Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

giovedì 17 marzo 2016

L’ufficio quaresimale

di p. A. Schmemann. Da “La Grande Quaresima".

1. “Tristezza luminosa”

Per molti, se non addirittura per la maggioranza dei Cristiani Ortodossi, la Quaresima consiste in un limitato numero di regole e prescrizioni formali, in modo predominante negative: astensione da determinati cibi, dalle danze e forse dagli spettacoli cinematografici. Tale è il grado della nostra alienazione dallo spirito reale della Chiesa, che è quasi impossibile per noi comprendere che c’è “qualcosa di diverso” nella Quaresima, senza cui tutte queste prescrizioni perdono gran parte del loro significato. Questo “qualcosa di diverso” può benissimo essere descritto come “un’atmosfera”, un “clima” in cui uno entra, in primo luogo uno stato della mente, dell’anima e dello spirito che per sette settimane permea tutta la nostra vita. Insistiamo ancora una volta che il fine della Quaresima non consiste nell'imporci alcuni obblighi formali, ma, per così dire, “nell'ammorbidire” il nostro cuore affinché esso possa aprirsi alle realtà dello spirito e fare l’esperienza della “sete e della fame”, in noi nascoste, della comunione con Dio.

Questa “atmosfera” quaresimale, questo “stato della mente” unico nel suo genere si realizza principalmente per mezzo dell’Ufficio Divino, grazie ai vari cambiamenti introdotti nella vita liturgica di questo periodo. Considerati a parte, questi cambiamenti possono apparire come “rubriche” incomprensibili, come prescrizioni formali da seguire strettamente. Ma, intesi nel loro insieme, essi rivelano e comunicano lo spirito della Quaresima, ci fanno vedere, sentire e provare la “luminosa tristezza”, in cui consiste il vero messaggio e il vero dono della Quaresima. Si potrebbe dire senza esagerazione che i Padri e gli scrittori sacri, i quali hanno composto gli inni del “Triodion” Quaresimale e che poco a poco hanno costituito le strutture generali dell’ufficiatura quaresimale ed hanno adornato la Liturgia dei Presantificati con quella bellezza che le è propria, ebbero una particolare conoscenza dell’anima umana. Essi veramente conobbero l’arte della penitenza ed ogni anno durante la Quaresima la rendono accessibile a chiunque abbia orecchi per sentire ed occhi per vedere.

L’impressione generale è, come ho detto, quella di una “tristezza luminosa”. Anche una persona che abbia una limitata conoscenza dell’ufficio divino e che entri in una chiesa durante una cerimonia quaresimale, potrebbe comprendere immediatamente, non ne dubito, quello che significa questa espressione alquanto contraddittoria. Da una parte, una quieta tristezza permea l’ufficio divino: gli abiti liturgici sono neri, l’ufficiatura è più lunga del solito e più monotona, non c’è quasi movimento. Letture e canti si alternano e tuttavia sembra che nulla “accada”. Ad intervalli regolari il celebrante esce dal santuario e legge sempre la stessa breve preghiera e tutti i presenti sottolineano ogni domanda di questa preghiera con prostrazioni. Così, a lungo, stiamo in questa monotonia, in questa quieta tristezza.

