è ciò che ci ha spinto a presentare al pubblico questo lavoro, un’ecclesialità fondata su un profondo spirito di preghiera.

Anthony Bloom ha scritto soprattutto su quest’ultimo tema, e quasi tutti i suoi libri sono stati tradotti in moltissime lingue, compreso l’italiano. Perché allora procedere a una nuova raccolta di suoi scritti sulla preghiera? Almeno per due ragioni. La prima è che ben pochi autori mostrano come Anthony Bloom una semplicità, coniugata a una notevole profondità spirituale. E la semplicità di chi possiede una visione lucida della realtà che vuole descrivere, ma è soprattutto la semplicità di cuore che cresce e si invera a partire da una profonda vita di preghiera. Dalle righe degli scritti del nostro autore emerge con forza l’indicibile esperienza di un profondo rapporto con il Signore. Così presi per mano, siamo condotti, passo dopo passo, giorno dopo giorno, alla scoperta di un possibile itinerario di preghiera.

giovedì 26 luglio 2012

Parliamo di musica: Influenze del canto bizantino in Occidente

di Silvia Peruchetti

Il canto greco-bizantino ebbe numerosi contatti con la civiltà musicale occidentale, tanto da influenzare largamente quest'ultima per tutta la durata del Medioevo.

L'influenza bizantina sulla musica medievale occidentale

E' universalmente noto che Bisanzio esercitò una fortissima influenza sull'arte occidentale e, soprattutto durante il 1400, anche sulla filosofia e la letteratura umanistica; meno noti, ma non per questo meno importanti, sono invece gli influssi in campo musicale, destinati ad avere ripercussioni anche per molti secoli a venire.

Influenze sul canto ambrosiano (o milanese)

Il canto ambrosiano, monodico e liturgico come quello greco-bizantino, ebbe origine dal confluire di diverse tradizioni (canto romano antico, canto franco/gallicano, canti greco-siriaci e greco-bizantini) e dall'opera di grandi personaggi come Ambrogio (vescovo dal 374 al 397, e dal quale il canto prende il nome), che ebbero il merito di introdurre forme liturgico-musicali sconosciute fino ad allora in Occidente ma ben note alla Cristianità d'Oriente. Il rito ambrosiano è inoltre l'unico tra i repertori locali creati dalle chiese occidentali (oltre a quello romano) ad essere pervenuto fino ai nostri giorni per tradizione ininterrotta.

L'influsso greco-siriaco poté avere inizio fin dall'ingresso del Cristianesimo nella regione lombarda, testimoniato anche dalla presenza di vescovi orientali, eretici ariani, ecc...; nei secoli successivi le vicende storico-religiose (trasferimento della capitale da Milano a Ravenna; esilio dell'alto clero milanese a Genova, città che era nell'orbita dell'influsso bizantino-ravennate; ecc…) aprirono le porte a nuovi elementi orientali, tanto che non è difficile cogliere echi di una sicura presenza bizantina anche nell'attuale repertorio milanese – alcune melodie presentano un testo che è una mera traduzione da originali bizantini; altri canti presentano invece uno stile decisamente affine a quello greco-bizantino, non coincidente con quello tradizionale dell'Occidente.

domenica 22 luglio 2012

La Verità

Una omelia del Vescovo Nicolaj (Velimirovic)

Non bisogna chiedere cosa sia la verità. Pilato ha chiesto a Cristo "cos’è la verità?" e non ha ricevuto nessuna risposta. Cristo non ha voluto rispondere ad una domanda sbagliata. Ci possiamo chiedere se Pilato avrebbe saputo formulare correttamente la domanda. Avrebbe dovuto chiedere - "Chi" è la verità? Se avesse chiesto così avrebbe avuto la risposta: "Io sono la Verità" gli avrebbe risposto Cristo, così come in precedenza aveva detto ai suoi discepoli: "Io sono la Via, la Verità, la Vita"

Capite, fratelli miei, di cosa sto parlando, sto parlando della frustrazione con la quale il Signore così spesso frustra l’Europa. Uno dei principali motivi è che l’Europa eretica da tanti secoli fa a Cristo la stessa domanda di Pilato: cos'è la verità? fin dal momento della separazione dalla antica Chiesa, apostolica ed ortodossa. Se chiedesse correttamente - Chi è la Verità - avrebbe la risposta: la Verità è personale, la Verità è Dio, e non è una cosa. La Verità è "Lui" e non "ciò" La Verità è Colui che che è sempre uguale e non ciò che continuamente muta. La Verità è la Divina Personalità Trinitaria, eguale nei secoli, immutabile, non passeggera, indipendente, intoccabile, irresistibile, Alfa ed Omega del tutto vivente, l’inizio e la fine del creato, la fiamma della luce che mai si spegne, la culla della vita, la Mente e la Sapienza che sorge ad Oriente, l’immenso ed irresistibile Amore, lo Spirito della Vita che tutto risuscita, la Parola che fa ogni cosa, la Gioia che supera ogni canto, la Pace che sorpassa ogni intendimento, la Capacità di realizzazione che supera ogni sogno, l’Artista che insegna l’arte alle formiche, alle api, agli uccelli ed agli uomini.

venerdì 20 luglio 2012

Dire "Amen" alla nostra Storia

di Padre John Shimchick - Articolo tratto da "Jacob's Well", Giornale della Diocesi di New York e New Jersey, Chiesa Ortodossa in America.

