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giovedì 1 maggio 2014

La Santa Madre Maria Skobtsova: donna dai mille volti, madre in mille modi

mère marie

Questo articolo, adattato da uno scritto del 1999 del rev. P. Michael Plekon, e pubblicato originariamente sull’ottimo sito Ortodossia-russa.net è un ritratto vibrante e significativo della Santa Martire Maria che ho piacere di condividere in occasione del decimo anniversario della sua canonizzazione (1° maggio 2004) assieme ai suoi compagni nel martirio, P. Dimitri Klépinine, Iuri Skobtsov (figlio di Madre Maria), Elia Fondaminski, e del Sacerdote Alexis Medvedkov, dal Santo Sinodo della Chiesa di Costantinopoli.

Suggerisco anche il post del blog della Chiesa russa in Francia "Parlons d'Orthodoxie" che segnala un servizio dedicato "à une des figures les plus marquantes de la sainteté orthodoxe contemporaine en France : Mère Marie SKOBTSOV (+1891-1945)" 

Ci sono poche figure del nostro tempo così radicali, insolite e complesse come Elisabeth Pilenko, che in seguito alla tonsura monastica prenderà il nome di Madre Maria. (La migliore biografia è stata scritta da Sergei Hackel: Pearl of Great Price, Crestwood NY: St. Vladimir's Seminary Press, 1981). Nata nel 1891 a Riga, da una famiglia dell’aristocrazia ucraina, fu promettente poetessa, pittrice amatoriale e artista e studente di teologia a S. Pietroburgo – cosa inaudita per quei tempi. Fu coinvolta nel movimento rivoluzionario e frequentò i circoli letterari riuniti attorno ai poeti Alexander Blok e Vyatcheslav Ivanov.

Si sposò giovane, affrettatamente, ebbe un figlio, e vide questo primo impulsivo matrimonio dissolversi in un divorzio. Durante la tempesta della rivoluzione russa fu sindaco di Anapa, il villaggio originario dei suoi antenati sul mar Nero. Là fu processata dall’armata bianca in ritirata, con l’accusa di nutrire simpatie bolsceviche. Non molto tempo dopo, assieme ad altri accusati di attività controrivoluzionaria, scampò all'esecuzione fingendo di essere amica della moglie di Lenin. Assieme a migliaia di compatrioti giunse nell'ovest in esilio; in condizioni di incredibile povertà e sofferenza riuscì a raggiungere dapprima Istanbul e in seguito Parigi. Durante il viaggio che la condusse in esilio si sposò nuovamente, questa volta con Daniel Skobtsov, il giudice militare da cui era stata processata ad Anapa. Ebbe con lui una figlia, destinata a morire di meningite a Parigi, ed un figlio, che morì in campo di concentramento assieme all’ultimo cappellano del suo ospizio, P. Dimitri Klepinin.

"Nel giudizio finale non mi si chiederà se avrò condotto una vita ascetica soddisfacente, e nemmeno quante prostrazioni e inchini avrò fatto davanti alla Santa Mensa. Mi si chiederà se avrò nutrito gli affamati, vestito gli ignudi, visitato gli ammalati e i prigionieri in carcere. Questo mi si chiederà." (da: T. Stratton Smith, Rebel Nun, Springfield IL: Templegate, 1965, p. 135).

Liza sembrava non trovare posto nel suo tempo e nel suo mondo. O magari qualunque luogo e tempo avrebbe potuto essere stato il suo. Si era sposata con passione impulsiva. Aveva adorato i suoi figli, anche se poté farlo per breve tempo. Visse come altri esuli una povertà che non aveva mai conosciuto prima nella vita. Liza fu strappata alla famiglia e alla vita intellettuale e proiettata verso i molti emigrati russi sofferenti, cui viveva accanto. Il suo atteggiamento verso di loro era quello del pastore di anime e del consigliere. Ma per una donna non c’era attività diaconale possibile a quel tempo. E’ pur vero che la Duchessa Elisabetta, recentemente canonizzata come Martire, aveva fondato alla periferia di Mosca una comunità di monache addette alla cura degli ammalati e degli emarginati. Ma gli unici modelli di vita ecclesiastica per madre Maria erano i conventi tradizionali in Estonia e Lettonia, sfuggiti alla rivoluzione, nei quali Maria non riusciva ad identificarsi. C’era troppa immediata necessità, troppa sofferenza attorno a lei.