Ma ci rendiamo conto che proprio questa lunghezza e monotonia sono necessarie se vogliamo fare l’esperienza di questa “azione” segreta ed a prima vista impercettibile che l’ufficio esercita in noi. Poco a poco cominciamo a comprendere o, meglio, a sentire che questa tristezza è in realtà “luminosa” e che una misteriosa trasformazione si realizza in noi. È come se raggiungessimo un luogo in cui i rumori e la confusione della vita, della strada, di tutto ciò che di solito riempie i nostri giorni ed anche le notti, non possono arrivare, un luogo dove essi non hanno alcun potere. Tutto ciò che a noi sembra assai importante al punto di riempire la nostra mente, lo stato di ansietà che virtualmente è divenuto la nostra seconda natura, scompare qua e là e noi cominciamo a sentirci liberi, leggeri e felici. Non c’è più la felicità rumorosa e superficiale che viene e va venti volte al giorno ed è così fragile e fuggitiva. È una felicità profonda che non deriva da una causa singola e particolare, ma dalla nostra anima che, secondo le parole di Dostojevskij, ha toccato “un altro mondo”. E ciò che ha toccato è fatto di luce, pace e gioia, di una fiducia inesprimibile. Allora comprendiamo perché l’ufficiatura deve essere lunga ed apparentemente monotona. Comprendiamo che è semplicemente impossibile passare dalla condizione normale della nostra mente, che è costituita quasi interamente di rumori, corse precipitose e preoccupazioni, in questa nuova senza prima “acquietarci”, senza ristabilire in noi un minimo di stabilità interiore. È questa la ragione per cui quanti concepiscono le ufficiature della Chiesa in termini di “obblighi” e sempre chiedono quanto sia il minimo richiesto (“Quanto spesso dobbiamo andare in Chiesa?”, “Quante volte dobbiamo pregare?”), non possono mai comprendere la vera natura dell’ufficiatura, che ha per scopo di trasportarci in un altro mondo, quello della presenza di Dio, ma di trasportarci lentamente a causa della nostra natura decaduta, che ha perduto la facoltà di accedervi naturalmente.

Così, quando noi facciamo l’esperienza di questa meravigliosa liberazione e diveniamo “leggeri e sereni”, la monotonia e la tristezza dell’ufficio divino acquistano un nuovo significato, sono trasfigurate. Una bellezza interiore le illumina come il primo raggio del sole che, mentre ancora la valle è oscura, comincia ad illuminare la cima della montagna. Questa luce e questa segreta gioia vengono dai lunghi “Alliluja”, dall’intera “tonalità” dell’ufficiatura quaresimale. Ciò che in un primo momento appare monotono, ora si rivela come pace, ciò che risuonava come tristezza si manifesta come i primi momenti dell’anima che ricupera la profondità perduta. Questo è ciò che il primo versetto degli “Alliluja” quaresimali proclama ogni mattina: “La mia anima ha desiderato te nella notte, o Dio, prima dell’aurora, poiché i tuoi giudizi sono una luce sulla terra”.

Triste splendore” = la tristezza del mio esilio, del deserto che io ho fatto della mia vita. Lo splendore della presenza di Dio ed il perdono, la gioia per il recuperato desiderio di Dio, la pace per la casa recuperata. Questo è il clima dell’ufficiatura quaresimale: questo è il primo suo impatto sulla mia anima.

2. La preghiera quaresimale di san Efrem Siro

Di tutti gli inni e preghiere quaresimali una breve preghiera può essere definita tipica della Quaresima. La Tradizione l’attribuisce ad uno dei grandi maestri della vita spirituale, sant’Efrem Siro. Eccone il testo:

Signore e padrone della mia vita, tieni lontano da me lo spirito della pigrizia, della fiacchezza, la brama di dominio ed i discorsi futili. Ma concedi a me, tuo servo, lo spirito della temperanza, dell’umiltà, della sopportazione, dell’amore. Sì, Signore e Re, fammi vedere i miei errori e che non giudichi il mio fratello, poiché sei benedetto nei secoli dei secoli. Amìn.

Questa preghiera è letta due volte alla fine di ogni ufficiatura quaresimale dal lunedì sino al venerdì (non il sabato né la domenica, poiché, come vedremo, l’ufficiatura di questi due giorni non segue il modello quaresimale). Alla prima lettura una prostrazione segue ad ogni domanda. Poi tutti ci chiniamo dodici volte dicendo: “O Dio, purifica me peccatore”. Infine l’intera preghiera è ripetuta con una prostrazione finale. Perché questa breve e semplice preghiera occupa un posto così importante nell'intera ufficiatura quaresimale? La ragione è dovuta al fatto che essa enumera in un'unica maniera tutti gli elementi negativi e positivi della penitenza e costituisce, per così dire, una lista di controllo di tutto il nostro sforzo quaresimale. Esso ha per fine in primo luogo la nostra liberazione da alcuni fondamentali difetti spirituali che costituiscono la nostra vita e rendono praticamente impossibile per noi il ritornare a Dio.

