Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

domenica 30 settembre 2012

Alcune differenze tra gli offici divini greci e russi e il loro significato

Di Basilio Krivoshein (Arcivescovo di Bruxelles e del Belgio) - Relazione al Congresso Liturgico dell'Istituto Teologico San Sergio di Parigi, il 2 Luglio 1975

Lo scopo di questa relazione non è di esaminare in dettaglio l'evoluzione storica delle forme degli offici divini, l'origine delle specifiche differenze tra greci e russi, il significato dei differenti Tipici in questo processo, né le loro mutue influenze, etc. Io non sono un liturgista, e non mi occupo di queste cose in modo sistematico. Mi limiterò a diversi commenti e osservazioni, di natura più personale, su come si celebrano la Liturgia e altre funzioni nelle chiese greche da un lato, e nelle chiese russe dall'altro. Nel parlare delle chiese di uso greco non dimentico che il Monte Athos non adottò le riforme di Costantinopoli del 1838 e rimase fedele ai Tipici più antichi.

In questa relazione, non mi interesso solo dell'una o dell'altra variante testuale o di una differenza nelle rubriche, ma prima di tutto del significato che gli stessi atti liturgici possono avere nella consapevolezza dei fedeli, e di come questi si possono riflettere nella loro condotta religiosa, anche se tali differenze sono spesso basate su incomprensioni. Queste "varianti liturgiche" possono essere interessanti per comprendere e valutare tali particolarità di pietà popolare.

Inizieremo con alcune osservazioni più o meno ordinarie sulle differenze della celebrazione della Divina Liturgia. Si deve notare che le più grandi differenze tra i greci e i russi nelle loro celebrazioni sono collegate in un modo poco diretto al nostro tema, dato che avvengono nelle cosiddette preghiere "segrete", che non sono udibili alla maggior parte dei laici, e che pertanto non hanno influenza diretta sulla loro condotta. Nondimeno parleremo anche di questi, dato che queste preghiere costituiscono la parte più importante della Liturgia, e dato che il clero che le pronuncia fa parte anch'esso del Popolo di Dio. Lasciando da parte per il momento ciò che precede la Liturgia stessa (la Grande Dossologia per i greci, le Ore per i russi, così come la Proscomidia), ci fisseremo su di una differenza più sostanziale e caratteristica nella Liturgia dei Catecumeni.

domenica 16 settembre 2012

Il padre spirituale

“La paternità spirituale alla luce della tradizione ortodossa” di p. Symeon Koutsas (Ed. Sacra Metropoli di Kalavrita e Aigialeia, Aigion 1995) - Pubblicato originariamente in: http://www.myriobiblos.gr/texts/italian/koutsas_padre.html

A. La formazione dell'istituzione


Il senso dell’istituzione

Ogni uomo possiede un padre secondo la carne, quello a cui deve il suo ingresso nella vita. Il cristiano però, oltre al padre naturale, possiede anche un padre spirituale, quello che lo ha generato secondo lo spirito, che lo ha introdotto nella vita in Cristo e lo guida lungo la via della salvezza. La nascita naturale ci fa entrare nella vita, ci incorpora nella comunità umana; la rinascita in Cristo, un altro genere di nascita, ci fa entrare nella comunione della Chiesa e ci dona la possibilità di vivere la vita stessa di Cristo. Nella Chiesa primitiva, nella quale i credenti ricevevano il battesimo per lo più in età adulta, il padre spirituale di ciascun cristiano era il pastore della comunità che l’aveva accolto con il battesimo e l’aveva guidato alla vita in Cristo. Oggi quasi tutti riceviamo il battesimo da bambini e spesso il padre spirituale del cristiano non è il prete che l’ha battezzato, ma quello che a un certo momento della vita lo ha condotto a prendere coscienza della sua fede e lo guida nella vita cristiana.

