Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

domenica 12 gennaio 2014

Breve storia della musica e dell’arpa in Irlanda

Tratto da: http://digilander.libero.it/alfstone/la_musica_irlandese.htm

“A causa dell’imperfezione della sua natura, l’uomo è condannato a subire lo scorrere del tempo (…); il fenomeno della musica ci è dato al solo scopo di stabilire un ordine delle cose, che comprenda soprattutto una relazione tra l’uomo ed il tempo”. Igor Stravinsky, Chroniques de ma Vie.

Anche se non vi è dubbio sul ruolo del tutto particolare che la musica riveste in Irlanda, è facile constatare che i vari tentativi di un approccio storico a questo argomento hanno sempre avuto una certa colorazione di militanza ideologica. La musica tradizionale sembra avere una connotazione di carattere immutabile, eterno; ascoltando certe argomentazioni, si potrebbe pensare che i druidi danzassero le jigs, o che le ballate irlandesi risalgano all’alto Medio Evo. Inizieremo con il retroterra storico della musica irlandese, non potendosi disegnare un quadro complessivo (ammesso che esista) su di essa, a meno di risalire alle sue origini.

L’antichità

La società celtica, che nasce in Irlanda verso il primo secolo avanti Cristo, era divisa in tre competenze, o funzioni (sacerdotale, guerriera ed artigianale), secondo le categorie messe in evidenza da George Dumézil, e secondo un quadro applicabile al resto delle popolazioni indo-europee.

In Irlanda, come altrove, la musica trova inizialmente le sue origini nella religione. La classe sacerdotale (la più importante delle tre) comprendeva tre gruppi (druidi, file e indovini), a loro volta suddivisi in altre sotto-categorie, come i cruitire, o arpisti di corte. Grazie ad antichi manoscritti che descrivono la vita in quegli anni, si può stabilire che i primi musicisti irlandesi di cui abbiamo informazione erano i suonatori di arpa (cruitire, da cui cruit, piccola arpa nell’Irlandese moderno), musicisti di corte che accompagnavano i poemi dei filid, i bardi. Fra i musicisti, solo gli arpisti erano elevati al ruolo di nobiltà, senza però raggiungere il valore di un bardo.

L’arpa suonata in Irlanda durante l’antichità era però molto differente da quella che conosciamo oggi come “arpa celtica”. Il termine cruit sembra più far somigliare l’arpa di quei tempi alla “lira”: la differenza consisteva nell’assenza della colonna che chiude lo strumento sul terzo lato, colonna che fu introdotta in Irlanda solo a partire dall’VIII o IX secolo. Ciò ci porta a pensare che gli arpisti suonassero all’epoca delle arpe piuttosto piccole.

I riferimenti alla musica suonata su questa piccola arpa (“bardica”) nei testi mitologici ne attestano l’importanza. Il passaggio più interessante (ed il più citato) su questo soggetto si riferisce all’arrivo di Lug nella capitale di Tara, nella prima versione della Seconda Battaglia di Moytura:

“ - Che si suoni l’arpa - dissero i soldati. Il giovane guerriero allora suonò la prima notte un ritornello per il riposo delle truppe e del re. Egli li fece così addormentare alla stessa ora del giorno successivo. Egli poi suonò un ritornello gioioso, e tutti erano contenti e pieni di felicità. Suonò poi un ritornello triste, e così i soldati piansero lamentandosi”.

Tre prove quindi, suonate sull’arpa di Dagda, che faranno decidere Nuada ad intraprendere la battaglia contro Lug a Fomoire. Da un punto di vista letterario, le tre melodie suonate da Lug corrispondono alla divisione che si trova in molti manoscritti:

Geantraìge o musiche gioiose

Goltraìge o lamenti

Suantraìge o ninna-nanna.

Una tale classificazione sembra però non sia altro che una semplice teoria, ed allo stato delle nostre conoscenze attuali non può assumerne un valore di assoluta certezza. Va anche ricordato che, secondo le varie origini mitologiche degli dèi, una tale tripartizione potrebbe derivare il suo nome dalle tre figlie di Uaithne e Boand (la dea del fiume Boyne). Un’altra allusione significativa all’arpa compare nello stesso manoscritto, quando Dagda arriva per far rilasciare da Fomoire il suo arpista Uaithne: riprende la sua arpa appesa al muro, arpa in cui sono contenute tutte le melodie, e suona le tre arie sopra descritte, riuscendo a fuggire da Fomoire mentre tutti dormono, grazie al ritornello-ninna-nanna.

All’interno di queste considerazioni, non vi è alcun dubbio che la musica interpretata dal cruitire, oltre ad un valore magico attestato dai testi medievali, stabilisce un collegamento fondamentale tra l’uomo e le divinità. Le tracce lasciate nell’inconscio collettivo irlandese da questa tradizione aristocratica fondata sull’arpa sono considerevoli. Essa infatti diviene l’emblema della Nazione e l’immagine sulle sue monete, oltre a diventare il logo, simbolo di qualità, della sua principale (e conosciuta in tutto il mondo) fabbrica di birra scura. Una tale tradizione (nel senso moderno e più ampio del termine) deve la sua forza al persistere dell’Ordine Gaelico, in cui gli arpisti ricoprirono lo stesso ruolo di musicisti di corte, fino al diciassettesimo secolo.

Al contrario dell’arpa, la cornamusa ha ricoperto invece esclusivamente ruoli bellici o di intrattenimento popolare, per cui non ha mai potuto aspirare a raggiungere una tale caratteristica aristocratica, divenuta mitica nel corso dei secoli. Su un piano più strettamente musicologico, la questione della appartenenza della musica irlandese al corpus più ampio della musica europea rimane aperta. Se da un lato Breandàn Breathnach afferma in un articolo pubblicato nel 1968 che “la musica popolare irlandese è essenzialmente un filone della musica europea”, il compositore Seàn O’Riada sosteneva l’esatto contrario in una trasmissione radiofonica del 1962, il cui testo fu pubblicato nel 1982, vale a dire 11 anni dopo la sua morte: “La prima cosa da notare, naturalmente, è che la musica irlandese non è di origine europea” I principali esperti contemporanei non sono tra loro concordi al riguardo: il dibattito rimane aperto, e la ricerca su questo argomento è ben lontana dall’essere esaurita.

Il Medio Evo

A partire dal Medio Evo le informazioni si fanno più numerose, in particolare sulla base dei racconti dei vari viaggiatori e narratori non irlandesi; ciò facilita così le ricerche, non tanto sulle melodie o sulle caratteristiche musicali, quanto invece sugli strumenti musicali adoperati. Sembra che già nel Medio Evo la musica ed i musicisti irlandesi si fossero guadagnati una reputazione per così dire “internazionale”, e si può trovare un certo numero di testi che ne attestano l’ammirazione da parte di commentatori dell’Europa continentale.

Il più famoso di questi testi è ad opera di Giraldus de Barri, più conosciuto con il nome di Giraldus Cambrensis (o Giraud de Cambrie), un ecclesiastico gallese, la cui famiglia ebbe parte attiva nella conquista dell’Irlanda alla fine del XII secolo, e che vi andò per due volte, nel 1183 e nel 1185. Nonostante l’Irlanda fosse agli occhi di questo monaco, che aveva studiato ed era stato educato a Parigi, niente altro che un Paese popolato da barbari, il paragrafo riguardante la musica, ed in particolare l’arpa, faceva eccezione.

