Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

giovedì 5 marzo 2015

La Croce: immagine, simbolo, realtà

Il sigillo del Signore in noi
 
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 12, 13-14
 
Cerchiamo di avere, prima d'ogni altra cosa, il marchio ed il sigillo del Signore su di noi; nel giorno del giudizio, infatti, allorché il pastore, dopo aver radunato da tutta la terra ogni tribù della stirpe di Adamo, chiamerà il suo gregge, chiunque avrà il sigillo riconosce suo pastore, così come il pastore riconoscerà quanti siano insigniti di quel marchio, radunandoli da tutte le genti. Infatti, le sue pecorelle ascoltano la sua voce e lo seguono (cf. Gv. 10, 27).
 
Il mondo, del resto, si divide in due parti: una di queste è costituita dal gregge tenebroso, che discenderà nel fuoco inestinguibile ed eterno; l'altra, invece, consiste in quello pieno di luce, cui sarà conferita l'eredità celeste (cf. Mt. 25,31 ss.). Ciò che adesso, perciò, possediamo nell'anima, un giorno risplenderà e si manifesterà, mentre i corpi si rivestiranno di gloria.
 
Allo stesso modo come, quando giunge il mese d'aprile, le radici piantate nella terra producono i loro frutti, i fiori e tutte le loro bellezze, ed è possibile costatare, senza tema d'errore, quali siano le radici feconde e quali, invece, producano soltanto spine; in quel giorno, parimenti, ciascuno recherà scritto sul suo stesso corpo il modo come avrà vissuto: né il bene né il male resteranno più nascosti. Allora, infatti, si darà luogo al giudizio universale ed alla corrispondente retribuzione.
 
La croce, nostra somma gloria
 
San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali, 13, 1-3
 
Ogni atto compiuto dal Cristo è una gloria della Chiesa cattolica: gloria delle glorie è, però, la croce. Questo, appunto, intendeva Paolo, nell'affermare: A me non avvenga mai di menar vanto, se non nella croce di Cristo (Gal. 6,14). Suscita la nostra ammirazione, certo, anche il miracolo in seguito al quale il cieco dalla nascita riacquistò, a Siloe, la vista (cf. Gv. 9, 7 ss.): ma cosa è un cieco di fronte ai ciechi di tutto il mondo?
 
Straordinaria, e soprannaturale, la risurrezione di Lazzaro, morto già da quattro giorni (cf. Cv. 11, 39). Una grazia del genere, tuttavia, è toccata ad uno soltanto: che beneficio ne avrebbero tratto quanti, nel mondo intero, erano morti per i loro peccati? (cf. Ef. 2, 1). Strepitoso il fatto che cinque pani riuscirono a sfamare cinquemila persone (cf. Mt. 14,21): ma a che cosa sarebbe servito, se pensiamo a coloro che, su tutta la terra, erano tormentati dalla fame dell'ignoranza? (cf. Am. 8, 11). Stupefacente, > ancora, la liberazione della donna, in preda a Satana da diciotto anni (cf. Lc. 13, 11 ss.): che importanza avrebbe avuto, però, per tutti noi, imprigionati dalle catene dei nostri peccati? (cf. Prov, 5 22).
 
La gloria della croce, invece, ha illuminato chi era accecato dall'ignoranza, liberando tutti coloro che erano prigionieri del peccato e portando la redenzione all'intera umanità.
 
Non devi meravigliarti, poi, del fatto che l'universo sia stato redento nella sua totalità: non era invero un uomo come tutti gli altri colui che morì per esso, ma si trattò del Figlio unigenito di Dio (benché fosse bastato il peccato di un solo uomo, Adamo, ad introdurre la morte nel mondo).
 
Ebbene, dal momento che la morte ha preso a regnare sul mondo in seguito alla colpa d'uno solo (cf. Rom. 5,17), perché, a più forte ragione, non dovrebbe regnare la vita, in virtù della giustizia d'un'unica persona? E se allora, a causa del legno del quale si cibarono, vennero scacciati dal paradiso (cf. Gen. 3, 22-23), tanto più adesso, grazie al legno di Gesù, non vi faranno forse il loro ingresso i credenti?
 
Se il primo uomo, che era fatto di terra, fu la causa della morte universale, colui che lo plasmò dalla terra (cf. Gen. 2, 7), essendo egli stesso la vita (cf . Gv. 14, 6), non potrà forse esser fonte di vita eterna? Se Finees, sospinto dal proprio zelo, placò l'ira divina uccidendo l'autore dell'atto oltraggioso (cf. Num. 25, 8-11); Gesù, senza uccidere nessun altro, ma offrendo se stesso come riscatto (cf. 1 Tim. 2, 6), non farà forse sparire la collera verso gli uomini?
 
Non vergogniamoci, dunque, della croce del Salvatore, ma, anzi, vantiamocene! Il linguaggio della croce, infatti, è scandalo per i giudei e follia per i gentili (1 Cor. 1, 18.23): per noi, invece, significa salvezza. E stoltezza per coloro che si perdono, per noi, al contrario, che ci salviamo, è potenza di Dio (1 Cor. 1, 18). Infatti, come abbiamo già detto, non toccava ad un uomo come gli altri di morire per noi, bensì al Figlio di Dio, Dio egli stesso fattosi uomo.
 
Un tempo l'agnello ucciso per ordine di Mosè tenne lontano lo sterminatore (cf. Es. 12, 23); l'Agnello di Dio, che cancella i peccati del mondo (cf. Cv. 1, 29), non ha recato adesso, a più forte ragione, la liberazione dal peccato? Se, poi, il sangue di un agnello privo d'intelletto ha prodotto la salvezza, quanto più la procurerà il sangue dell'Unigenito?

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