di Roberto Pagani
La quarta Domenica di Pasqua, chiamata Domenica del
Paralitico, celebra il Salvatore che ha sconfitto la morte e che fa dono al
paralitico di Betzaetà della sua grande misericordia. La lettura dell’Apostolo è tratta dagli Atti degli apostoli (9,
32-42):
In quei giorni avvenne che mentre Pietro passava da tutti,
giunse anche dai fedeli che dimoravano a Lidda. Qui trovò un uomo, un tale di
nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico. Pietro
gli disse: “Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto”. E subito
si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al
Signore. A Ioppi c’era una discepola di nome Tabithà, che significa Gazzella.
Essa era ricca dalle opere buone e dalle elemosine che faceva. Capitò che in
quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero nella stanza di sopra. E
poiché Lidda era vicina a Ioppi i discepoli, udito che Pietro si trovava là,
mandarono due uomini a pregarlo: “Non tardare a passare da noi!” Pietro si alzò
e andò con loro. Appena arrivato lo condussero alla camera di sopra e gli si
presentarono tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i
mantelli che Gazzella confezionava quando era con loro. Pietro fece uscire tutti
e si inginocchiò a pregare; poi rivolto al corpo disse: “Tabithà, alzati!” Ed
essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la
alzò, poi chiamò i santi e le vedove, e la presentò loro viva. La cosa fu nota
in tutta Ioppi, e molti credettero nel Signore.
Il brano dell’Evangelo secondo Giovanni (5, 1-15):
In quel tempo era la festa dei Giudei e Gesù salì a
Gerusalemme. C’è a Gerusalemme, presso la Porta delle pecore, una piscina
chiamata in ebraico Betzaetà, che ha cinque portici, sotto i quali giaceva una
moltitudine di infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che aspettavano il movimento
delle acque. Infatti un angelo del Signore in certi momenti scendeva nella
piscina e agitava l’acqua; il primo a entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua,
guariva da qualsiasi malattia fosse affetto. Si trovava là un uomo che da
trentotto anni era malato. Gesù vedendolo steso e sapendo che da molto tempo
stava così, gli dice: “Vuoi guarire?”. Gli rispose il malato: “Signore, non ho
uomo che mi immerga nella piscina quando l’acqua viene agitata; quando vado io,
un altro scende prima di me”. Gesù gli dice: “Alzati, prendi il tuo giaciglio e
cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo giaciglio, camminava.
Quel giorno era un sabato. Dicevano dunque i Giudei al guarito: “È sabato e non
ti è lecito prendere il tuo giaciglio”. Ma egli rispose loro: “Chi mi ha guarito
mi ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina”. Gli chiesero: “Chi è l’uomo che
ti ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina?”. Ma il guarito non sapeva chi
fosse; Gesù infatti si era allontanato dalla folla che c’era in quel posto. Dopo
queste cose Gesù lo trova nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non
peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio”. Quell’uomo se ne andò e
annunciò ai Giudei che è stato Gesù a guarirlo.
La festa a cui si allude nel brano evangelico è probabilmente
la Festa delle Capanne o la Pentecoste degli Ebrei, Gesù andò a
Gerusalemme, città che aveva molte porte d’ingresso. Una di esse si chiamava
porta delle pecore (o porta probatica), perché da essa entravano i
montoni destinati al sacrificio, è dunque la porta che conduceva al Tempio.
Vicino a questa porta, c’era una cisterna piena d’acqua,
intorno a cui vi era un edificio che veniva chiamato Betzaetà, cioè
casa della misericordia, e che aveva cinque portici (logge, gallerie),
presso cui sostavano molti ammalati: ciechi, zoppi e paralitici che aspettavano
l’agitazione dell’acqua, provocata ogni tanto da un angelo. Il primo dei malati
ad entrarvi guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.
A seguito dei restauri intrapresi sulla Chiesa di Sant’Anna in
Gerusalemme nel 1888 sono stati ritrovati i resti di due grandi piscine con
cinque portici. Un affresco riscoperto e situato su uno dei muri rappresenta un
angelo che smuove l’acqua (e questo particolare è ricordato nel testo del
Vangelo).
La guarigione del paralitico di Cafarnao, la cui pericope (Mc
2, 1-12) abbiamo letto nella seconda domenica di Quaresima, ci ricordava nel
cammino penitenziale che solo Cristo può guarirci dalla nostra paralisi causata
dal peccato; il miracolo di Betzaetà, che ha un orizzonte tutto pasquale, ci
mostra la risoluzione sacramentale di questa nostra paralisi attraverso
l’immersione nelle salutifere acque battesimali. Nel battesimo moriamo al
peccato con Cristo, con Lui veniamo sepolti (l’immersione) e con Lui
risuscitiamo a vita nuova (l’emersione).