Anche se è difficile avere un’idea chiara e precisa delle abitudini e delle usanze connesse alla musica, sembra tuttavia più semplice definire gli strumenti musicali adoperati nel Medio Evo. Le opinioni però variano in rapporto alle traduzioni dei termini ed alla natura stessa degli strumenti. Sulla base delle ricerche di Eugen O’Curry, William Henry Grattan Flood considerava all’inizio del XX secolo che gli strumenti usati prima dell’arrivo degli Anglo-Normanni potevano essere classificati in nove categorie:

L’arpa (cruit e clàirseach)

Altri strumenti a corda (salterio, nabla, timpan, kinnor, trigonon, ocht-tedach)

L’oboe o flauto (buinne)

Due tipi di corni (bennbuabhal e corn da un lato, guthbuinne dall’altro)

Due tipi di cornamuse (cuislenna e pipaì)

Il flauto o fifre (feadan)

Le trombe (stoc e sturgan)

L’antenato del violino (fidil)

Alcune percussioni: le nacchere (cnamha), il cymbalum (craebh ciuil e crann ciuil), quest’ultimo termine da intendere genericamente come un sinonimo di timpano. Rimane tutt’ora estremamente difficile definire con certezza le differenze tra questi strumenti, essendo la confusione notevole e le traduzioni spesso approssimative. Breandàn Breathnach ritiene che il numero di strumenti la cui esistenza è accertata è di molto inferiore. Il timpàn non avrebbe alcun rapporto con il tamburino, chiamato timpano latino da Giraud de Cambrie: ritiene invece trattarsi di uno strumento a corda, antenato della famiglia della rebecca e del violino, basandosi su una descrizione poetica della Fiera di Carman dal Book of Leinster, manoscritto risalente probabilmente al XII secolo. Egli inoltre cita buinne e corn tra gli strumenti a fiato, una specie di trombe da guerra; cuiseach e feadàn sarebbero forse gli antenati del flauto, ed infine cuisle cheoil e piopaì sarebbero le prime cornamuse di origine indigena. Alcuni esempi di questi strumenti possono osservarsi incisi sulle croci del X secolo, come quella conosciuta “delle Scritture”, conservata all’interno del monastero di Clonmacnoise. In essa si può osservare un musicista che suona la cornamusa ed un altro che suona una specie di lira arrotondata, (come quelle riprodotte su altre croci, a Killarney, Kinitty o su quella di Kells) le cui prime tracce risalgono ai manoscritti anglo-sassoni dell’VIII secolo.

Anche se le rappresentazioni degli strumenti sono sopravvissute in numero abbastanza ampio, gli strumenti risalenti al Medio Evo sono estremamente rari, ed oggetto di grande attenzione, che arriva talvolta al livello di una vera e propria venerazione. Ad esempio, l’arpa conosciuta come la Brian Boru’s harp, conservata al Trinity College di Dublino deve il suo nome all’unico ard-ri, o re, della storia di Irlanda, vittorioso sui Vichinghi a Clontarf a prezzo della propria vita (1014); secondo le ultime stime però la Brian Boru’s harp risalirebbe al XIV secolo, anche se alcuni testi, come quello di Grattan Flood, la datano agli inizi del XIII secolo.

Il Rinascimento

E’ universalmente riconosciuto che il Rinascimento ebbe in Irlanda conseguenze culturali di secondaria importanza, ma sembra ugualmente importante sottolineare questo periodo che, andando dal XV al XVI secolo, vide i principali cambiamenti all’interno della società irlandese, il che ebbe di conseguenza variazioni anche nella musica irlandese; tali cambiamenti si ebbero inizialmente solo all’interno del mondo aristocratico, ma influenzarono profondamente tutto il complesso della musica tradizionale irlandese. L’iconografia del XVI secolo ci offre illustrazioni di quella che era la vita in Irlanda all’interno dell’“Ordine Gaelico”, allora in auge: tra le più famose, “The image of Ireland”, di John Derrick, pensata nel 1578 e pubblicata nel 1581. La musica di questo periodo rimane ancora una musica di corte, ed i due strumenti privilegiati sono sempre l’arpa, per il piacere delle orecchie e per l’accompagnamento dei bardi; e la grande cornamusa, per il combattimento: si ritrova quindi lo stesso quadro già descritto nei manoscritti medievali, quadro (e stile di vita) che in alcune aree dell’Irlanda perdurerà immutato sino al XVII secolo.

Tuttavia un cambiamento significativo all’interno della società irlandese avvenne gradualmente, con la scomparsa dei clan e dei loro capi. Questi, in veste di rappresentanti di una comunità, cedettero gradualmente il posto ai piccoli proprietari: in seguito all’invasione normanna, quando i capi clan irlandesi riuscivano a riconquistare le proprie terre prese dai normanni e dai loro discendenti, si consideravano non più capi tribù, ma bensì proprietari terrieri.

I capi locali ed i protettori dei musicisti di corte divennero così proprietari terrieri che accoglievano i musicisti itineranti. E’ in quest’epoca che si assiste ad una numerosa emissione di leggi che tendevano a combattere (tra gli altri) i musicisti di corte, non in quanto musicisti, ma in qualità di rappresentanti di un mondo di cui la corona di Inghilterra evidentemente voleva sbarazzarsi definitivamente. Lo Statuto di Kikenny del 1366 comprendeva già, oltre a norme che vietavano agli “inglesi degenerati” di portare i capelli lunghi, il divieto di portare un nome gaelico, o di vestire abbigliamenti gaelici, cercando così di eliminare i musicisti dalla corte. Malgrado la scarsa incidenza di tali editti sul mondo gaelico, essi furono reiterati alla fine del XV secolo e poi nel XVI secolo, segnando l’inizio del declino della figura del musicista di corte.

E’ quindi sotto il regno dei Tudor (1495-1603) e più precisamente durante il regno della regina Elisabetta I, che fu pubblicata, nel 1564, una legge che proibiva la figura del musicista itinerante, con la motivazione che essi visitavano i loro padroni più con lo scopo di fomentare la ribellione, che non di suonare. Come si è detto, questa volontà di eliminare i musicisti non aveva alcun intento di colpire la musica, tanto è vero che è noto che la stessa regina Elisabetta mantenne a corte un suonatore di arpa, chiamato Cormac MacDermott, tra il 1590 e l’anno della propria morte (1603), e che in seguito l’arpista in questione passò al servizio del sovrano successivo, Giacomo I. E’ anche questa l’epoca in cui le prime melodie irlandesi vengono incluse nelle raccolte di musica inglese, così come pure compare la prima raccolta di arie arrangiate per arpa irlandese.

Tuttavia per effetto di un decreto del 1654, durante il periodo che vide Cromwell regnare sull’Irlanda, i musicisti furono obbligati ad ottenere un’autorizzazione a circolare, specificando la loro religione. Le leggi che seguirono a partire dal 1695 non fecero alcunché per facilitare la vita di questi musicisti, un tempo venerati strumentisti dell’ordine Bardico, da ora in poi ridotti al rango di semplici musicisti itineranti.