Il difetto fondamentale è la pigrizia. È quella strana pigrizia e passività del nostro io che sempre ci spinge in giù anziché all’insù, che costantemente ci convince che nessun mutamento è possibile e di conseguenza desiderabile. In realtà è una forma di cinismo che ha profonde radici, per cui ad ogni sollecitazione spirituale rispondiamo: “Che cosa?”. Esso rende la nostra vita spirituale un tremendo deserto ed è la radice di ogni peccato, poiché avvelena l’energia spirituale alla sua prima sorgente. Il risultato della pigrizia è la fiacchezza. Si tratta di uno stato di abbattimento che tutti i padri spirituali considerano il più grave pericolo per l’anima. L’abbattimento consiste nel non vedere alcunché di buono o di positivo: è la riduzione di tutto alla negazione ed al pessimismo. È veramente un potere demoniaco che è in noi, poiché il diavolo è fondamentalmente un mentitore. Egli mente all’uomo sia riguardo a Dio che al mondo; egli riempie la vita di tenebre e di negazioni. L’abbattimento è il suicidio dell’anima poiché, quando si è in suo possesso, si è del tutto incapaci di vedere la luce e di desiderarla.

La brama di dominio! Può sembrare strano, ma sono proprio la pigrizia e l’abbattimento che riempiono la nostra vita della brama di dominio. Viziando interamente il nostro atteggiamento nei confronti della vita e rendendola priva di significato e vuota, la pigrizia e l’abbattimento ci costringono a cercare un compenso in un atteggiamento radicalmente negativo nei riguardi delle altre persone. Se la mia vita non è orientata verso Dio né ha per fine i valori eterni, essa diventerà inevitabilmente egoistica e centrata su se stessa e ciò significa che tutti gli altri esseri si trasformeranno in mezzi della mia soddisfazione personale. Se Dio non è il Signore ed il Padrone della mia vita, ne consegue che sono io il signore ed il padrone, il centro assoluto del mio proprio mondo e comincio a valutare ogni cosa in termini dei miei bisogni, delle mie idee, dei miei desideri, dei miei giudizi. La brama di dominio è così una fondamentale depravazione nei miei rapporti con gli altri esseri, la ricerca di subordinarli a me. Essa non si esprime necessariamente nel reale impulso di comandare e di dominare sugli “altri”. Essa può pure esprimersi nell'indifferenza, nel disprezzo, nella mancanza di interesse, di considerazione e di rispetto. In realtà è la pigrizia e l’abbattimento che sono diretti verso gli altri. Essi completano il suicidio spirituale con l’assassinio spirituale.

Infine, i futili desideri. Di tutti gli esseri creati l’uomo solo è stato dotato del dono della parola. Tutti i Padri vedono in esso il vero “sigillo” dell’immagine divina nell'uomo, poiché Dio spesso s’è rivelato come Parola (Giovanni 1,1). Ma, pur essendo il dono supremo, esso è il simbolo del più grave pericolo. Pur essendo la vera espressione dell’uomo, il mezzo con cui perfeziona se stesso, per questa stessa ragione è lo strumento della sua caduta e della sua autodistruzione, del tradimento e del peccato. La parola salva ed uccide; la parola ispira ed avvelena. Essa è lo strumento della Verità e della Menzogna demoniaca. In quanto ha un definitivo potere positivo, essa ha per questa ragione un tremendo potere negativo. Essa realmente opera positivamente o negativamente. Se devia dalla sua divina origine e finalità, la parola diventa futile. Essa impone la pigrizia, la disperazione e la brama del potere e trasforma la vita in inferno. Diventa così l’autentico dominio del peccato.

Questi quattro sono gli “oggetti” negativi della penitenza. Sono gli ostacoli che debbono essere allontanati. Ma Dio solo può allontanarli. Da ciò deriva la prima parte della preghiera quaresimale, questo grido dal fondo della disperazione umana. A questo punto la preghiera passa ai fini positivi della penitenza, che pure sono quattro.