L’esempio dell’apostolo Paolo ci consente di presentare il mistero della paternità spirituale in tutta la sua bellezza. Paolo è padre spirituale dei cristiani di Corinto e di molte altre città. Rivolgendosi ai cristiani di Corinto scrive: «Non per farvi vergognare scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante l’evangelo» (1Cor 4, 14). Paolo, insomma, per i cristiani di Corinto non era semplicemente il pedagogo e il maestro in Cristo, ma il padre, colui che li aveva rigenerati secondo lo spirito, colui che li aveva introdotti nella famiglia dei redenti. Il suo cuore apostolico si infiammava d’amore per i suoi figli spirituali e il suo stesso amore paterno in Cristo costituiva la forza motrice della sua sollecitudine apostolica. «Avrei voluto darvi non soltanto l’evangelo, ma la mia stessa vita» (1Ts 2, 8). «Piccoli figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4, 19). Non smetteva di ammonire ciascuno, tra le lacrime, proponendosi per i suoi interlocutori la loro edificazione spirituale e il loro radicamento nella vita in Cristo (cf. At 20, 31; Ef 4, 12-16).

lunedì 10 settembre 2012

La verità sui fatti serbo-croati negli anni quaranta

La spinosa questione tra il Vaticano e la Chiesa Serba riguarda il genocidio di oltre 700.000 Serbi ortodossi da parte dei fascisti Croati di Ante Pavelic tra il 1941 e il 1945. Molti di questi Serbi furono trucidati nel campo di concentramento di Jasenovac, a un centinaio di kilometri da Zagabria. Di questo campo fu comandante il frate francescano Miroslav Filipovic-Maistorovic detto "Frà Satana". Vi trovarono la morte Serbi, Ebrei, Zingari, Musulmani e oppositori politici croati. Molti erano bambini di età compresa fra i tre mesi e i quattordici anni. Le stime delle vittime degli Ustascia nel solo campo di Jasenovac variano da 150.000 a 200.000. Questo numero va inserito nel contesto più generale degli spaventosi massacri avvenuti nello Stato Indipendente di Croazia fra il 1941 e il 1945.

Cliccando su questo link:

http://www.google.it/images?hl=it&q=immagini+jasenovac&rlz=1I7PRFA_it&um=1&ie=UTF-8&source=univ&ei=W7BKTeXsHI2XOq2DldUP&sa=X&oi=image_result_group&ct=title&resnum=1&ved=0CCoQsAQwAA&biw=1276&bih=882

troverete delle foto relative a questo campo. Avverto i lettori che sono immagini davvero terrificanti. Un altro link molto interessante sull'argomento è questo: http://www.altrainformazione.it/wp/la-auschwitz-del-vaticano/ Anche qui vi sono immagini molto crude.

Di questa triste pagina della storia uno dei più foschi protagonisti fu il cardinale Alojsius Stepinac beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1998. Scopriamo il perché in questi articoli.

Serbia: il “nodo Stepinac” e il no a Benedetto XVI

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Il patriarca Irinej

 

La memoria di Costantino e le polemiche sul mancato viaggio del Papa

di Raffaele Guerra
Roma, 9/9/201

sta qui

Dietro il recente rifiuto opposto alla visita di Benedetto XVI ferve una realtà molto complessa. Già da molti mesi, infatti, il Santo Sinodo di Belgrado aveva escluso con fermezza la possibilità di invitare il Papa alle celebrazioni che si terranno il prossimo anno a Nis, in memoria dei 1700 anni trascorsi dalla promulgazione dell’editto di Milano.

Il pomo della discordia è l’annunciata preghiera che il pontefice romano aveva in programma di fare sulla tomba del cardinale Alojzije Stepinac (1898-1960), considerato dai serbi un collaborazionista del regime degli ustascia. “Il Papa”, ha commentato un anonimo esponente del Santo Sinodo serbo, “avrebbe potuto ricevere l’invito se avesse visitato l’ex campo di concentramento di Jasenovac, onorando i circa 700 mila serbi e i quasi 100 mila ebrei e rom uccisi”.

sabato 8 settembre 2012

8 settembre / 26 agosto: L'icona della Madre di Dio di Vladimir (Vladimirskaja)

“Oggi, luminosa e bella, la gloriosa città di Mosca accoglie come aurora la tua miracolosa icona, o Sovrana”. Ad essa noi accorriamo e supplici così t'invochiamo: “O meravigliosa Regina, Madre di Dio, prega Cristo, nostro Dio in te incarnatosi, di conservare questa città e tutte le città e regioni cristiane libere dalle insidie nemiche, e di salvare, come il Misericordioso, le nostre anime” (Invocazione del tropario principale dell'ufficio della festa del 26 agosto).