Tutto inizia nella metà del sesto secolo come innovazione liturgica. l'imperatore Giustiniano viene a conoscenza che alcuni sacerdoti, nell'area di Costantinopoli e nelle sue province, iniziavano a recitare le preghiere Eucaristiche e quelle battesimali sommessamente (a voce, quindi, non udibile ).

L'imperatore stesso protestò vigorosamente e nell'intento di contrastare questo, ed altri abusi che venivano praticati nella vita della Chiesa, nel 565 Pubblicò la Novella 137, in questo documento troviamo la seguente asserzione: "Più volte Noi ordiniamo a tutti i Vescovi e Sacerdoti di recitare le preghiere della Divina Oblazione e del Santo Battesimo non in voce inaudibile, ma in modo che esse possano essere ascoltate dal Popolo fedele, così che le loro menti siano stimolate ad una compunzione maggiore." [1] Nonostante i suoi sforzi, Giustiniano non riuscì a fermare questa pratica.

Questa situazione "aprì la strada ad un cambiamento fondamentale non solo nell'ambito delle pratiche liturgiche ma anche nel sentimento eucaristico popolare". [2] Da questo momento in poi si sviluppa una concezione più allegorica della liturgia. Ogni azione, che prima aveva un significato strettamente pratico, ora assume altri significati, spesso relativi alla Vita di Gesù Cristo: Il Piccolo Ingresso simboleggia il Suo ministero pubblico, il Grande Ingresso si fa allegoria della Sua sepoltura.

lunedì 16 luglio 2012

La preghiera di Gesù nella spiritualità esicasta

Di P. Placide Deseille, tratto da: La Prière de Jésus dans la Spiritualité Hésychaste - Monastère Saint Antoine le Grand.

Da una trentina d’anni, numerose pubblicazioni hanno rivelato agli Occidentali un metodo di vita spirituale familiare ai cristiani d’Oriente, il cui momento principale è dato dall’invocazione ripetuta incessantemente:“Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore ”.

Motivatamente parliamo di metodo di vita spirituale: perché la Preghiera di Gesù non può essere considerata una semplice orazione giaculatoria paragonabile a quelle raccomandate dalla pietà cattolica, anche se il metodo occidentale delle “aspirazioni” possa collegarsi allo stesso filone tradizionale risalente ai Padri del deserto.

Ma la Preghiera di Gesù è inseparabile da una dottrina di vita spirituale che i cristiani bizantini e slavi considerano volentieri il cuore dell’ortodossia: l’esicasmo. Perciò, se si vuole cogliere il significato e la portata dell’invocazione del Nome di Gesù nella spiritualità ortodossa, è indispensabile conoscere le grandi linee di questa dottrina.

Le origini del metodo

La via esicasta poggia su un doppio fondamento: la dottrina della deificazione dell’uomo in Cristo, così come formulata dai Padri della Chiesa greca, e l’insegnamento pratico dei Padri del deserto sulla custodia del cuore e la preghiera continua. Messi di fronte alle eresie trinitarie e cristologiche, i grandi vescovi e i teologi dell’Oriente elaborarono una dottrina che non era puramente speculativa, ma coinvolgeva profondamente una concezione del destino spirituale dell’uomo. Come ripeteranno instancabilmente di fronte ai negatori della consustanzialità del Verbo o delle due nature di Cristo, se il Verbo non è Dio, l’uomo non può essere divinizzato; se una natura umana integrale non è stata unita “senza separazione né confusione” alla natura divina in Cristo, l’uomo non può più essere salvato e divinizzato. Divinizzazione che veniva concepita in maniera estremamente realistica, non indubbiamente come unione ipostatica di ogni persona umana con l’essenza divina, ma come una compenetrazione vitale dell’agire increato di Dio, alla guisa e nel prolungamento della deificazione della natura umana di Cristo.

lunedì 9 luglio 2012

Un discorso ispirato e profetico di San Justin Popovic: La cultura europea e il Cristianesimo

Da “Svetosavlje kao filosofija zivota” 1953

La cultura europea ha per fondamento l’uomo e nell’uomo si esauriscono il suo programma ed il suo fine, i suoi mezzi ed il suo contenuto. L’Umanesimo ne è il principale architetto. Essa infatti è costruita sul principio: L’uomo – quello europeo – è misura di tutte le cose, di quelle visibili e di quelle invisibili. Egli è il sommo creatore dei valori e colui che li distribuisce. La verità è quella che egli proclama come tale; il bene ed il male sono ciò che egli riconosce come tali. Per dirla in breve e con chiarezza: l’uomo europeo s’è proclamato dio. Non vi siete forse accorti come egli ami atteggiarsi a dio, con la scienza e con la tecnica, con la filosofia e con la politica, con l’arte e con la moda – si atteggia a dio ad ogni costo, sia pur con l’Inquisizione e con il Papismo, con il ferro ed il fuoco, e perché no? Anche con il trogloditismo ed il cannibalismo? Con il linguaggio della sua scienza umanistico-positivistica ha dichiarato che Dio non esiste. E guidato da questa logica coraggiosamente ha concluso da tutto ciò: Visto che non c’è Dio, sono io dio!