La castità! Se uno non riduce questo termine, come spesso ed erroneamente accade, solo alle caratteristiche sessuali, esso è inteso come la controparte positiva della pigrizia. La traduzione esatta e completa del termine greco “sofrosyne” e del russo “tzelomudrije” dovrebbe essere “piena disposizione”. La pigrizia è, in primo luogo, dissipazione, interruzione della nostra visione ed energia, incapacità di vedere il tutto. Ad essa si oppone precisamente la “pienezza”. Se noi di solito intendiamo per castità la virtù opposta alla depravazione sessuale, ciò avviene perché il carattere frantumato della nostra esistenza non si manifesta meglio in alcun caso che nel piacere sessuale, la alienazione del corpo dalla vita e dal controllo dello spirito. Il Cristo ristabilisce la pienezza in noi restaurando in noi l’autentico criterio dei valori riconducendoci a Dio.

Il primo e meraviglioso frutto di questa pienezza è l’umiltà. Ne abbiamo già parlato. Essa consiste, al di sopra di ogni altra cosa, nella verità in noi, nell'eliminazione di ogni menzogna in cui di solito viviamo. L’umiltà sola è capace di generare la verità, di vedere ed accettare le cose come esse sono, di vedere la maestà di Dio, la sua divinità ed il suo amore in ogni cosa. Per questa ragione diciamo che Dio concede la grazia a chi è umile e resiste al superbo.

La castità e l’umiltà sono naturalmente seguite dalla sopportazione. L’uomo “naturale” o “caduto” è impaziente e, poiché è cieco nei propri confronti, è pronto a giudicare ed a condannare gli altri. Siccome ha una conoscenza incompleta e distorta di ogni cosa, egli misura tutto con i suoi gusti e con le sue idee. E poiché è indifferente a tutto tranne che a se stesso, desidera aver successo subito, qui ed ora. La sopportazione, tuttavia, è veramente una virtù divina. Dio è paziente, non perché egli è “indulgente”, ma perché vede nell'intimo di tutto ciò che esiste, poiché la realtà interiore delle cose, che la nostra cecità non vede, è aperta a lui. Quanto più ci avviciniamo a lui, diventiamo più pazienti e maggiormente riflettiamo l’infinito rispetto per tutti gli esseri il che è una qualità peculiare di Dio. Finalmente, la corona ed il frutto di tutte le virtù, d’ogni crescita e sforzo è l’amore, quell'amore che, come s’è già detto, può essere dato solo da Dio, il dono che è l’obiettivo di ogni preparazione e pratica spirituale.

Tutto questo è sintetizzato nella domanda conclusiva della preghiera quaresimale, in cui chiediamo di farci vedere i nostri errori e di non giudicare il nostro fratello. Infatti sostanzialmente c’è un solo pericolo: la superbia. Essa è la fonte del male ed ogni male è superbia. Tuttavia non è sufficiente per me vedere i miei errori, poiché anche questa apparente virtù può trasformarsi in superbia. Gli scritti di carattere spirituale abbondano di moniti contro le forme sottili di pseudo-pietà, le quali, in realtà, sotto l’aspetto di umiltà e di auto-accusa, possono portare ad una autentica superbia demoniaca. Ma quando vediamo “i nostri propri errori” e “non giudichiamo i nostri fratelli”, quando, in altre parole, castità, umiltà, sopportazione ed amore costituiscono in noi un’unità, allora e solo allora sarà distrutto in noi il peggior nemico, la superbia.