Tutte le icone antiche, specie quelle più miracolose, cui la devozione del popolo è molto forte, hanno in comune la tradizione che le vuole dipinte dallo stesso San Luca. Tradizione con ogni probabilità vera se si considera San Luca non come il personaggio storico in quanto tale, ma come l’iconografo perfetto, cioè colui che dopo la preghiera ed il “digiuno degli occhi” riceve la Grazia dello Spirito e divenendo il “dito di Dio”, “scrive” su una tavola di legno quella Luce increata diversamente non visibile ai nostri occhi. Per Grazia ed attraverso lo Spirito l’Immagine diviene prototipo e quindi finestra sul Cielo. E’ interessante notare come secondo la fonte cui si attinge, San Luca dipinse complessivamente sette o settanta icone, o addirittura, come qualcuno sostiene, soltanto tre (un’Odigitria, una Elousa e una icona del Segno). E’ molto probabile però che dietro questa tradizione si nasconda soltanto la dottrina evangelica del perdono. Le icone servono ad avvicinarsi a Dio, ma perché questo avvenga, il cuore del fedele che le contempla deve essere puro, diviene quindi necessario raggiungere questa purezza attraverso il perdono divino. Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. (Mt. 18,21-22).

lunedì 3 settembre 2012

Messaggio del Patriarca ecumenico per la salvaguardia del creato

Messaggio di Sua Santità Bartolomeo, per Grazia di Dio Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma, e Patriarca ecumenico, nel giorno dell’indizione del nuovo anno ecclesiastico.

+ B A R T O L O M E O


PER GRAZIA DI DIO
 ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
 E PATRIARCA ECUMENICO


CHE LA GRAZIA, LA PACE E LA MISERICORDIA
 DEL CRISTO SALVATORE GLORIOSAMENTE RISORTO SIANO CON TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA 


S.S. Bartolomeo I

Fratelli e figli diletti nel Signore,

Dio ha creato l’Universo e ha formato la terra come una perfetta abitazione per l’uomo, e ha dato a lui il comandamento e la possibilità di svilupparsi, di moltiplicarsi, di riempirla e di governare su essa e su tutti gli animali e le piante che sono in essa (Gen. 1, 28).

Il mondo che ci circonda ci è stato dunque donato dal Creatore come un campo di attività sociale, ma anche di santificazione, in attesa della restaurazione della creazione nel secolo futuro. Da sempre la Santa e Grande Madre Chiesa di Cristo sostiene e vive questa posizione teologica, perciò anche la Nostra Umile Persona è stata posta, com’è noto, a capo della iniziativa ecologica, ripresa dal nostro Sacratissimo Trono Ecumenico, per la protezione del nostro assai travagliato pianeta, volontariamente e involontariamente.

domenica 2 settembre 2012

Il Santo Mandylion

Racconto tratto dal “Sinassario del Mandylion” che data intorno all'anno 1000. Un sinassario è un testo che informa sul contenuto e sull’oggetto di una festa.

Abgar era toparco, cioè governante, re, di Edessa (l’odierna Urfa, in Turchia) e soffriva insieme di lebbra e di gotta. Aveva provato invano ogni medico e medicina. Venne a sapere dei miracoli che Gesù operava a Gerusalemme in mezzo alla ingratitudine dei giudei. Allora, nei giorni della passione, egli chiamò a sè un certo Anania (o Hanna), suo segretario e ottimo ritrattista, e gli affidò un doppio incarico: consegnare una lettera a Gesù e farne un ritratto il più fedele possibile.

Il testo della lettera era:

Abgar, toparco della città di Edessa, a Gesù Cristo eccellente medico apparso a Gerusalemme, salve!

Ho sentito parlare di te e delle guarigioni che operi senza medicamenti. Raccontano infatti che fai vedere i cechi, camminare gli zoppi, che mondi i lebbrosi, scacci i demoni e gli spiriti impuri, risani gli oppressi da lunghe malattie e resusciti i morti. Avendo udito di te tutto questo mi è venuta la convinzione di due cose: o che sei figlio di quel Dio che opera queste cose, o che tu sei Dio stesso. Perciò ti ho scritto pregandoti di venire da me e di risanarmi dal morbo che mi affligge e di stabilirti presso di me. Perché ho udito che i giudei mormorano contro di te e ti vogliono fare del male. La mia città è molto piccola, è vero, ma onorabile e basterà a tutti e due per vivere in pace.