Per dodici anni, dal giorno della sua professione monastica avvenuta nel marzo 1932, fino all’arresto e alla deportazione al campo di concentramento di Ravensbruck dove troverà la morte nelle camere a gas, vivrà un’esistenza singolare per una monaca, perché fu allo stesso tempo curatrice d’anime, amministratrice di più case d'accoglienza, cuoca, scrittrice, e molte altre cose. Con la benedizione del Metropolita Evloghij, lo straordinario vescovo della diocesi russa di Parigi, riuscì a plasmare a modo suo il mondo attorno a sé, che diventò di fatto il suo monastero. Con il sostegno di alcune tra le figure-chiave dell’emigrazione russa, fonderà ostelli per i senza-tetto, gli abbandonati, gli ammalati e gli emarginati a Villa de Saxe, Rue Lourmel e Noisy-le-Grand.

Madre Maria giunse a comprendere che la vita monastica non è altro che l’incarnazione dell’amore per Dio e per il prossimo. Sosteneva inoltre che nel diffondersi in aree geografiche diverse, caratterizzate da climi, lingue e culture differenti, il monachesimo, quale realtà vivente, seppe sempre adattarsi ai nuovi ambienti e costumi. Trovò il modo di fiorire al di fuori dei deserti del medio oriente e delle province dell’impero bizantino:

“…oggi il monaco deve lottare per ciò che è essenziale, per l’autentica anima del monachesimo, piuttosto che per le astrazioni delle forme esterne di questa vita. Il monachesimo è necessario soprattutto sulla strada della vita, nello stesso cuore della vita. In realtà per il monaco o la monaca c’è solo il monastero del mondo. Qui sta la novità del “nuovo monachesimo”, il suo significato, la sua causa, la sua giustificazione! Ed è importante per il monaco comprendere questo in modo immediato. Ci sono molti che devono, nonostante ne abbiano paura, diventare degli innovatori. Ciò che qui c’è di nuovo non lo è per brama di novità, ma perché è ineludibile.” (Il Sacramento dei Fratelli (Le sacrement), a cura di Hélène Arjakovsky-Klépinine, Paris/Lausanne: Cerf, 1995, pag. 126).

Madre Maria non aveva alcuna velleità rinnegare gli schemi tradizionali del monachesimo, che piuttosto considerava quasi un lusso, inaccessibile alla maggior parte di coloro che cercano Dio. Sarebbe stato come paragonare la possibilità di potersi curare in un sanatorio in montagna, godendosi l’aria pura e il buon cibo, con la necessità di doversi accontentare di anguste stanzette sovraffollate, con il cibo dei poveri come unico nutrimento:

“...lasciata qui nel mondo da Cristo, la Chiesa non è altro che un pizzico di lievito, che può far fermentare tutta la pasta. Cristo ha dato l’intero mondo e la sua storia alla Chiesa. Come può la Chiesa rifiutarsi di ricostruire questo mondo spiritualmente, e di trasfigurarlo? E il monachesimo è stato posto nella Chiesa come armata potente, per essere d’aiuto in questa trasformazione.” (Le sacrement, pag. 126).

Per Madre Maria non i dettagli della vita monastica, quali gli abiti o gli edifici, definiscono il monachesimo, bensì i tradizionali voti di obbedienza, castità e povertà professati dai monaci e dalle monache. Le pratiche monastiche sono per lei un ‘involucro storico’ che può cambiare, così come i mezzi attraverso i quali la vocazione viene vissuta attraverso i voti monastici (Le sacrement, p.127). L’obbedienza promessa a Dio e praticata verso i superiori, nel monachesimo orientale verso un padre/madre spirituale o uno starets, può oggi essere vissuto come obbediente sevizio a Cristo attraverso il lavoro della Chiesa nelle varie circostanze della vita moderna (Le sacrement, p. 131).