Al termine di ogni domanda di questa preghiera ci prostriamo. Le prostrazioni non si limitano alla preghiera di san Efrem, ma costituiscono una caratteristica distintiva di tutta l’ufficiatura quaresimale. In questo caso, tuttavia, il loro significato è evidente. Nel lungo e difficile corso di recupero spirituale, la Chiesa non separa l’anima dal corpo. L’uomo intero è decaduto da Dio, per cui tutto l’uomo deve essere reintegrato in Dio, tutto l’uomo deve ritornare a lui. La catastrofe del peccato consiste precisamente nella vittoria della carne, dell’animale, dell’irrazionale, del piacere su ciò che è spirituale e divino. Ma il corpo è glorioso, esso è santo, tanto che Dio stesso “s’è fatto carne”. La salvezza e la penitenza quindi non sono disprezzate per il corpo o trascurate per esso, ma sono la reintegrazione del corpo nella sua funzione reale in quanto espressione e vita dello spirito, in quanto tempio dell’anima che non ha prezzo. L’ascesi cristiana è una lotta non contro, ma per il corpo. Per questo motivo tutto l’uomo – anima e corpo – si pente. Il corpo partecipa alla preghiera dell’anima proprio come l’anima prega attraverso e nel corpo. Le prostrazioni, il segno “psicosomatico” della penitenza e dell’umiltà, dell’adorazione e dell’obbedienza, sono in tal modo il rito quaresimale per eccellenza.

3. Le Sacre Scritture

La preghiera della Chiesa è sempre biblica, cioè è espressa nella lingua, nelle immagini e nei simboli delle Sacre Scritture. Se la Bibbia contiene la Rivelazione divina all'uomo, è anche la risposta dell’uomo alla Rivelazione e così il modello ed il contenuto della preghiera, della lode e dell’adorazione. Ad esempio, migliaia di anni sono trascorsi dacché furono composti i Salmi, tuttavia quando si sente la necessità di esprimere il pentimento, il turbamento dell’intero essere all'invito della misericordia divina, proviamo l’unica espressione adeguata nel Salmo penitenziale che comincia con le parole “Abbi pietà di me, o Dio!”. Qualsiasi situazione immaginabile dell’uomo di fronte a Dio, al mondo ed agli altri uomini, della incontenibile gioia per la presenza di Dio sino alla disperazione abissale dell’esilio, del peccato e dell’alienazione ha trovato la sua espressione perfetta in quest’unico Libro, che, per questa ragione, ha sempre costituito il nutrimento giornaliero della Chiesa, il mezzo della sua Ufficiatura ed auto-edificazione.

Durante la Grande Quaresima la dimensione biblica dell’ufficiatura ha un’enfasi accresciuta. Si può dire che i 40 giorni della Quaresima sono, in certo qual modo, il ritorno della Chiesa alla situazione spirituale dell’Antico Testamento, il tempo prima del Cristo, il tempo della penitenza e dell’attesa, il tempo della “storia della salvezza”, che procede verso il suo completamento nel Cristo. Questo ritorno è necessario perché, sebbene noi apparteniamo al tempo dopo Cristo e lo conosciamo e siamo stati “battezzati in Lui”, continuamente ci allontaniamo dalla nuova vita ricevuta da lui e ciò significa ricadere “nell'antico” tempo. La Chiesa, da un lato, è già “a casa”, poiché essa è già “la grazia di Gesù Cristo, nell'amore di Dio Padre e nella comunione del Santo Spirito”. Tuttavia, d’altra parte, essa pure è “sulla sua via” in quanto è in un pellegrinaggio, lungo e difficile, verso il completamento di tutte le cose in Dio, il ritorno del Cristo e la fine dei tempi.

