Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

lunedì 27 agosto 2012

Una critica ecclesiologica del Sinodo della Resistenza

Sul sito della Parrocchia ortodossa San Massimo di Torino, il nostro fratello e concelebrante P. Ambrogio ha tradotto un interessante ed illuminante articolo che riporto ai lettori di questo spazio. L’introduzione in corsivo è del P. Ambrogio.

L’originale in inglese lo trovate qui, la traduzione è qui.

Dopo oltre trent'anni di propaganda di stupidaggini ecclesiologiche da parte del Sinodo della Resistenza (che è stato, in più o meno larga misura, alla radice di tutte le organizzazioni scismatiche "ortodosse" in Italia), è un vero piacere veder apparire sul blog ortodosso "Mystagogy" un recente articolo di rara chiarezza sulla contraddizione ecclesiologica di base nel voler creare una contro-Chiesa in quella stessa Ortodossia di cui "si riconosce la grazia". Traduciamo e mettiamo volentieri l'articolo nella sezione "Confronti" del nostro sito. Avremmo anche noi qualche considerazione da aggiungere su questo tema in fondo piuttosto meschino, ma preferiamo lasciare la parola a figure dell'Ortodossia recente quali i padri Giovanni Romanidis, Giorgio Florovsky ed Epifanio Theodoropoulos.

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Nella sua conferenza dal titolo "Dialoghi ortodossi-eterodossi e il Consiglio Mondiale delle Chiese" tenuta presso il St. Vladimir's Seminary il 23 maggio 1980, padre Giovanni Romanidis cita quanto segue riguardo all'ecclesiologia tradizionalista del Sinodo della Resistenza del Metropolita Cipriano:

"Le quindici Chiese ortodosse canoniche, che annoverano circa 300 milioni di cristiani ortodossi, hanno inviato i loro rappresentanti a Salonicco per incontrarsi tra loro tra il 29 aprile e 2 maggio, al fine di affrontare una nuova eresia vecchio-calendarista. Questo nuovo fenomeno di agostiniani anti-ecumenisti è guidato in Grecia dal cosiddetto metropolita ortodosso Cipriano di Filì e negli Stati Uniti dal cosiddetto arcivescovo ortodosso Crisostomo di Etna, California. Sono stati colti in flagrante nel tentativo di stabilire la loro eresia agostiniana posando come nemici dell'ecumenismo in paesi come la Russia, la Bulgaria, la Serbia, la Georgia, ecc. Cipriano di Fili originariamente era stato un prete di nuovo calendario della Chiesa ufficiale di Grecia, ma alcuni anni fa ha aderito a una chiesa vecchio-calendarista. Si sospetta che dietro questo movimento vi sia chi sta cercando di penetrare i paesi ortodossi con le eresie di Agostino, con il pretesto dell'ortodossia tradizionale anti-ecumenista del Vecchio Calendario. Posando come ortodossi tradizionali super-conservatori, Cipriano di Fili e Crisostomo di Etna sono stati molto impegnati a cercare di promuovere e difendere le eresie di Agostino tra gli ortodossi, come si può facilmente vedere nelle loro pubblicazioni. Ciò che è interessante è il fatto che sia i latini che i protestanti considerano Agostino come il padre fondatore di entrambe le teologie latina e protestante. Pertanto, ciò che viene detto in questa introduzione circa la cura della malattia della religione si applica allo stesso modo a Cipriano di Fili e Crisostomo di Etna e al loro tentativo di penetrazione dei paesi ortodossi tradizionali con la teoria della malattia della religione".

giovedì 23 agosto 2012

La forza di amare è in noi stessi

Dalle "Regole Diffuse" di San Basilio il Grande, vescovo di Cesarea di Cappadocia

L'amore di Dio non è un atto imposto all'uomo dall'esterno, ma sorge spontaneo dal cuore come altri beni rispondenti alla nostra natura. Noi non abbiamo imparato da altri né a godere la luce, né a desiderare la vita, né tanto meno ad amare i nostri genitori o i nostri educatori. Così dunque, anzi molto di più, l'amore di Dio non deriva da una disciplina esterna, ma si trova nella stessa costituzione naturale dell'uomo, come un germe e una forza della natura stessa. Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità ed anche il bisogno di amare.

L'insegnamento rende consapevoli di questa forza, aiuta a coltivarla con diligenza, a nutrirla con ardore e a portarla, con l'aiuto di Dio, fino alla sua massima perfezione. Voi avete cercato di seguire questa via. Mentre ve ne diamo atto, vogliamo contribuire, con la grazia di Dio e per le vostre preghiere, a rendere sempre più viva tale scintilla di amore divino, nascosta in voi dalla potenza dello Spirito Santo.

Diciamo in primo luogo che noi abbiamo ricevuto antecedentemente la forza e la capacità di osservare tutti i comandamenti divini, per cui non li sopportiamo a malincuore come se da noi si esigesse qualche cosa di superiore alle nostre forze, né siamo obbligati a ripagare di più di quanto ci sia stato elargito. Quando dunque facciamo un retto uso di queste cose, conduciamo una vita ricca di ogni virtù, mentre se ne facciamo un cattivo uso, cadiamo nel vizio.