E’ ingannevole pensare che l’idea di Madre Maria sul rinnovamento del monachesimo costituisca un appello al rifiuto della vita contemplativa ed isolata, in favore di un’esistenza caratterizzata da un’attività sociale radicale verso i poveri e i bisognosi. La sua vocazione carismatica consisteva nel mettersi in modo totale a disposizione di coloro che erano nel totale bisogno, spesso con l’aiuto di volontari, che raccoglievano denaro e cibo, per dare rifugio nei suoi ostelli ai senzatetto, ai derelitti e a ogni anima ferita. Lavorò in seguito con il suo assistente spirituale e compagno nel martirio, P. Dimitrij Klepinin, per nascondere ebrei francesi al tempo del governo di Vichy. Si recò persino al Vélodrome d'Hiver, per essere vicina alle migliaia di ebrei là rinchiusi in condizioni disumane durante il luglio 1942.

In particolare, il voto monastico di povertà, la sapienza di Dio e la sorprendente “via del Regno”, porrà il monaco e la monaca tra i poveri del mondo. Va sottolineato che l’intera esperienza monastica di Madre Maria fu caratterizzata dalla sofferenza e dal caos della povertà dell’immigrazione russa in Francia durante la grande depressione, e poi durante l’occupazione nazista durante la 2° guerra mondiale (Le sacrement, pp. 141-146). Come nel passato avevano fatto i Santi Sergio di Radonez, Nilo di Sora e Francesco di Assisi, i monaci e le monache non lavorarono solo per mantenersi, ma anche per vestire, nutrire e dare alloggio ai sofferenti.

Per Madre Maria, la povertà non doveva limitarsi al piano materiale, ma doveva raggiungere livelli più profondi. Chi è materialmente povero può essere un tesoro, una fonte di doni spirituali (Le sacrement, p.132). In realtà, essere “poveri in spirito” è precisamente l’oggetto del voto del monaco e della monaca, ed è l’unica via della vita comunitaria di quella entità cattolica che è la Chiesa. Essere “poveri in spirito” vuol dire essere in grado di dire con Cristo: “Padre, nelle tue mani io rimetto il mio spirito”. Il monaco e la monaca non conservano ciò che è loro essenziale, al sicuro in una sorta di “cella interiore”, ma donano ciò che è loro essenziale in modo sacrificale, come Cristo fece sulla croce.

“...tutto questo porta ad una cosa, la necessità che il monaco/monaca sia attivo/a nel mondo esterno…In ogni forma di attività, come il lavoro sociale, l’assistenza, la cura spirituale…consacrando la sua vita al lavoro, al volto di Cristo nel prossimo, non acquistando, ma dissipando, donando senza remore per la gloria di Dio” (Le sacrement, p. 134).

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S. M. Maria (Skobtsov),  Angelo con turibolo. Icona con riza a ricamo (1934)