La Grande Quaresima è la stagione in cui questo secondo aspetto della Chiesa, della sua vita, in quanto attesa e viaggio, è in via di realizzazione. Ed è per questa ragione che l’Antico Testamento acquista il suo pieno significato, non solo in quanto è il Libro delle profezie che hanno avuto il loro compimento, ma anche dell’uomo e dell’intera creazione “nel loro viaggio” verso il Regno di Dio. Due principi fondamentali regolano l’uso dell’Antico Testamento nell'ufficiatura Quaresimale: la “duplice lettura” del Salterio e la lettura continua, cioè la lettura virtualmente totale di tre libri: Genesi, Isaia e Proverbi. I Salmi hanno sempre occupato un posto centrale e perciò unico nell'ufficiatura cristiana. La Chiesa vede in essi non solo la migliore espressione, la più adeguata e perfetta della preghiera, della penitenza, dell’adorazione e della lode, ma una vera immagine verbale del Cristo e della Chiesa, una Rivelazione nella Rivelazione. Per i Padri – afferma un esegeta dei loro scritti – “solo il Cristo e la sua Chiesa pregano, piangono e parlano in questo Libro”. Dal suo inizio i Salmi costituiscono perciò il vero fondamento della preghiera della Chiesa, il suo “linguaggio naturale”. Essi sono usati nell'ufficiatura dapprima come “Salmi fissi”, cioè come il materiale permanete di tutta l’ufficiatura giornaliera: il “Salmo della sera” (Ps 104) ai Vespri; i sei Salmi (Ps 3; 38; 63; 88; 103; 143), le Lodi (Ps 148; 149; 150) al Mattutino; e gruppi di tre Salmi alle Ore. Dai Salmi sono stati scelti i “Prokìmena”, i versetti per gli Alliluia, ecc… per tutte le feste e commemorazioni dell’anno liturgico. Ed, infine, l’intero Salterio, diviso in 20 parti o “Kathìsmata”, è cantato nella sua totalità ai vespri ed al Mattutino. È questo il terzo uso del Salterio, che è raddoppiato durante la Quaresima. Esso è cantato non una volta, ma due volte ogni settimana di Quaresima e parti di esso sono incluse nelle Ore terza e sesta.

La “Lettura continua” della “Genesi”, di “Isaia” e dei “Proverbi” ebbe origine nell'epoca in cui la Quaresima era ancora il principale periodo prebattesimale della Chiesa e l’ufficiatura quaresimale aveva un carattere prevalentemente catechetico, cioè dedicato all'istruzione dei catecumeni. Ciascuno dei tre libri corrisponde ad uno dei tre aspetti fondamentali dell’Antico Testamento: la storia dell’opera di Dio nella Creazione, la profezia ed insegnamenti etici o morali. La “Genesi”, per così dire, costituisce la “struttura” della fede della Chiesa. Essa contiene la narrazione della Creazione, della caduta ed infine la promessa e l’inizio della salvezza grazie al patto tra Dio ed il suo popolo eletto. Essa riunisce le tre dimensioni fondamentali del Credo della Chiesa in Dio, in quanto Creatore, Giudice e Salvatore. La “Genesi” rivela le radici della concezione cristiana dell’uomo in quanto creato “ad immagine e somiglianza di Dio”, in quanto allontanatosi da Dio e rimasto sempre oggetto dell’amore divino, della sua cura e infine della sua salvezza. Questo libro racchiude il concetto della storia come “storia della salvezza” che conduce al Cristo ed in Lui si completa. Essa annuncia il mistero della Chiesa attraverso le immagini e la realtà del popolo di Dio, il Patto, l’Arca, ecc… Isaia è il più grande dei profeti e la lettura del suo libro durante la Quaresima ha per fine di rivelare ancora una volta il grande mistero della salvezza per mezzo delle sofferenze e del sacrificio del Cristo.

Infine il libro dei “Proverbi” è l’epitome degli insegnamenti etici dell’Antico Testamento, della legge morale e della sapienza senza la cui accettazione l’uomo non può comprendere l’allontanamento da Dio; per cui egli non è in grado di intendere la Buona Notizia del perdono per mezzo dell’amore e della grazia.

Le letture da questi tre libri sono giornaliere durante la Quaresima, dal lunedì al venerdì: la “Genesi” ed i “Proverbi” ai Vespri, Isaia all'Ora Sesta. E sebbene la Quaresima da tempo non sia più la stagione catechistica della Chiesa, lo scopo iniziale di queste letture mantiene il suo pieno significato. La nostra fede cristiana ha bisogno di ritornare ogni anno alle sue radici bibliche, poiché in esse non può esserci un limite alla nostra crescita spirituale ed alla comprensione della Rivelazione divina. La Bibbia non è una raccolta di “tesi” dogmatiche da accettare e ricordare una volta per sempre, ma la viva voce di Dio che continuamente parla a noi, rendendoci sempre più profondi nell'inesauribile ricchezza della sua Sapienza e del suo Amore. Non c’è maggior tragedia nella Chiesa della quasi totale ignoranza della Sacra Scrittura da parte dei suoi membri e, ciò che è peggio, della nostra indifferenza virtualmente totale nei suoi riguardi. Ciò che per i Santi ed i Padri era una gioia senza limiti, interesse, crescita intellettuale e spirituale, è per molti Ortodossi oggi un testo antiquato senza alcun significato per la loro vita. È da sperare, perciò, che, nella misura in cui si riacquista lo spirito ed il significato della Quaresima, ciò significherà la riscoperta della Scritture come vero cibo spirituale e comunione con Dio.