Nulla ama tanto l’uomo europeo quanto atteggiarsi a Dio, sebbene nell’universo sia come un topo in trappola. Per dimostrare la sua divinità, ha dichiarato che tutti i mondi che stanno sopra di noi sono vuoti, senza Dio e senza esseri viventi. Egli a qualsiasi costo vuole soggiogare la natura, per cui ha organizzato una campagna sistematica contro la natura ed a tale campagna ha dato il nome di cultura. In quest’opera ha impegnato la sua filosofia e la sua scienza, la sua religione e la sua etica, la sua politica e la sua tecnica. Ed è riuscito a levigare un pezzettino della crosta della materia, ma non l’ha trasformata. Lottando con la materia, l’uomo non è riuscito a renderla umana, ma essa è riuscita a limitarlo ed a renderlo superficiale, a ridurlo a materia. Ed egli, circondato da essa, si riconosce in essa.

mercoledì 4 luglio 2012

L’icona “Il Roveto ardente”

L'icona della Madre di Dio detta "Roveto ardente" deve il suo nome al miracolo testimoniato da Mosè stesso nel vecchio testamento. Nel III capitolo dell'Esodo, Dio chiama Mosè sul monte Oreb, dal mezzo di un cespuglio che bruciava a fuoco vivo, ma senza consumarsi egli ode la voce di Dio che gli comunica l'incarico di salvare gli Ebrei dalla schiavitù in Egitto. In quella occasione Dio confida a Mosè il suo nome: "Io sono Colui che sono" (Esodo 3, 14).

La Chiesa rifacendosi alla tradizione dei Santi Padri ed ai suoi Concili Ecumenici, ritiene che le fiamme che Mosè vide erano di fatto la Gloria di Dio fattasi luce, e preannunciatrice della Trasfigurazione di Gesù; ecco perché il cespuglio non si poteva mai consumare. Dio concesse a Mosè di vedere la sua Gloria, che come la sua essenza stessa è eterna, quindi non consumabile. Quando Dio parlò a Mosè, questi udì la Parola del Verbo (Logos) prima ancora dell'incarnazione. La visione della gloria di Dio, come luce in questa vita come nella prossima coincide con il fatto salvifico stesso. Il miracolo del Cespuglio ardente consiste quindi in una prefigurazione della nascita di Gesù dalla Vergine Maria. La Vergine diede alla luce il Cristo pur rimanendo tale, esattamente come il cespuglio che brucia ma non si consuma.

lunedì 2 luglio 2012

La rivelazione miracolosa dell’icona della Resurrezione e delle Dodici Feste

Breve storia di un’antica icona (probabilmente del XVII secolo), che si è rivelata miracolosamente il 20 ottobre 1935

Icone_de_la_Resurrection

Una parrocchiana, di nome N., della chiesa di Asnières notò un giorno una tavola con la quale alcuni bambini stavano giocando, rigandola e trafiggendola di chiodi. La forma e l’aspetto della tavola facevano pensare a un’icona, sicché N. la prese in consegna e la portò in chiesa. La tavola-icona, nera e indecifrabile, fu affidata ad un iconografo-restauratore che non poté fare nulla per rimetterla in sesto. Alla fine venne collocata nel presbiterio, con buona pace di N., che chiamava quest’icona martire, dal momento che «essa portava, come nostro Signore, il segno dei chiodi».

Nel 1935 l’icona venne portata nella cappella di una piccola comunità monastica a Rozay en Brie. Le sorelle decisero di affiggerla a una parete poco illuminata affinché passasse inosservata, dal momento che non poteva essere venerata a causa del suo stato di illeggibilità. Il Metropolita Evlogij era atteso il 20 ottobre 1935 per la benedizione della nuova cappella. Il mattino di quel giorno le suore, intente nei preparativi, furono testimoni del miracolo. N., colei che aveva recuperato l’icona, scese nella cappella e trovò l’icona splendente in tutta la sua bellezza, pienamente leggibile nei suoi dettagli e nei suoi colori: si rivelava essere un’icona della Resurrezione e delle Dodici grandi Feste dell’anno liturgico.

L’icona era meravigliosa e sembrava vivere di una luce che proveniva dall’interno; successivamente i graffi si coprirono con un filetto d’oro, allo stesso modo in cui guariscono le ferite di un corpo umano. Il dettaglio più trascurabile appariva chiaramente: si potevano, ad esempio, contare i peli della coda del puledro d’asina sul quale Cristo entrava in Gerusalemme. Appreso del miracolo il metropolita Evlogij e i suoi sacerdoti decisero di dedicare la chiesa alla Resurrezione di Cristo. La comunità di Rozay en Brie fu chiusa nel 1972 e l’icona fu solennemente riportata a Asnières, dov’è venerata ancora oggi.