Il titolo della raccolta postuma di scritti di Madre Maria, Le sacrement du frère / Il sacramento del fratello, riassume puntualmente non solo la sua visione della vita cristiana in generale, ma in particolare la sua personale idea di monachesimo nell’era moderna. Secondo un detto di S. Giovanni Crisostomo, la Liturgia è seguita da un’altra Liturgia, celebrata non su un altare di pietra o legno, ma su un altare di carne e sangue, quello del nostro prossimo. Questo è per Madre Maria il “sacramento del fratello”. In modo analogo, la visione del Cristianesimo e della vita monastica di Madre Maria, è presentata in un manoscritto del 1937 recentemente rinvenuto, dal titolo “Tipi di vita religiosa”, pubblicato lo scorso anno [1997, n.d.t.] sulla rivista parigina Vestnik, (176, II-III, 1997) e successivamente tradotto in inglese da P. Alvian Smirensky e pubblicato in Sourozh, (74 & 75, 1998). In seguito ad un acuto esame delle forme di spiritualità “dei suoi fratelli ortodossi” tanto preciso quanto duro, l’autrice si sofferma sul “modello evangelico” della vita spirituale, concepito come ritorno radicale al Vangelo. Il centro della Buona Novella è l’amore, l’amore di Dio per noi, il nostro per Lui, e l’amore che proviamo gli uni per gli altri. L’amore di Dio e del prossimo sono così intimamente commisti tra loro da non essere separati o contrapposti. Non si può amare il prossimo senza amare Dio, ed eventi del nostro passato recente mostrano la nostra difficoltà a comprenderlo. Allo stesso modo, non è possibile amare Dio senza amare e servire i nostri fratelli e sorelle. Ciò che è caratteristico - a volte può apparire fastidioso – nelle appassionate parole di Madre Maria è un aspetto che essa riconosce parte del comandamento dell’amore, e che lo travalica: la negazione di se stessi. Non è sufficiente la rinuncia al controllo sulle cose materiali che i monaci e le monache compiono con i propri voti. Il vangelo chi chiama ad operare delle cesure persino nella vita dello spirito:

“…la rinuncia ci insegna non solo a non cercare con avidità vantaggi per l’anima, ma anche a non essere avari, ad essere prodighi nel nostro amore, a cercare la nudità spirituale. Le nostre anime non devono trattenere nulla, noi non dobbiamo trattenere nulla di sacro e prezioso, a cui non saremmo in grado di rinunciare nel nome di Cristo in favore di chi ne avesse bisogno. La rinuncia spirituale è il sentiero verso la santa follia, la follia in Cristo. E’ l’opposto della sapienza di questo secolo. E’ la beatitudine di coloro che sono poveri in spirito. E’ il confine estremo dell’amore. (…) Secondo le leggi materiali, se io dono un pezzo di pane divento più povera perché perdo questo pane; se dono il mio amore mi impoverisco di una certa quantità d’amore, e se dono la mia anima, vado completamente in rovina, perchè non ho più niente che si possa salvare.(…) Secondo la legge dello Spirito, qualsiasi tesoro spirituale venga donato, non solo ritorna al donatore come un rublo non speso, ma cresce e diventa più forte. Chi dà, riceve in cambio; chi diventa più povero arricchisce. Nel distogliersi da un’esclusiva attenzione a Cristo, attraverso un autentico atto d’amore e di negazione di sé , ci si offre agli altri (…) e allora si incontra lo stesso Cristo, faccia a faccia, in colui/colei a cui ci si offre e in questa comunione ci si unisce allo stesso Cristo. Il mistero dell’unione con l’uomo diventa mistero dell’unione con Dio. Ciò che è donato e ceduto, ritorna. L’amore che è stato speso non diminuisce mai la fonte di quell’Amore, perché la sorgente dell’amore nei nostri cuori è lo stesso Amore, Cristo. Qui paliamo di un autentico svuotamento, di una parziale imitazione dello “svuotarsi” di Cristo nell’incarnazione. Dobbiamo allo stesso modo svuotarci completamente, “incarnandoci”, se così si può dire, in un’altra anima umana, offrendo ad essa la piena misura dell’immagine di Dio che è dentro di noi”. (da: Tipi di vita religiosa).

Madre Maria vedeva questa immagine dell’amore totale di Dio, che si fa preghiera gli uni per gli altri, non unicamente nelle pagine del Nuovo Testamento. Per lei, questo amore è presente nell’Eucaristia, ed in essa si rivela continuamente a noi. Nell’elevare il pane e il calice dopo la Consacrazione, il celebrante canta: “Il Tuo e dal tuo, a Te offriamo in tutto e per tutto.”