4. Il “Triodion”

La Grande Quaresima ha il suo libro liturgico, il “Triodion Quaresimale”. Esso contiene inni e letture bibliche per ogni giorno del periodo Quaresimale a cominciare con la domenica del Pubblicano e del Fariseo sino ai Vespri del Grande e Santo Sabato. Gli inni del “Triodion” furono composti in gran parte dopo la virtuale scomparsa del catecumenato (cioè della Battesimo degli adulti e della preparazione necessaria dei candidati ad esso). Il loro accento perciò è posto non sul Battesimo, ma sulla penitenza. Purtroppo oggi pochissime persone conoscono e comprendono la particolare bellezza e profondità dell’innografia quaresimale. L’ignoranza del “Triodion” è la causa principale della lenta trasformazione che poco a poco si impadronisce della mentalità cristiana e riduce la Quaresima ad un “obbligo” giuridico e ad un complesso di norme concernenti la dieta. La reale ispirazione e l’invito della Quaresima sono oggi quasi del tutto perduti e non rimane altra via per ritrovarli che una lettura attenta degli inni del “Triodion”.

È significativo, ad esempio, quanto spesso questi inni ammoniscono contro un’osservanza “formale” e perciò ipocrita del digiuno; fin dal mercoledì della settimana dei latticini leggiamo: “Invano ti rallegri, o anima, perché non mangi! Infatti ti astieni dal cibo, ma non sei purificata dalle passioni. Se non hai alcun desiderio di migliorare, sarai disprezzata come una menzogna agli occhi di Dio e sarai simile ai malvagi demoni che non mangiano mai! Se insisti nel peccato, digiunerai inutilmente. Perciò lotta costantemente in modo da stare dinanzi al Salvatore crocifisso, o, piuttosto, per essere crocifissa con Colui che fu crocifisso per causa tua”.

E di nuovo al mercoledì della IV settimana udiamo: “Coloro che hanno sete di benedizioni spirituali, compiano in segreto le loro buone azioni, non annunziandole fuori al mercato, ma preghino incessantemente nel profondo del cuore; infatti Colui che vede tutto ciò che è compiuto segretamente, ci ricompenserà per la nostra astinenza. Digiuniamo senza avere la faccia triste, ma preghiamo incessantemente nell'intimità dei nostri cuori: Padre nostro, che sei in cielo, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”.

Nel corso di tutta la Quaresima, il contrasto tra l’umiltà del Pubblicano e l’orgoglio e l’autoglorificazione del Fariseo, sono messi in risalto in inni in cui è denunciata l’ipocrisia. Ma allora qual è il vero digiuno? Il “Triodion” risponde: “E’ in primo luogo una purificazione interiore: Digiuniamo, fedeli, dalle insidie che ci corrompono, dalle passioni dannose, così che possiamo ottenere la vita dalla croce divina e ritornare con il buon ladrone nella nostra casa iniziale… ”.

È, dunque, un ritorno all’amore, una lotta contro una “vita rotta”, contro l’odio, l’ingiustizia, l’invidia: “Fratelli, mentre digiuniamo fisicamente, digiuniamo anche spiritualmente. Sciogliamo ogni nodo dell’iniquità, piangiamo sopra ogni vincolo ingiusto, distribuiamo il pane agli affamati e diamo il benvenuto a coloro che non hanno un tetto sul loro capo, così che possiamo ricevere abbondante misericordia dal Cristo nostro Dio.