XVIII e XIX secolo

E’ durante questi periodi travagliati della storia d’Irlanda che visse uno dei personaggi più importanti del Rinascimento irlandese, l’arpista Toirdhealbhach Ó Cearbhalláin (Turlough O’Carolan), nato delle vicinanze di Nobber, nella contea di Meath verso il 1670, e morto nel 1738. O’Carolan perse la vista da adolescente e divenne, dopo tre anni di studi grazie all’aiuto della famiglia MacDermott Roe, un arpista itinerante ed un compositore. Sebbene ad opinione dei suoi contemporanei non fosse un arpista brillante, la sua figura resta tuttavia scolpita nella memoria collettiva grazie alle sue melodie, oltre duecento. Alcune di queste risentono chiaramente dell’influenza barocca tipica del tempo, ed in particolare di alcuni compositori italiani come Corelli ed il suo allievo Geminiani; quest’ultimo spesso si era recato a Dublino; non si sa se O’Carolan e Geminiani si siano incontrati, ma probabilmente ciò non si verificò mai.

Fa la sua prima comparsa nella storia d’Irlanda un genere che può essere descritto “patriottico”, anche se il fatto è tutt’ora oggetto di discussione: lo Aisling (in gaelico “visione”) è una forma poetica complessa in cui un uomo incontra una bella e giovane donna (spéirbhean o donna del cielo); al termine di una lunga storia, la giovane gli rivela di essere l’Irlanda, che attende il ritorno sul trono d’Inghilterra del “Bonnie Prince Charlie” (il principe Charles Edward Stuart, noto come “il Pretendente”, 1720-1788), dopo che il cattolico Giacomo II (1633-1701, detto “il Corvo”) era stato spodestato nel 1688.

Questo genere conobbe una grande popolarità nel XVIII secolo, in particolare nel sud-est dell’Irlanda, perché i testi erano sempre composti su arie popolari molto note. E’ in quest’epoca che datano i nomi femminili dati all’Irlanda, come Caitlìn Nì Uallachàin, An tSeanbhean Bhocht o Càit Nì Dhuibhir. Composta da poeti-insegnanti per circolare per lo più in forma di trasmissione orale, l’arte raffinata dei discendenti dei bardi incontrava per la prima volta gli strati sociali più poveri della popolazione irlandese.

Secondo alcuni per esaurimento, per altri per degenerazione, l’Ordine Bardico scomparve alla fine del XVIII secolo, perdurando solo nelle sembianze anacronistiche di alcuni arpisti: Denis Hempson morì nel 1807 alla veneranda età di 112 anni, e Arthur O’Neill morì nel 1818, quasi novantenne. Paradossalmente, è all’ombra di questa organizzazione sociale che si vedono i primi tentativi di fare tornare in auge queste forme musicali. Iniziarono degli incontri (o concorsi, balli, o festival, a seconda degli autori) a Granard, organizzati sul modello di quelli che si tennero grazie alle iniziative di un uomo d’affari irlandese che viveva a Copenhagen, tale James Dungan, che scriveva:

“E’ da deplorare il fatto che persone altolocate, e che per rango o per ricchezza sarebbero le più indicate a svolgere opere filantropiche per il proprio Paese sono, dispiace dirlo, le meno disposte a fare. Non tenterò più di dire che si tratta di un’abitudine o di una tendenza. Mi si dice che della musica e della povertà irlandese essi conoscono solo il nome, tanto grande è in loro il desiderio di promuovere la musica inglese”.

Egli fece organizzare tre incontri nella sua città natale di Granard nel 1784, nel 1785 e nel 1786. L’idea fu ripresa a Belfast nel 1792 dai membri della giovane Belfast Harp Society, che conferì a Edward Bunting, organista all’epoca diciannovenne, il compito di annotare tutte le melodie suonate dagli arpisti dell’epoca, così da conservare, per i secoli futuri, una testimonianza dell’eredità dei Bardi. La musica divenne così, a partire dal XIX secolo, uno dei modi di affermare una distinta identità culturale irlandese; come nella maggior parte dei casi, deve ammettersi che la musica costituiva più un mezzo che un fine: uno degli esempi più eclatanti fu quello del giornale The Nation, fondato nel 1842 da Thomas Davis, Gavan Duffy e John Blake Dillon, le cui pagine si riempirono ben presto di ballate militanti scritte dai lettori. In seguito queste ballate sono diventate parte integrante del repertorio tradizionale, in particolare di quel gruppo di musiche denominate “pub sing-song” in pratica canti tra amici in compagnia, la sera nei pubs.

E’ anche da aggiungere che questo successo è dovuto anche all’uso, in questi canti, della lingua inglese, per un pubblico urbanizzatosi, in un’epoca durante la quale le campagne andavano progressivamente spopolandosi a causa della carestia che colpì i decenni a cavallo della metà del XIX secolo. La maggior parte di coloro che si recavano in Irlanda nel XVIII secolo diventavano testimoni dell’enorme sviluppo delle danze popolari:

“Tutti i poveri, uomini e donne, imparano a danzare, ed apprezzano questo divertimento in modo particolare: ho visto un giovane a piedi nudi invitare una giovane donna, pure scalza e mal vestita, a ballare il minuetto. L’amore per la danza e per la musica è generalizzato”.

E’ a questo punto, ovvero verso la fine del XVIII secolo, che fa la sua comparsa il “Maestro di Danze”, la cui figura si è mantenuta sino al XX secolo, in qualche modo reincarnazione del musicista itinerante, che combinava la sua arte con la funzione di insegnante. Alcuni di essi poterono acquisire le proprie conoscenze anche nell’Europa continentale o in Gran Bretagna, in un’epoca in cui le grandi guerre napoleoniche (1800-1815) contribuirono ad un notevole rimescolamento di culture e popolazioni in Europa. Se quindi le popolazioni rurali continuavano ad assorbire, e soprattutto ad adattare senza alcuna remora, tutte le musiche che pervenivano alle loro orecchie, Dublino invece continuava ad ignorare questo fenomeno, e si andava sempre più inserendo in una anglicizzazione musicalmente sterile. Non esisteva un vero movimento per la rinascita musicale comparabile alla Gaelic Athletic Association per lo sport, la Gaelic League per la lingua, la National Theatre Society per il teatro o la National Literary Society per la letteratura, iniziative che portarono tutte i loro frutti pochi anni più tardi.

Un primo, timido, tentativo di rinascita della musica tradizionale irlandese fallì senza alcun dubbio per la mancanza di strutture, malgrado un tentativo di associazione di questo movimento con la Gaelic League ma anche, e soprattutto, perché la musica veniva associata ancora troppo alla vita rurale, ormai fuori moda, mentre invece la tendenza si spostava sempre più verso musiche urbane come il jazz ed il blues, generi musicali comparsi negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo. Solo un piccolo movimento ebbe un limitato punto in comune con la National Theatre Society e con la National Literary Society: è a Londra che, sotto l’egida della Gaelic League, ed indubbiamente per l’attenzione dei nostalgici immigrati irlandesi, fanno la loro comparsa serate durante le quali si possono imparare alcuni passi delle danze popolari in ambientazioni irlandesi ricreate ad hoc per la circostanza. Militanti patriottici, invero con un gusto naif, eliminarono da queste danze tutti i passi che ritennero estranei alla tradizione, e li sostituirono con altri, senza alcuna logica se non il proprio gusto personale. Malgrado una volontà sincera di ritrovare un forma pura ed autentica di danza irlandese, essi non fecero altro che ricreare delle danze sul modello dei balli tipici delle sale da ballo europee. La prima serata di céilì ebbe luogo a Londra nel 1897, e celebrò la nascita delle danze di gruppo. Sempre più concentrato sulle zone urbane, questo movimento non incontrò l’approvazione delle classi povere e rurali irlandesi, e ciò costituì la causa del fallimento del movimento di rinnovamento del XIX secolo.