“Se (…) questo amore sacrificale che dona se stesso è al centro della vita della Chiesa, quali sono dunque i suoi confini e i suoi limiti? In questo senso si può parlare dell’intera Cristianità come di un’eterna offerta di una Divina Liturgia oltre le mura della Chiesa (…). Significa che noi dobbiamo offrire il sacrificio incruento, il sacrificio dell’amore che dona se stesso, non solo in un luogo specifico, su un altare specifico di una chiesa specifica: l’intero mondo, in questo senso, diventa l’unico altare dell’unica Chiesa, e noi dobbiamo offrire i nostri cuori sotto le specie del pane e del vino, affinché essi siano trasformati nell’amore di Cristo, affinché Lui possa dimorare in essi, affinché essi possano diventare i cuori della divino-umanità, affinché Egli doni questi nostri cuori quale cibo per il mondo, affinché Egli voglia comunicare l’intero mondo con questi nostri cuori offerti in sacrificio, affinché siamo tutti uno in Lui, affinché non viviamo, ma Cristo viva in noi, incarnato nella nostra carne…”.

Madre Maria per lungo tempo non fu in grado di riunire una comunità monastica attorno a sé: sia i suoi assistenti spirituali che le sue sorelle scelsero altri luoghi in cui vivere, o furono costretti da necessità economiche o sociali a recarsi altrove. Non a suo discredito si può anche affermare che la sua singolare personalità possa avere giocato un ruolo in tutto questo.

In un tempo di immense sofferenze dovute alla rivoluzione e all’emigrazione, di ristrettezze economiche e di guerre, Madre Maria conservò una comprensione radicalmente incarnata del discepolato cristiano. Amare Cristo significava amarlo e servirlo nei volti - anche repellenti - dei bisognosi e degli emarginati. Giudicare Madre Maria una semplice attivista cristiana significherebbe non tenere conto della sua profonda spiritualità eucaristica, della sua profonda anima ecclesiale, della sua preghiera. (Paul Evdokimov). Di Madre Maria è ricordata la raggiante ed attenta presenza alla Liturgia, la conversazione intensa con i propri interlocutori, nei caffè o nei suoi ospizi, e le attività che le lasciavano energia persino per scrivere articoli per i periodici della comunità degli immigrati. Madre Maria indica il deserto monastico come il cuore di Dio che è, nell’espressione del suo amico P. Lev Gilet, “monaco della Chiesa orientale”, “Amore senza limiti”. Non riuscì a separare questo amore dall’amore per il prossimo: il Metropolita Evloghij, che accolse la sua professione monastica ed incoraggiò la sua inconsueta forma di vita e di ministero, diceva che il suo monastero era “il deserto dell’anima umana”.

Madre Maria indica a noi una realtà fondamentale, messa in ombra dalle continue dispute tra “tradizionalismo” e “modernismo” nella Chiesa Ortodossa: l’impegno cristiano non è rivolto ad un’eredità, a strutture del passato, e nemmeno a visioni di come potrà essere il futuro. Al contrario, ogni cristiano, monaco, chierico o laico, è chiamato alla vita autentica, alla vita nella chiesa e nel mondo così come li troviamo, all’incontro con Dio, con se stessi e con chi è nel bisogno. Qui si ode l’eco della voce di S. Serafino di Sarov: “che io sia un monaco e tu un laico non importa (…) piuttosto importa che entrambi siamo nella luce dello Spirito Santo… Raggiungi la pace, e in migliaia attorno a te saranno salvati”.