Nel racconto giovanneo vi è, innanzitutto, un contrasto tra
festa dei giudei che si svolge nel tempio e la moltitudine di gente
sofferente. Questi sono esclusi dai festeggiamenti nel tempio. Cristo non va
al tempio ma decide di andare da chi è più sofferente. Cristo si allontana da
certe forme di religiosità. Chi vuole trovare Lui deve recarsi dove c’è
l’umanità sofferente.
L’attenzione del narratore si concentra su uno di quei malati.
La sua infermità viene definita dallo stesso termine greco che indicherà la
malattia di Lazzaro (astheneia). Questa parola non è usata da Giovanni in nessun
altro caso.
Scrive sant’Agostino “Il quaranta è un numero sacro, simbolo di
perfezione. Mosè digiunò quaranta giorni, così Elia, così Gesù. Due sono i
precetti della carità che il Signore raccomanda: amerai il Signore Dio tuo con
tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e amerai il
prossimo tuo come te stesso. Se il numero quaranta significa perfezione della
legge e se la legge non si compie se non mediante il duplice precetto della
carità, ti fa meraviglia che quell’uomo fosse infermo da quaranta meno due?”.
Gesù volge lo sguardo verso l’uomo che giaceva paralizzato e
prende l’iniziativa, a differenza del racconto marciano, dove l’iniziativa parte
dagli amici del paralitico. L’uomo infermo è affetto da un duplice handicap: da una parte è
malato da tanto tempo e ciò fa supporre che la sua malattia fosse incurabile,
dall’altra non può approfittare dell’efficacia dell’acqua. È significativo che
Gesù, sapendo che da trentotto anni giaceva paralizzato presso la piscina gli
abbia chiesto: “Vuoi guarire?”. Questa domanda può essere intesa come un invito
ad abbandonare il precedente stile di vita, o anche può sottolineare la
necessità di un’adesione consapevole della persona all’opera di guarigione.
Quest’uomo vuole cambiare la propria condizione ma è impossibilitato a farlo.
Pur vivendo immobilizzato da trentotto anni, non aveva perso la speranza nella
guarigione. Però il malato risponde riferendosi all’unica speranza che egli
conosce: l’agitazione delle acque nella piscina, unitamente all’attesa di
qualcuno che l’aiuti a calarsi dentro. Queste aspettative però sono state deluse
da tempo perché non ha nessuno che lo immerga nella piscina. È il più povero tra
i poveri! Si sottolinea la sua solitudine, la sua rassegnazione tanto che la
gente si disinteressa di lui.
L’acqua della piscina sembra assumere un significato simile al
pozzo di Giacobbe dove Gesù incontra la Samaritana (pericope della quinta
domenica di pasqua). Come quell’acqua non è capace di dissetare definitivamente,
così quest’acqua promette una guarigione che non si realizza mai. Il pozzo di
Giacobbe e la piscina di Betzaetà sono destinati ad essere sostituiti dall’acqua
viva donata da Cristo. Quest’acqua disseta e guarisce! Il
paralitico toccato da Gesù ritorna ad essere padrone della propria vita. Crede,
si alza e cammina. L’incontro con Gesù gli cambia radicalmente la vita: se
avesse deciso di non credere sarebbe rimasto nella paralisi.
Il miracolo viene compiuto di sabato. Questo provocherà una
reazione di ostilità da parte dei giudei che giudicheranno il gesto di Gesù una
trasgressione del riposo sabatico. I giudei governano il popolo mettendo la
legge al di sopra del bene della persona. Cristo mette la persona umana al di
sopra della legge. Emerge nuovamente la differenza tra la potenza misericordiosa
e miracolosa di Cristo e la religione legalista formale, persecutoria, incapace
di cogliere la divinità di Gesù, di provare gioia di fronte ad un miracolo.
Se la Quaresima, dunque, ci conduceva verso la Pasqua del
Signore, il cammino pasquale ci conduce verso la Pentecoste, che è l’ottava
domenica di Pasqua. Lì, finalmente, Gesù stesso ci rivelerà come solo credendo
in Lui potremo ricevere il Santo Spirito, così che anche da noi possano sgorgare
quei fiumi di acqua viva portatori della guarigione nei confronti di chi,
come noi lo siamo stati, è ancora nella paralisi; così come anticipato nella
lettura degli Atti, dove l’apostolo Pietro nella guarigione del paralitico Enea
e nella resurrezione di Tabithà ci ricorda che solo uniti a Cristo potremo
operare quei segni che Egli stesso ci ha inviato a compiere nel suo nome,
solo uniti a Cristo potremo nel deserto di questo mondo essere acqua viva che
disseta.
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