Il XX secolo

Per lungo tempo la musica fu considerata con scarso interesse, rispetto ad altri elementi culturali, dai vari governi della Repubblica d’Irlanda: bisogna attendere sino al 1930 per una prima ricognizione del patrimonio musicale irlandese da parte del governo Fianna Fàil, mediante un sussidio elargito ad un comitato che prese il nome di Irish Folklore Society , a sua volta fusione tra la Folklore Society e la Royal Irish Academy, quest’ultima fondata nel 1785 dai folkloristi protestanti. Nel 1935 questa organizzazione divenne un organismo a carattere governativo con il nome di Irish Folklore Commission, e fu integrata all’interno dell’Università di Dublino nel 1971 con il nome di Department of Irish Folklore. Il lavoro svolto da questi diversi organismi di ricerca consisteva essenzialmente in una raccolta sistematica di qualsiasi testimonianza relativa alla vita rurale irlandese; tuttavia, anche se le testimonianze furono raccolte in gran quantità, ben poche analisi furono condotte sui dati raccolti, e rimane ancora molto da analizzare nelle migliaia di ore di registrazione raccolte.

I tre elementi essenziali per la musica tradizionale irlandese del XX secolo sono, in ordine cronologico:

1. la raccolta di Francis O’Neill, all’inizio del secolo, negli Stati Uniti

2. sempre negli Stati Uniti, l’invenzione del disco fonografico

3. la diffusione delle musiche di tutto il mondo tramite i media

Leggendo questi tre elementi, si può facilmente intuire quanto essenziale sia stata l’importanza degli Stati Uniti, nazione ove tra l’altro risiede un numero molto significativo di immigrati di origine irlandese. Le conseguenze di tali eventi sono particolarmente tangibili oggi, nell’esercizio professionale dell’attività musicale. Grande appassionato di musica irlandese, flautista e nativo della contea di Cork, Francis O’Neill raccolse un numero impressionante di arie e melodie relative a danze, di cui pubblicò 1850 estratti nel 1903 con il titolo “The Music of Ireland”.

La sua seconda pubblicazione, The Dance Music of Ireland, riassunto del primo e pubblicato nel 1907, gli valse la fama presso i musicisti, tanto che quest’ultimo libro prese il confidenziale appellativo di “The book” (“il libro”). Anche se esso contiene 1001 melodie, appare oggi evidente che solo alcune di esse si ripetono nella maggior parte delle sessions e delle registrazioni discografiche: si può quindi comprendere l’importanza di quest’opera che, se da un lato ha salvaguardato un gran numero di melodie destinate alla scomparsa, ha inoltre contribuito ad una standardizzazione e riduzione del repertorio.

Nello stesso tempo l’industria del disco faceva il suo ingresso nel mercato americano; le grandi compagnie del disco erano a caccia dei giovani talenti immigrati, italiani, irlandesi, ebrei…L’esempio più evidente si ha con il fiddle, ovvero con il violino suonato nella musica tradizionale: le tre figure preminenti di quest’epoca furono senza alcun dubbio Michael Coleman, Paddy Killoran e James Morrison, tutti originari della contea di Sligo. Popolari negli Stati Uniti dove vissero agli inizi del secolo, e dove registrarono la loro musica negli anni ’20, essi lo divennero anche in tutta l’Irlanda, dove circolavano i loro dischi, e dove vennero considerati dei modelli per molti musicisti.

La standardizzazione degli stili si sommò così a quella del repertorio: brillanti violinisti, ed esempi di uno stile proprio della contea di Sligo, i tre suonatori di fiddle influenzarono i loro colleghi di tutta l’Irlanda che, dimenticando le proprie influenze stilistiche locali, cercarono di copiare i maestri universalmente riconosciuti fin nei minimi dettagli, da Dublino a Galway, da Cork fino a Belfast. Solo le aree del Donegal e Slieve Luachra (a cavallo tra le contee di Kerry e di Cork) possono tutt’ora essere orgogliose di possedere alcuni musicisti detentori di uno stile proprio e ben caratterizzato. E’ anche da notare che alcuni musicisti cercarono di ampliare il proprio repertorio introducendo melodie meno conosciute, e che fecero la loro ricomparsa alcuni tipi di forme musicali ormai dimenticate, come la barndance.

Il terzo livello riguardante il XX secolo non è altro che il prolungamento dell’ultimo elemento menzionato. Se i musicisti irlandesi della prima metà del XX secolo si erano improvvisamente trovati di fronte all’immenso privilegio di avere a disposizione gli esempi musicali dei migliori strumentisti dell’epoca, i loro omologhi della seconda metà del XX secolo possono ora apprezzare la musica tradizionale di tutto il mondo, dagli eschimesi ai pigmei dell’Africa nera. Ad esempio c’era da attendersi, a partire dagli anni ’70, una forte influenza della musica bulgara sui musicisti irlandesi, influenza che ha trovato la sua massima espressione nel 1992 nella registrazione di un disco, “East Wind”, che ha visto la partecipazione dei migliori musicisti irlandesi. Al di là del mescolamento delle tradizioni musicali questi musicisti, come la maggior parte dei musicisti di tutto il mondo, spalancano i cancelli e rompono barriere musicali ormai prive di qualsiasi significato, ascoltando qualsiasi tipo di musica, dal barocco al rap, dalla musica romantica al blues, dal jazz al rock’n’roll.

Ecco quindi che la musica, una prima volta sotto l’influenza di musicisti partiti verso New York, Boston o Los Angeles, e poi sotto l’influenza di registrazioni provenienti dai quattro angoli del pianeta, diviene man mano una musica urbana, vale a dire suonata da musicisti che per lungo tempo hanno vissuto in aree urbane, sia in Irlanda che negli Stati Uniti. Insistendo sul ruolo dell’emigrazione nella desertificazione delle campagne irlandesi alla metà del XX secolo, Terence Brown spiega:

“Risultò da questa emigrazione post-bellica una variazione del bilanciamento della popolazione tra città e campagna. Nel 1951 il 41,44% della popolazione viveva in città o villaggi.”

E’ anche nel 1951 che un certo numero di musicisti irlandesi decide di tentare di nuovo un risveglio della musica tradizionale con un grande festival annuale, il Fleadh Cheoil, divenuto in seguito un appuntamento obbligato per i musicisti irlandesi in cerca di contratti, o più semplicemente di buone sessions musicali. Questa volontà culturale, spinta da alcuni individui, è da inquadrare senza alcun dubbio nel filone generale del revival che l’Irlanda globalmente intesa ebbe nei periodi successivi; è anche a questo periodo che risalgono i primi concorsi di musica tradizionale irlandese e, purtroppo, i primi tentativi di definizioni normative e restrittive della “musica irlandese” da parte di militanti sinceri ma talvolta incolti in tema di stili musicali.