Vieni, o fedele, compiamo alla luce le opere di Dio; camminiamo onestamente come alla luce del giorno, liberiamoci dalle ingiuste accuse contro i nostri vicini, in modo che non poniamo una pietra di inciampo sulla loro via. Mettiamo da parte i piaceri della carne, così da accrescere la grazia nelle nostre anime. Diamo il pane a quanti ne hanno bisogno. Avviciniamoci pentiti al Cristo e diciamo: - O nostro Dio, abbi pietà di noi...”.

Quando prestiamo attenzione a queste parole, siamo ben lontani dalla concezione meschina e farisaica della Quaresima che oggi prevale e che la considera esclusivamente in termini negativi, come una specie di “disturbo” che, se noi l’accettiamo volontariamente e “soffriamo per causa sua”, ci procurerà automaticamente “meriti” ed un “buon rapporto” con Dio. Quanta gente ha accolto l’idea che la Quaresima è un periodo di tempo in cui, se qualcosa può essere buono in se stesso, “è proibito”, come se Dio si compiacesse a torturarci. Per gli autori degli inni quaresimali la Quaresima è esattamente l’opposto: essa è un ritorno alla vita “normale”, a quel “digiuno” che Adamo ed Eva violarono, introducendo in tal modo la sofferenza e la morte nel mondo. La Quaresima, perciò, è salutata come una primavera spirituale, come un tempo di gioia e di luce: “La primavera quaresimale è giunta, la luce della penitenza… Accogliamo l’annuncio della Quaresima con gioia, non vorremo essere privati del Paradiso… Il tempo della Quaresima è un periodo di gioia! Con purezza raggiante e con amore puro, pieni di splendenti preghiere e di ogni opera buona, cantiamo con gioia…”.

Solo quelli che “si rallegrano nel Signore” e per i quali il Cristo ed il suo Regno sono il principale desiderio e gioia della loro esistenza, possono accettare in letizia la lotta contro il male ed il peccato ed essere partecipi della vittoria finale. Questa è la ragione per cui di tutte le categorie di Santi, solo i martiri sono invocati e lodati in inni particolari ogni giorno in Quaresima. Infatti i martiri sono precisamente coloro che hanno preferito il Cristo ad ogni cosa in questo mondo, ivi compresa la loro vita; essi gioirono talmente nel Cristo da poter dire, come sant'Ignazio di Antiochia, “Ora comincio a vivere…”. Essi sono la testimonianza del Regno di Dio, poiché solo coloro che l’hanno visto e gustato sono capaci di una simile dedizione. Essi sono i nostri compagni, essi ci ispirano durante la Quaresima, la quale è la nostra lotta per la vittoria di ciò che è divino, celeste ed eterno in noi. “Respirando una speranza e contemplando una visione, voi, martiri che soffriste trovaste che la morte è la via della vita… Rivestiti delle armi della fede, armati del segno della Croce, voi foste i degni soldati di Dio! Coraggiosamente resisteste alle torture, rompendo gli inganni del demonio, foste vittoriosi, degni di corone. Pregate il Cristo che salvi le nostre anime”.

Nel corso di 40 giorni è la Croce del Cristo e la sua Resurrezione e la Luce risplendente della Pasqua che costituiscono il “supremo termine” di riferimento di tutta l’innografia quaresimale, un costante monito che, per quanto sia stretta e difficile la via, essa alla fine ci conduce alla tavola del Cristo nel suo Regno. Come già ho detto, l’attesa ed il pregustare la gioia pasquale permeano l’intera Quaresima e sono il reale motivo dello sforzo quaresimale. “Desiderando partecipare alla Pasqua divina… perseguiamo la vittoria sul demonio per mezzo del digiuno… Noi parteciperemo alla Pasqua divina del Cristo!”.

“Triodion” – Libro sconosciuto e trascurato! Se noi soltanto conoscessimo che in esso possiamo recuperare, rendere ancor più nostro lo spirito non solo della Quaresima, ma della stessa Ortodossia, della sua visione pasquale della vita, della morte e dell’eternità!

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