Infatti la definizione del vizio è questa: uso cattivo e alieno dai precetti del Signore, delle facoltà che egli ci ha dato per fare il bene. Al contrario la definizione della virtù che Dio vuole da noi è: uso retto delle medesime capacità, che deriva dalla buona coscienza secondo il mandato dei Signore.

La regola del buon uso vale anche del dono dell'amore. Nella stessa nostra costituzione naturale possediamo tale forza di amare anche se non possiamo dimostrarla con argomenti esterni, ma ciascuno di noi può sperimentarla da se stesso e in se stesso. Noi, per istinto naturale, desideriamo tutto ciò che è buono e bello, benché non a tutti sembrino buone e belle le stesse cose. Parimenti sentiamo in noi, anche se in forme inconsce, una speciale disponibilità verso quanti ci sono vicini o per parentela o per convivenza, e spontaneamente abbracciamo con sincero affetto quelli che ci fanno del bene.

Ora che cosa c'è di più ammirabile della divina bellezza? Quale pensiero è più gradito e più soave della magnificenza di Dio? Quale desiderio dell'animo è tanto veemente e forte quanto quello infuso da Dio in un'anima purificata da ogni peccato e che dice con sincero affetto: lo sono ferita dall'amore? (cfr. Ct 2, 5). Ineffabili e inenarrabili sono dunque gli splendori della divina bellezza.

venerdì 17 agosto 2012

Dalle "Catechesi" di san Cirillo, vescovo di Gerusalemme: il Simbolo della Fede

Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.

Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal 1, 8).

Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento.

Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore. Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate. Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di Ciò che vi è stato donato.

«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservare intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.

Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.

domenica 12 agosto 2012

Dalle Omelie di San Giovanni Crisostomo: sulla carità

La carità è la madre dell’amore, di quell’ amore che caratterizza il cristianesimo, dell’amore che è superiore a ogni miracolo, e che distingue i discepoli di Cristo. La carità agisce come medicina per i nostri peccati, come detersivo che deterge la nostra anima, come scala che porta in cielo. Insieme con la preghiera continua il cristiano ha bisogno anche di praticare continuamente la carità perché la carità è potente sopra ogni cosa e prepara la medicina del perdono.

Neanche la natura dell’acqua ha la forza e la capacità di pulire e di togliere la sporcizia del corpo quanto la forza della carità riesce a pulire la nostra anima. Così come non dovresti, con le mani macchiate dal peccato, cominciare la preghiera, allo stesso modo non dovresti pregare senza praticare la carità verso i nostri fratelli bisognosi. La preghiera è come il fuoco, soprattutto quando proviene da un cuore puro e timoroso di Dio, questo fuoco, però, per arrivare alle volte celesti, ha bisogno di essere alimentato dall’olio; e l’olio che alimenta questo fuoco è la carità verso i nostri fratelli. Dunque, versa olio abbondante, per sentire la gioia e per ottenere che la tua preghiera sia fatta con più vigore. Il seme si chiama carità. Il seminatore, quando va a seminare, non considera che facendo ciò svuota i suoi granai, ma guarda avanti pensando al tempo in cui raccoglierà il frutto della sementa. Perché non esitiamo quando si tratta di seminare sulla terra, nonostante sappiamo delle malattie e degli animali che rovinano il nostro raccolto, ma esitiamo quando si tratta di seminare in cielo? E quale giustificazione troverai quando, seminando sulla terra, speri, facendolo di buon grado, mentre quando dovresti seminare in cielo esiti e ti disinteressi?

mercoledì 8 agosto 2012

Parliamo di musica: Il canto russo znamenny (znamenny raspjev)

Di Dawn Gauthier



 L'illustrazione mostra la notazione znamenny con le lettere rosse Shaidurov (cinnabar) che designano l'altezza e l'inflessione di tono. L'estratto è un Irmos, parte di uno dei nove cantici che introducono un tropario o un inno d'una festa. L'illustrazione è tratta dal libro Irmosy tserkovanago znamenny penia, pubblicato dal Knigoizdatelstvo Znamenny Peniye, Kiev, 1913. (Nicholas Brill, History of Russian Church Music, Bloomington, IL: Nicholas Brill, 1980)

Introduzione al canto znamenny

Come regola generale per orientarci in questo campo, si deve dire che il canto liturgico cristiano è stato trascurato dai più per molti anni per il suo non facile accesso. Come ogni musica, il canto liturgico può essere superficialmente trovato bello, tuttavia un vero apprezzamento su di esso può nascere solo attraverso una completa comprensione della sua storia e del suo processo di composizione. In questo modo il canto liturgico può essere comparato addirittura alla musica dodecafonica del ventesimo secolo; è raro che le persone lo apprezzino pienamente senza comprendere com'è stato composto.