La musica tradizionale appariva agli occhi degli irlandesi con un’immagine intrisa di caratteristiche rurali ed arretrate, destino simile, tra l’altro, alla lingua gaelica. Il lento declino continuava inesorabilmente sin dai tempi in cui gli arpisti, in precedenza apprezzati musicisti di corti aristocratiche, erano diventati semplici musicisti itineranti, alla stregua dei suonatori di fiddle o di cornamusa, strumenti popolari per eccellenza. I primi segni di un profondo, radicale cambiamento si osservarono alla fine degli anni ’50 in Irlanda, quando il regista George Morrison chiese al compositore di formazione classica Seàn O’Riada di comporre la colonna sonora del film Mise Eire (“Io sono l’Irlanda”, 1959) utilizzando brani musicali tradizionali arrangiati per orchestra sinfonica. La musica tradizionale irlandese diventava improvvisamente rispettabile e rispettata.

Negli Stati Uniti il successo dei Clancy Brothers & Tommy Makem nel 1961, causò un entusiasmo senza precedenti per il ballad singing, per il canto senza accompagnamento (detto sean-nòs) e per la musica da ballo: cosi come Seàn O’Riada aveva mostrato che era possibile rendere la musica tradizionale irlandese un’espressione culturale accettabile, i Clancy Brothers avevano realizzato la stessa cosa con la canzone “folk”. Come puntualizza Ciaràn MacMathùna:

Un pubblico molto più numeroso di prima era ritornato alla vera tradizione della musica irlandese; era stata riscoperta la musica originale; il pubblico era tornato all’origine di queste canzoni grazie ai Clancy Brothers, che lo avevano riportato verso la musica strumentale.”

Una componente essenziale di questa improvvisa riscoperta era senza dubbio la grande felicità nel vedere il successo di semplici irlandesi negli Stati Uniti, e soprattutto nel massimo ambiente urbano immaginabile, ovvero New York. Si può ricordare in proposito che il tenore irlandese John MacCormack aveva già ottenuto negli anni ’20 un successo internazionale, ma comunque i Clancy Brothers & Tommy Makem avevano operato una rivoluzione ancora più importante, rendendo nota al mondo intero la musica irlandese.

Molti irlandesi si ritrovarono a strimpellare la chitarra ed a cantare nei pub, pensando che tutto ciò era facile, e che sarebbe bastata un po’ di passione musicale per avere successo. Questo avvenne anche in Irlanda del Nord, dove la moda delle ballads conobbe un rinnovato interesse a causa dei ben noti eventi politici: è questa la principale influenza diretta del conflitto in atto nell’Irlanda del Nord sulla musica irlandese. L’entusiasmo passò e l’onda si affievolì lentamente, ma la musica si era ormai comunque urbanizzata ed aveva perso quella immagine rurale di povertà che l’aveva avvolta nel XIX secolo. La stessa società irlandese si era urbanizzata, e la musica tradizionale irlandese seguiva il percorso che tutte queste influenze gli avevano tracciato.

L’esplosione mondiale della musica tradizionale irlandese, che oggi ha ampiamente travalicato i confini dell’isola, riempiendo le sale da concerto di tutto il mondo, ed i cui artisti sono presenti in festival di tutti i continenti, conferma indirettamente la scomparsa di una immagine rurale, portando così gli stessi irlandesi a pensare alla loro musica con la stessa considerazione di cui da tempo godevano letteratura e teatro.

Così, su iniziativa di Nicholas Carolan, l’Irish Traditional Music Archive, costituito nel 1987 grazie all’assistenza dell’Arts Council della Repubblica d’Irlanda e dell’Arts Council of Northern Ireland, è divenuto accessibile al pubblico nel 1991. E’ da notare tuttavia che se il riconoscimento ufficiale tende a diventare più concreto, alcuni elementi indicano ancora una certa gerarchia tra i vari aspetti della cultura: ad esempio, a partire dal 1969, e grazie alla sezione 2 del Finance Act promulgato dal governo Fianna Fàil di Charles Haughey, gli artisti di qualsiasi nazionalità residenti in Irlanda possono usufruire della esenzione totale delle tasse sui redditi; sembra però, secondo le reazioni dei musicisti quando si parla di questa legge, che ben pochi di loro fanno parte degli “eletti”, a differenza di scrittori e artisti di arti grafiche. Inoltre l’importanza accordata alla musica tradizionale dal Arts Council nel corso della sua esistenza cinquantennale è stata, e rimane, di basso profilo, per stessa ammissione del suo attuale presidente, Ciaràn Benson, nominato nel 1993 dal Ministro per la Cultura Michael D. Higgins.

In breve, il destino del musicista professionista in Irlanda durante questi venti secoli rimane strettamente legato alla società cui appartiene: di alto rango aristocratico nella organizzazione dei clan della società gaelica fino al XVII secolo, il musicista perde il suo ruolo con la caduta dell’Ordine Gaelico; viene censurato e perseguitato, diviene un semplice musicista itinerante, emigra persino, prima di entrare nel mondo dello spettacolo, trovando così una modalità di espressione che gli permette di sopravvivere al XX secolo.

L’arpa

Come è già stato accennato, l’arpa è all’origine di una evidente contraddizione riguardante la musica irlandese. Emblema nazionale del Paese almeno a partire dal XIII secolo, essa rimane tuttavia uno strumento raro in Irlanda malgrado un recente risveglio, frutto verosimilmente del lavoro di Jorj Cochevelou e dell’opera di mediazione di suo figlio Alain, più conosciuto con il nome di Alan Stivell, che ne ha iniziato lo studio alla fine degli anni ’50 con Denise Mégevand.

Le ragioni dclip_image001ella relativamente scarsa presenza dell’arpa in Irlanda sono molteplici: strumento solistico per eccellenza, quando è utilizzata per l’accompagnamento, l’arpa scivola facilmente verso la mediocrità; inoltre, sebbene sia uno strumento difficile da trasportare, gli arpisti difficilmente acconsentiranno (a differenza dei pianisti) a suonare su un’arpa diversa dalla propria; aggiungiamo la grande difficoltà a mantenere lo strumento accordato e si potrà comprendere con quali e quanti problemi devono confrontarsi gli arpisti. Vi è tuttavia un’ultima ragione, più antica, che determina in maniera fondamentale la connotazione stessa dell’arpa: sin dall’antichità le sue caratteristiche di nobiltà ne hanno allontanato gli strati sociali più popolari, e questa caratteristica si è da allora stabilita in modo definitivo. L’arpa resta quindi ancora oggi uno strumento “non-popolare”, il che spiega chiaramente la sua infrequenza, per non dire quasi totale assenza, nei pubs.

Come si è già detto, l’arpa antica cui fanno riferimento alcuni manoscritti era molto differente da quella che oggi è conosciuta come “arpa irlandese” o “arpa celtica”. Joan Rimmer ritiene così che gli strumenti a corda fecero la loro comparsa nell’Irlanda pre-cristiana alcuni secoli prima dell'arrivo dell’arpa nel resto dell’Europa del nord:

“Alcune lyre sembrano provenire dalle popolazioni barbare dell’Asia. Si può supporre, pure in assenza di tracce precise al riguardo, che la dispersione di alcuni gruppi avvenne dal Mar Nero verso l’Atlantico, e ad essi possiamo avvicinare le popolazioni proto-celtiche, poi i Celti veri e propri, ed infine gli immigranti celti in Irlanda, per cui la lingua, le strutture sociali e anche le caratteristiche musicali, inizialmente uniche, perdureranno per molto tempo dopo la scomparsa delle antiche lyre a beneficio delle arpe”.