In sintesi, per Madre Maria, questo era il vero Vangelo: metanoia – ossia la profonda trasformazione di se stessi e del mondo attraverso l’amore, la preghiera ed il lavoro. La rivoluzione russa, scriveva, ha prodotto terribili sofferenze e portato la rovina sulla Chiesa Ortodossa. Tuttavia, paradossalmente può essere vista, analogamente ad altre catastrofi come la grande depressione, l’emigrazione forzata e persino la seconda guerra mondiale, come un dono di Dio, una liberazione da un grande peso. Questi orrori, insisteva Madre Maria, ci donano la libertà di conoscere di nuovo Dio, noi stessi, e di conoscerci tra noi, semplicemente, direttamente. Il Metropolita Anthony Bloom disse a questo proposito: “Madre Maria è una santa dei nostri giorni e per i nostri giorni, una donna di carne e sangue posseduta dall’amore per Dio, che fronteggiò senza paura, i problemi del nostro secolo”. Scavalcò i tradizionali confini del monachesimo e della vita ecclesiastica, e li spinse oltre i limiti del passato, come testimoniano la sua vita privata, i suoi rapporti personali, le sue idee audaci proclamate o scritte, e persino l’affermazione di essere “monaca nel mondo”. Spinse certamente questi confini al di là dei limiti tradizionali, ma mai li infranse. Come molti dei suoi amici e compagni dell’emigrazione russa, P. Sergio Bulgakov, Nicola Berdiaev e il Metropolita Evloghij, cercò di vivere ciò che il P. Alexander Elchaninov chiamava la “libertà assoluta” dell’Ortodossia.

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Liturgia di Canonizzazione della Martire Maria Skobtsov, dei suoi compagni di martirio
P. Dimitri Klépinine, Iuri Skobtsov, Elia Fondaminski, e del Sacerdote Alexis Medvedkov.
Parigi, Cattedrale S. Alessandro Nevskij, 1° maggio 2004.

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La vita, la libertà e il coraggio della Santa Martire Maria
prima testimone del nostro secolo e icona vivente
sono posti davanti a noi
come sfida provocante
come invito d'amore.

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I Santi Elia, Madre Maria, Padre Dimitri e Giorgio

Il padre Dimitri Klépinine e madre Marie (Skobtsov), come pure i loro compagni Georges Skobtsov, figlio di madre Marie, mostrarono la loro fedeltà al Cristo e il loro proposito di seguire integralmente il suo vangelo, salvando, al prezzo della propria vita, numerosi ebrei durante l’occupazione nazista di Parigi.

Nel 1935, madre Marie, poetessa e artista poi consacratasi alla vita monastica, fondò a Parigi, in rue de Lourmel, un centro di accoglienza per i senzatetto, nell’ottica di concepire l’azione sociale all’interno della sua dimensione spirituale, mirando allo sviluppo di «un monachesimo urbano, vissuto nel deserto dei cuori umani».

Il padre Dimitri Klépinine, giovane sacerdote parigino, laureato dell’Istituto Saint-Serge, sposato e padre di due bambini, fu incaricato, a partire dal 1939, della parrocchia dedicata alla Protezione della Madre di Dio. Durante l’occupazione nazista, molti ebrei perseguitati vi furono accolti e nascosti. L’8 febbraio 1943, una perquisizione ebbe luogo nei locali di rue de Lourmel. In mancanza dei dirigenti dell’associazione, il figlio ventenne di madre Marie, Georges, fu prelevato in ostaggio dalla Gestapo.

Il 9 febbraio padre Dimitri Klépinine celebrava per l’ultima volta la liturgia eucaristica nella sua chiesa prima di presentarsi alla convocazione della Gestapo. Il giorno dopo anche madre Marie, presentatasi per ottenere la liberazione di suo figlio, venne arrestata. Tutti e tre furono internati nel campo di Compiègne (Oise), in attesa di essere deportati in Germania.

Padre Dimitri Klépinine morì di polmonite il 9 febbraio 1944 al campo di Dora; anche Giorgio Skobtsov morì a Dora. Élie Fondaminsky, un intellettuale russo d’origine ebrea, avvicinatosi alla fede cristiana e divenuto collaboratore di madre Marie, fu arrestato dai nazisti nel 1941. Ricevette il battesimo al campo di Compiègne, prima di essere deportato ad Auschwitz dove morì il 19 novembre il 1942. Madre Marie morì in una camera a gas nel campo di sterminio di Ravensbrück, il 31 marzo 1945; secondo alcune testimonianze, avrebbe volontariamente preso il posto di una codetenuta.

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