Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

venerdì 31 maggio 2013

La "Panaghia Tricherùssa" (la Tuttasanta con tre mani)


Per gli specialisti dell'arte, l'icona è opera di un pittore greco del XIV secolo; ma per i Monaci del Monte Athos si tratta di una icona di San Luca, che si sarebbe trovata a Damasco ai tempi di San Giovanni Damasceno (VIII sec.), e al quale avrebbe fatto il miracolo di restituirgli la mano mozzata. Il Santo avrebbe poi portata con sé l'icona nella Lavra di S. Saba, presso Gerusalemme, dove trascorse il resto della sua vita. Alla sua morte, avvenuta nel 749, l'icona rimase in tale Monastero fino al secolo XIII, allorché l'igumeno la donò al metropolita della Serbia, pure di nome Saba (+ 1237), giunto in pellegrinaggio in Terra Santa.

Tornato in patria, questi ne fece dono al fratello Stefano Nemanja, re della Serbia, raccomandandogli di custodirla con cura e di venerarla come insigne tesoro di famiglia. Più tardi, dopo l'estinzione della dinastia e l'occupazione turca della Serbia, l'icona fu trasportata sul Monte Athos, divenuta nel frattempo sempre più famosa per i molti e nuovi prodigi, e fu appunto collocata nel monastero Hilandar, dove si trova tuttora.

Nell'agiografia di San Giovanni Damasceno (Santo e Dottore della Chiesa, la sua memoria cade il 4 dicembre del calendario ecclesiastico, 17 del calendario profano), viene spiegata la presenza della terza mano. La storia che segue si fonda su un fatto reale, ossia sull'energica lotta del Santo in difesa delle immagini sacre dopo il decreto iconoclastico emanato tra il 726 ed il 730 dall'imperatore Leone Isaurico.

Leone, molto irritato dal rifiuto del santo di adeguarsi alle sue disposizioni, aveva cercato di punire il Damasceno il quale, però, si trovava in territorio arabo, fuori dunque della sua giurisdizione. Trovò così uno stratagemma: mandò a Damasco lettere false che accusavano Giovanni di tramare contro il sovrano Omaiade, suo amico e protettore. Il Califfo, che pure aveva in grande stima la famiglia dell'accusato, prese sul serio la notizia: fece mozzare la mano destra di Giovanni e dette ordine di appenderla sulla piazza pubblica a scopo dissuasivo.

Venuta la sera, Giovanni si recò in chiesa, dove si prostrò davanti all'immagine della Madre di Dio; scandì tra i gemiti la preghiera seguente, chiedendo la grazia della restituzione della sua mano mozzata:

Signora, Madre purissima,
che partoristi il mio Dio,
è a motivo delle immagini sacre
che la mia mano destra è stata mozzata.
Tu non ignori la causa di questa rabbia di Leone.
Affrettati, dunque,
fa' vedere il tuo soccorso e ridammi la mia mano.
La destra dell'Altissimo,
di Colui che in te si è incarnato,
fa prodigi senza numero per la tua intercessione.
Possa Egli guarire questa mia mano destra
mediante le tue preghiere
ed essa comporrà per te e per colui che in te si è incarnato,
inni e melodie armoniose, e si farà,
o Madre di Dio, strumento della fede.
Tu puoi, difatti, ciò che vuoi,
poiché tu sei vera Madre di Dio.

Detta la preghiera, Giovanni si addormentò. La Madre di Dio gli apparve in sogno dicendo: «La tua mano è guarita, adempi senza indugio il voto che hai fatto nella tua preghiera». Destandosi, Giovanni si accorse di essere guarito. Allora si alzò e con le mani levate in alto modulò tutta la notte il seguente inno di sua composizione:

La tua destra, Signore,
si è grandemente magnificata!
La tua destra ha risanato la mia mano tagliata!
Per suo mezzo, tu getti nella confusione i nemici
che rifiutano di venerare l'Immagine tua
e quella di Colei che ti ha dato alla luce.
E nella multiformità della tua gloria
tu distruggerai per mezzo di questa mia mano
i nemici distruttori delle Immagini.

Riconosciuto l'intervento divino, il sovrano di Damasco reintegrò Giovanni nelle sue funzioni e nella sua dignità. In segno di gratitudine per la sua Benefattrice, San Giovanni fece confezionare una mano votiva in argento e la fece appendere all'icona, accanto alla mano della Madre di Dio. Alcuni sostengono che avesse fatto dipingere una mano sulla stessa icona, onde l'appellativo di Tricherùssa dato alla medesima. In seguito, l'immagine seguì il Santo nel Monastero di S. Saba, per prendere poi la strada della Serbia e, quindi, della Santa Montagna, come abbiamo ricordato.

E' interessante osservare come l’episodio accaduto a San Giovanni Damasceno è molto sentito anche nella tradizione cattolica, al punto da poter parlare di una comune devozione! In effetti la scena viene commissionata e rappresentata per ben due volte: da Guido Reni (affresco in S. Maria Maggiore, Roma) e da Luigi Miradori detto il Genovesino 1646 (dipinto conservato nella Chiesa della Maddalena, Cremona).

Le particolarità di questa icona però non finiscono qua, infatti è risaputo che il monte Athos è una zona proibita al sesso femminile! Per quanto possa sembrare strano, Hilandar è il solo monastero athonita diretto da una madre superiora e - cosa più strana ancora - la stessa da secoli!

La tradizione sostiene che quando i monaci provarono a fissare l'icona della Vergine Tricherùssa sull'iconostasi, l'icona scomparve miracolosamente per essere ritrovata "seduta" sul seggio dell'abate. Dopo che il miracolo si ripeté per tre volte, i monaci si decisero a porre l'icona sulla cattedra dell'abate e a dare alla Vergine quanto richiedeva: il primato nel loro monastero.

Tratto da "Monte Athos" Porta del cielo - di Kiros Kokkas - ed. San Paolo

Nessun commento:

Posta un commento