La questione iniziale che si pone ad un primo esame delle varie sorgenti storiografico/musicologiche riguarda la terminologia. La prima ricorrenza del termine “arpa” (da un precedente “harpa” che designava l’insieme degli strumenti a corda) si ha verso l’anno 600 in un poema del vescovo di Poitiers, Venance Fortunat, che elogiava il duca francese Lupus:

Romanusque lyra,
Plaudat tibi barbarus harpa,
Graecus Achilliaca,
Crotta Britanna canat.

I Romani ti lodano con la lyra,
i barbari con l’arpa,
i Greci con la lyra achillea,
i Bretoni con la crotta.

I manoscritti medievali in latino utilizzavano per lo più il fuorviante termine di “Cithara” per indicare sia le lyre che le arpe, il che sarà causa di confusione tra i due termini nella lingua inglese, in alcuni casi fino agli inizi del XVI secolo. In gaelico il termine cruit viene utilizzato nei manoscritti più antichi per indicare uno strumento a corde, il cui significato si è evoluto nel corso dei secoli fino ad indicare, nell’Irlandese moderno, una piccola arpa bardica. Si ritiene che una radice indo-europea *ker, avente per significato “ricurvo”, sia all’origine del termine cruit, e che uno dei suoi derivati, *kereb, sia all’origine del termine “arpa”.

Le caratteristiche tipiche dell’arpa irlandese medievale sono cinque:
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1. una costruzione robusta
2. una cassa di risonanza costituita da un solo pezzo, ricavato da un tronco di salice incavato

3. una colonna a forma di “T” molto solida

4. una base che permetteva di poggiarla a terra

5. da 30 a 36 corde in metallo (probabilmente in rame, o in lega di rame), rivolte verso la cassa di risonanza in basso, e fissate per l’accordatura in alto a piroli infissi sul lato sinistro di una base rinforzata da placche di metallo.

Essa in genere era poggiata sulla spalla sinistra e veniva suonata con unghie lunghe, le corde basse con la mano destra e quelle acute con la sinistra.

La presenza di una forma evoluta di arpa nell’Irlanda del IX secolo ci è confermata sia da alcuni esemplari ritrovati durante lavori di scavo, sia da un'iconografia relativamente ricca, ma tuttavia poco affidabile da un punto di vista tecnico. L’arpa compare innanzitutto nei manoscritti per lo più nelle mani di Davide, probabilmente perché gli intervalli delle note suonate sullo strumento rappresentano (proprio come Davide) l’armonia e l’ordine. Fra gli esempi più belli, l’arpa disegnata da un monaco del monastero di St. Gall in un manoscritto della fine del IX secolo che porta il suo nome (il salterio di Folchard) è di forma triangolare, ma senza colonna. Quest'ultima fece la sua comparsa solo dopo il IX secolo e al riguardo, come in molti altri casi,si può ragionevolmente affermare che i monaci non seguivano molto l’evoluzione degli strumenti, continuando a disegnare vecchie forme quando ne erano già comparse di nuove. Una splendida rappresentazione di Davide che suona l’arpa ispirato da un uccello figura anche su una tavola del reliquiario di S. Mogue (o Breac Maedhòc, a Drumlan, nella Contea di Cavan) risalente al IX secolo, sebbene la stessa tavola non sia stata apposta che nel XI secolo.

Un certo numero di arpe si troveranno anche scolpite sulle croci di pietra di alcuni monasteri, ma la loro datazione rimane incerta, potendosi immaginare quale epoca di produzione di queste croci un periodo cha va dall’VIII all’XII secolo. In tutte queste sculture le arpe appaiono suonate, ma nessuna di esse può essere considerata come un’arpa nell’accezione odierna del termine, non essendo il terzo lato fermato: gli esempi più importanti di questo tipo sono le croci di Killamery, di Carndonagh, di Durrow, la croce di Muiredeach a Monasterboice, la croce delle Scritture a Clonmacnoise e le croci di Kells. Alcuni esemplari risalenti al IX o al X secolo possono notarsi anche sulle croci di Ullard e di Castledermot, i cui vaghi contorni ci consentono tuttavia di distinguere una forma di arpa quadrangolare relativamente rara. Sempre in termini di curiosità, una scena scolpita sulla croce ovest di Kells, che rappresenta un arpista che partecipa al miracolo dei pani e dei pesci, consente a Joan Rimmer di parlare di ubiquità dell’arpa:

“Si suppone in genere che si tratti di Davide, sebbene se ne ammetta la scarsa somiglianza del viso. Sembrerebbe invece molto più probabile che in origine non si trattasse di Davide, ma bensì di un suonatore di lyra, senza il quale non poteva tenersi alcuna festa, come riconosciuto da Alceo e da Achille, o anche da tutti i re irlandesi dei tempi antichi”.

Si può quindi notare, a fianco dell’immagine nobile e magica dello strumento già menzionata, un carattere festivo ed un’importanza primitiva nella vita quotidiana dei capi dei clan medievali. A partire dal XII secolo le citazioni riguardanti la musica in Irlanda diventano più precise, e i toni sono per lo più di elogio. La citazione più importante (e la più citata) è quella del monaco gallese Giraldus Cambrensis o Giraud de Cambrie che, estremamente critico nei riguardi di qualsiasi cosa avesse a che fare con l’Irlanda, scrive tuttavia:

“Non tclip_image003rovo in queste genti un entusiasmo paragonabile a quello che provano per gli strumenti musicali, che essi suonano in maniera incomparabilmente migliore di tutte le altre popolazioni di mia conoscenza. Il loro stile non è, come nel caso degli strumenti britannici cui siamo abituati, misurato e solenne, ma vivo e allegro; il suono non è meno dolce e piacevole. E’ ammirevole il fatto che, malgrado un tocco così attento, il ritmo risulti conservato e che, grazie ad una disciplina rigorosa, la melodia sia interamente preservata, sia nell’abbellimento dei ritmi che nella straordinaria complessità delle polifonie; con una straordinaria rapidità di esecuzione, si può parlare di “eguaglianza diseguale” o di “armonia disarmonica”. Sia che le corde producano una quarta o una quinta, (il musicista) comincia sempre con un Si bemolle e termina alla stessa maniera, in modo tale che il tutto si concluda in un'atmosfera generalmente piacevole. Essi introducono e abbandonano i motivi ritmici in maniera così sottile, suonano i toni acuti sulle corde più piccole con il sottofondo dei suoni bassi eseguiti dalle corde più gravi in modo così naturale, ricevono quasi un piacere personale e accarezzano (le corde) con tale sensualità che si direbbe che l’essenza stessa della loro arte consista nel nasconderla, considerando forse essi che “Ciò che è nascosto è bello – l’arte rivelata si svilisce”.

Così, ciò che causa un’estasi intima e ineffabile alle persone capaci di un apprezzamento sottile e di un fine discernimento, non affascina ma anzi infastidisce colui che guarda ma non vede, colui che ascolta ma non capisce: ad un auditorio poco disponibile la delicatezza sembra noiosa, e non produce che sonorità confuse e disordinate.

E’ per inciso da notare che la Scozia ed il Galles, quest’ultimo per volontà di espansione, la prima per affinità e contatti, dipendevano entrambi dall’Irlanda sia per quanto riguardava l’imitazione che la rivalità musicale. L'Irlanda non apprezzava che due strumenti di cui faceva uso, la cithara ed il tympanum. In Scozia se ne utilizzavano tre, la cithara, il tympanum ed il chorus. Nel Galles si utilizzava la cithara, le tibiae ed il chorus. Anche questi strumenti erano con corde di rame e non di cuoio. E’ oggi ammesso da molti che la Scozia eguagli l’Irlanda, e che anzi la preceda e la superi per quanto riguarda il talento musicale. Molti sono quindi coloro che si rivolgono verso la Scozia, sperando di trovarvi l’origine di quest’arte.

La parola cithara qui usata è il termine latino utilizzato per indicare l’arpa; quanto al tympanum gli esperti non sono concordi: alcuni propendono per uno strumento a corde, altri per uno strumento a percussione, altri ancora per una combinazione corde/percussioni. Si troveranno al riguardo, tra le altre, anche la citazione del poeta inglese Edmund Spenser (1552-1599), quella di John Good (1566), quella di Thomas Smith o quella tratta dalle Clanrickard Memoirs (1722) sull’accompagnamento musicale delle recite dei poemi di corte (dette recaire). Citiamo ancora alcuni versi del poeta e storico Geoffrey Keating (1560-1635), così come anche un'opinione meno entusiasta sulla musica degli arpisti, quella espressa da Richard Stanyhurst nel De Rebus in Hibernia Gestis, pubblicato ad Anversa nel 1584. Degne di particolare attenzione sono le considerazioni di Vincenzo Galilei (1520-1591), padre del famoso scienziato Galileo ma anche liutista e compositore. In un saggio rimasto celebre, Dialogo della Musica Antica e della Musica Moderna (1581) egli propose una sintesi tra musica e poesia che preluse alla creazione della prima opera, nella Firenze del 1600. E’ in queste stesse pagine che si trova questa lunga dissertazione sull’introduzione dell’arpa in Italia:

“Fra gli strumenti suonati oggi in Italia si trova innanzitutto l’arpa, che in realtà non è che l’antica Cithara dotata di molte corde. La forma è in realtà differente, ma solo in virtù della diversa manifattura tipica di quest’epoca, e del diverso numero di corde, oltre che della loro dimensione. Dalla nota più bassa a quella più acuta si possono contare più di tre ottave. Questo strumento tra i più antichi ci perviene (come ha fatto notare Dante) dall’Irlanda, dove la sua fabbricazione è diffusa e di alto livello. Gli abitanti di quest’isola la suonano spesso e da molto tempo, essa è inoltre lo stemma del reame, presente e scolpita sugli edifici pubblici e sulle monete. Si potrebbe pensare che essa provenga dal profeta re Davide. Le arpe utilizzate dagli irlandesi sono leggermente più grandi delle altre. Esse sono con corde in rame, anche se alcune corde, le più alte, sono in acciaio, come nel caso del clavicembalo. I musicisti le suonano con unghie relativamente lunghe che essi tagliano con molta cura, come le punte dello stiletto che percuotono le corde della spinetta. Se ne possono contare (corde) 54, 56 o anche 60. Invece presso gli Ebrei la Cithara, o Salterio del Profeta, possiede 10 corde. Da qualche mese, grazie ai buoni offici di un gentiluomo irlandese particolarmente gentile, ho avuto modo di esaminare con attenzione l’accordatura di una di queste arpe. A mio parere si tratta dello stesso modello che fu introdotto in Italia alcuni anni or sono con un numero doppio di corde, sebbene alcuni (contro ogni evidenza) affermino di esserne loro gli inventori, e cerchino di convincere le persone mal informate che essi solo sono in grado di suonarla e di accordarla.”

Sembra oggi acquisito che le arpe, poco frequenti in Italia e nel sud dell’Europa nel XII e nel XIII secolo, come testimoniato dalle parole di Galilei, vi arrivarono grazie ai navigatori fenici dopo essere transitati per il bacino del Mediterraneo e in seguito attraverso l’Europa del Nord, e quindi l’Irlanda. Termineremo questo esame delle diverse sorgenti bibliografiche ed iconografiche sull’arpa in Irlanda trattando delle principali illustrazioni di cui abbiamo conoscenza. L’opera di John Derrick Images of Ireland fu pubblicata nel 1581, ma la sua ideazione risale, come attesta il titolo completo, al 1578. Tra le scarse rappresentazioni a carattere musicale ivi presenti si può notare quella di un arpista che accompagna un recitante durante un banchetto; questa immagine non è di grande importanza su un piano tecnico, e riesce solo a dimostrare che Derrick conosceva poco lo sclip_image006trumento: l’arpa in questione è infatti priva di cassa di risonanza, e le corde sono fissate direttamente alla colonna! Le illustrazioni dell’educatore luterano Michael Praetorius nel suo Syntagma Musicum (1619), sebbene imprecise ed errate su alcuni punti, sono maggiormente dettagliate. Esse ad esempio ci offrono uno schizzo di una “Arpa Irlandese” accompagnato da alcune righe di descrizione dei modi utilizzati. Un ultimo punto storico è ancora da chiarire: Joan Rimmer ritiene che il termine clàirseach, che indica oggi le arpe celtiche più grandi, fu utilizzato in Scozia nel XV secolo, cioè prima che nell'Irlanda degli inizi del XVI secolo. Breandàn Breathnach invece sostiene da parte sua, senza citare la fonte di tale affermazione, che il termine compare in Irlanda in un poema del XIV secolo.

Le differenti forme di arpe in uso in Irlanda a partire dal XIII secolo sono oggi classificate in tre categorie cronologiche:

1. tre esempi sopravvivono del primo tipo, risalente al XIV, XV ed inizio del XVI secolo, tra cui la celebre arpa del Trinity College (detta di Brian Boru, e che risale infatti al XIV secolo). L’arpa “della Regina Maria” e l’arpa “Lamont” risalgono entrambe al XV secolo e sono originarie della Scozia, ma sono da annoverare organicamente fra le arpe irlandesi. E’ possibile che alcune arpe di questo tipo siano state in uso durante il XIII secolo, ma allo stato attuale delle conoscenze nessuna prova tangibile può confermare questa ipotesi. Le sue dimensioni (circa 70 cm di altezza) le sono valse l’appellativo di “Piccola Arpa Irlandese a Testa Bassa”.

2. Della seconda categoria si conservano quattro esemplari completi e due frammenti di arpe in uso dalla fine del XVI secolo alla fine del XVII secolo, sebbene nessuna di queste risalga all’inizio di questo periodo: sono le arpe di Otway, di O’Fogerty, di Fitzgerald-Kildare e di Hempson (detta “di Downhill”), oltre ai frammenti di Ballinderry e di Dalway. Questa è la “Grande Arpa Irlandese a Testa Bassa”. Si tratta semplicemente di modelli della prima categoria di dimensioni maggiori e caratterizzati da un maggior numero di corde, per cui le casse di risonanza si fanno più profonde e più strette verso le corde acute.

3. L’ultima categoria, la più recente, comprende le arpe in uso nel XVIII secolo, come quella di Turlough O’Carolan o di Arthur O’Neill: la loro colonna è più rettilinea, il numero di corde è ancora maggiore e la loro altezza supera il metro: sono le “Arpe Irlandesi a Testa Alta”.

Quando i dieci ultimi arpisti si riunirono a Belfast, nel 1792, solo uno di loro (Denis Hempson) suonava ancora con le unghie, fedele alla tecnica in auge da secoli presso i cruitire ed i loro discendenti, gli arpisti itineranti. Denis Hempson morì nel 1807 all’età di 112 anni. L’ultimo rappresentante di questo stile, Arthur O’Neill, è anche quello su cui abbiamo un numero maggiore di informazioni grazie alle sue memorie, che egli redasse verso il 1809 con l’aiuto di Thomas Hughes, ingaggiato per la circostanza da Edward Bunting. O’Neill morì in un periodo compreso tra il 1816 ed il 1818.

E' probabile che la grande considerazione in cui l’arpa è stata tenuta derivi anche dalla sua particolare sonorità, clip_image010dovuta al fatto che le sue corde in metallo, come si è detto, venivano suonate mediante le unghie e/o plettri di corno. Nel corso del XVIII secolo l’arpa scomparve progressivamente per conoscere un lungo periodo di eclissi, stranamente parallelo al risveglio di un interesse di tipo patriottico per questa musica. Tre concorsi furono organizzati a Granard nel periodo 1780-1790, concorsi che condussero in seguito alla celebre riunione di Belfast del 1792. George Petrie nota in seguito che:

“I tentativi miranti a perpetuare l’esistenza in Irlanda dell’arpa, che cercavano di trasmettere le tecniche degli arpisti a poveri bambini ciechi, fu sia un’azione di carità che un atto patriottico, ma si rivelò un’illusione”.

Prendendo ad ispirazione i più recenti modelli di arpa da concerto a pedale, come quello costruito nel 1811 da Sébastien Erard, John Egan e suo nipote Francis Hewson diedero un nuovo impulso allo strumento agli inizi del XIX secolo in due forme differenti, per soddisfare la domanda sia dei privati che dei club revivalisti. Il primo tipo, di costruzione più leggera e più fine, non incontrò un grande successo; la sua sonorità, stando a Joan Rimmer, risultava “particolarmente sgradevole, vicino a quello di un vecchio pianoforte malandato, con una durata del suono esageratamente lunga, quasi assordante.” Il secondo tipo, costruito a partire dal 1819, è un’arpa “portatile” di 92 cm di altezza. Caratteristiche sono le corde in budello ed un meccanismo che consente il cromatismo azionato a mano separatamente su ciascuna nota, contrariamente all’arpa a pedali, in cui ciascuna nota risulterà alterata su tutte le ottave. E’ proprio questo lo strumento oggi conosciuto in tutto il mondo come “Arpa Celtica”.

Tornando ai musicisti artefici del successo dell’arpa, non si mancherà di rimarcare un cambiamento molto particolare: fra i dieci arpisti presenti al grande raduno di Belfast del 1792, vi erano nove maschi ed una sola femmina, Rose Mooney, che conquistò il terzo posto. Ciò a ulteriore conferma sia del carattere maschile tipico dei mestieri ambulanti, sia della lontana ma persistente influenza della funzione religiosa nella tripartizione di base di cui si è già parlato. Ecco un esemplare brano tratto dalle Clanrickard Memoirs, pubblicate nel 1722 ma che narrano una storia molto più antica:

“La recita e la declamazione del poema, in presenza della persona cui il poema era dedicato, furono condotte con gran solennità in un’unione di musica vocale e strumentale. Lo stesso poeta non prese la parola, ma dirigeva, sorvegliando che ogni cosa procedesse come convenuto. I Bardi, cui innanzitutto egli aveva affidato la sua composizione, l’avevano memorizzata perfettamente e la recitavano ora con metodo, seguendo inoltre il ritmo di un’arpa; nessun altro strumento è consentito in queste circostanze se non l’arpa, strumento maschile, dal suono più dolce e più maestosa degli altri”.

Lo strumento si è quindi “femminilizzato” solo a partire dal XIX secolo, il che indica l’influenza di una visione aristocratica e classicclip_image012a, in cui la musica era per lo più riservata allo svago delle signore e delle giovanette di buona famiglia. Questa trasformazione influenzerà anche in seguito l’arpa celtica, che diventa strumento tipicamente femminile all’epoca del rinnovato interesse nei suoi confronti, ovvero alla fine del XIX secolo; tale caratteristica si confermerà anche nell’epoca del suo rinascimento, la metà del XX secolo. Tali considerazioni sul "sesso" dell'arpa celtica probabilmente sorprenderanno gli habitué dell’immagine stereotipata della bella arpista in abito lungo, che si può incontrare molto facilmente in Irlanda in qualche banchetto pseudo-medievale per turisti, come ad esempio a Bunratty.

Il periodo contemporaneo naturalmente riflette questo stato di cose, con la nota eccezione dei Chieftains, che hanno aggiunto alla loro formazione un arpista classico di Belfast, Derek Bell, a partire dal 1972. Aggiungeremo anche Paul Dooley ed il giovane Eoghan O’Brien del gruppo Déanta, entrambi originari dell’Irlanda del Nord. Le donne, con Màire Brennan, Gràinne Yeats, Janet Harbison, Màire Nì Chathasaigh, Gràinne Hambly, Kathleen Loughnane o Emer Kenny, restano tuttavia di gran lunga le più numerose.

In Scozia Alison Kinnaird, Mary MacMaster e Patsy Seddon (che formano il duo Sileas) figurano tra le figure di spicco dell’arpa celtica, così come in Bretagna Alan Stivell, i fratelli Quefféléant, Marianig Larc’hantec, Job Fulup, Dominig Bouchaud, Kristen Noguès e Myrdhin; nelle Fiandre ricordiamo Katrien Delavier, Loreena McKennitt in Canada, Robin Williamson e Deborah Henson-Conant negli Stati Uniti. L’arpa celtica è stata utilizzata anche nel repertorio barocco, ed ha inoltre affascinato alcuni compositori di musica classica contemporanea. All’interno del repertorio tipicamente irlandese l’arpa è oggi utilizzata in tutte le musiche da ballo (jigs, reels, hornpipes), il che a sua volta costituisce uno stravolgimento dello spirito stesso della musica per arpa. Lasceremo quindi la parola a Mìcheàl O’ Sùilleabhàin, che riassume così le molteplici evoluzioni dell’arpa irlandese nel corso dei secoli:

“L’evoluzione dell’arpa indica un processo significativo: da un’occupazione itinerante a una sedentaria, da un ambienclip_image013te rurale ad uno urbanizzato, dagli ignoranti ai colti, dalle corde di metallo a quelle in budello, dall’uso delle unghie all’uso dei polpastrelli, dall’uso della mano sinistra per gli acuti a quello della mano destra, dalla spalla destra alla spalla sinistra”.

Una delle principali tendenze, avversata dai musicologi, è la sua utilizzazione quale strumento di accompagnamento, alla stregua della chitarra, e non più in qualità di strumento solistico, posizione in cui dovrebbe trovarsi in virtù del suo rango aristocratico. Avendo ormai ampiamente oltrepassato i confini strettamente irlandesi, l’arpa celtica deve in gran parte, come già detto, il suo successo mondiale al lavoro di ricostruzione effettuato da Jorj Cochevelou negli anni ’50, ma anche all’interesse mostrato nei suoi confronti da alcuni musicisti classici. Oggi l’arpa celtica è fabbricata in tutto il mondo: Smith & Morley a Londra, Leroux e Camac in Bretagna, Martin a Parigi e addirittura Jujiya a Tokio. In Irlanda invece non è che il simbolo di un’epoca ormai passata, considerata quasi l’Età dell’Oro, sebbene ogni anno si svolgano alcuni festivals ad essa consacrati, come quello di Nobber, nella Contea di Meath, in onore di Turlough O’Carolan.

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