Tratto da: Padre Alexander Schmemann, D’eau et
d’Esprit.
La teologia definisce lo Spirito Santo come la Terza Persona
della Trinità; nel Credo lo professiamo come procedente dal Padre; l’Evangelo ci
dice che Egli è inviato da Cristo per essere il Consolatore, per guidarci “alla
verità tutta intera” (Giovanni 16, 13) e per unirci a Cristo e al Padre.
Cominciamo ogni servizio liturgico con una preghiera allo Spirito Santo,
invocandolo come “Re del cielo, Consolatore, Spirito di verità, colui che è
presente ovunque e tutto riempie, Tesoro di beni e datore di vita”. San Serafino
di Sarov descrive tutta la vita cristiana come “l’acquisizione dello Spirito
Santo”. San Paolo definisce il Regno di Dio come “giustizia, pace e gioia nello
Spirito Santo” (Romani 14, 17). Noi diciamo che i santi sono i portatori dello
Spirito Santo e vogliamo che la nostra vita sia spirituale, cioè, ispirata dallo
Spirito.
In verità, lo Spirito Santo è nel cuore della Rivelazione
Divina e della vita cristiana. Eppure quando vogliamo parlare di Lui, ci è
estremamente difficile trovare le parole giuste – così difficile che per molti
cristiani l’insegnamento della Chiesa sullo Spirito Santo come una persona ha
perso ogni significato concreto, esistenziale, in modo che Lo percepiscono come
un potere divino: non come Lui o Tu, ma come un divino Quello. Anche la
teologia, pur mantenendo ovviamente la dottrina classica delle Tre Persone
divine quando parla di Dio, preferisce, quando tratta della Chiesa e della vita
cristiana, parlare di grazia e non di conoscenza ed esperienza personale dello
Spirito Santo.
Tuttavia, nel sacramento dell’unzione, riceviamo lo Spirito
Santo Lui stesso, e non solo la grazia: è ciò che la Chiesa ha sempre insegnato.
È proprio lo Spirito Santo, e non un potere divino che scende sugli Apostoli il
giorno della Pentecoste. È proprio Lui e non la grazia che invochiamo nella
preghiera e acquisiamo con uno sforzo spirituale. Quindi, è chiaro che il
mistero ultimo della Chiesa è quello di conoscere lo Spirito Santo, di
riceverlo, di essere in comunione con Lui. E il completamento del battesimo
nell’unzione è la venuta personale dello Spirito Santo stesso che si rivela
all’uomo e dimora in lui. Ma allora la vera domanda è la seguente: che significa
conoscere lo Spirito Santo, avere lo Spirito Santo e essere in Lui?
Il modo migliore per rispondere a questa domanda è quello di
confrontare la conoscenza dello Spirito Santo con quella di Cristo. Inutile dire
che per conoscere Cristo, amarlo, accettarlo quale significato ultimo, forza e
gioia della mia vita, devo prima sapere alcune cose su Cristo. Nessuno può
credere in Cristo senza aver sentito parlare di Lui e dei Suoi insegnamenti, ed
è questa conoscenza di Cristo che riceviamo attraverso la predicazione
apostolica, dall’Evangelo e dalla Chiesa. Ma non è esagerato dire che per quanto
riguarda il Santo Spirito, questa sequenza – conoscenza concernente, poi
conoscenza di e infine comunione con – è invertita. Non possiamo conoscere
semplicemente lo Spirito Santo. Anche la testimonianza di coloro che l’hanno
veramente conosciuto e sono stati in comunione con Lui non significa nulla per
noi se non abbiamo avuto la stessa esperienza. Che cosa possono significare,
infatti, le parole che nella preghiera eucaristica di san Basilio, descrivono lo
Spirito Santo: “… Il Dono di adozione, la Promessa di eredità futura, le
premesse dei beni eterni, la Forza vivificante, la fonte di santificazione…”?
Quando un amico ha chiesto a san Serafino di spiegargli lo Spirito Santo, il
santo non gli ha dato alcuna spiegazione, ma ha condiviso con lui un’esperienza
che il suo allievo ha descritto come una “dolcezza straordinaria”, una “gioia
straordinaria in tutto il mio cuore”, uno “straordinario calore” e una “soavità
speciale” che è l’esperienza del Santo Spirito; perché come san Serafino disse:
“Quando lo Spirito di Dio scende sull’uomo e lo copre con la Sua pienezza,
l’anima umana trabocca di gioia indicibile perché lo Spirito di Dio trasforma in
gioia tutto ciò che tocca”.
Tutto questo significa che conosciamo lo Spirito Santo con la
Sua presenza in noi, una presenza che si manifesta principalmente con gioia,
pace e pienezza ineffabile. Anche nel linguaggio comune, queste parole – gioia,
pace, pienezza – implicano qualcosa che è giustamente indescrivibile, che per
sua stessa natura è al di là delle parole, delle definizioni e delle
descrizioni. Si riferiscono a quei momenti nella vita in cui la vita è piena di
vita, dove non c’è né mancanza né, di conseguenza, desiderio di qualsiasi cosa,
dove non c’è né ansia, né paura, né frustrazione. L’uomo parla sempre di
felicità e, anzi, la vita è la ricerca della felicità, l’aspirazione della
pienezza. Possiamo quindi dire che la presenza dello Spirito Santo è il
compimento della vera felicità. E dal momento che la felicità non è il risultato
di una “causa” identificabile ed esterna, che è il caso della nostra povera e
fragile felicità terrena che scompare quando scompare la causa che l’ha
prodotta, come non risulta da nulla che sia di questo mondo, tuttavia si traduce
in gioia per tutte le cose, questa felicità deve essere il frutto in noi della
venuta, della presenza e del soggiorno di Qualcuno che Lui stesso è Vita, Gioia,
Pace, Bellezza, Pienezza, Felicità.
Questo Qualcuno è il Santo Spirito. Non vi è alcuna icona di
Lui, nessuna rappresentazione, perché Egli non si è fatto carne, non si è fatto
uomo. Eppure, quando viene ed è presente in noi, tutto diventa Sua icona e Sua
rivelazione, comunione con Lui, conoscenza di Lui. Perché è Lui che fa sì che la
vita è vita, la gioia è gioia, l’amore è amore e la bellezza è bellezza e che
quindi Egli è la Vita della vita, la Gioia della gioia, l’Amore dell’amore e la
Bellezza della bellezza, il Quale essendo al di sopra e al di là di ogni cosa,
fa dell’intera creazione il simbolo, il sacramento, l’esperienza della Sua
presenza: l’incontro dell’uomo con Dio e la sua comunione con Lui. Non è “a
parte” o “altrove”, perché è Lui che santifica tutte le cose ma Egli stesso si
rivela in questa santificazione come al di là del mondo, al di là di tutto ciò
che esiste. Grazie alla santificazione Lo conosciamo veramente, Lui e non un
divino, impersonale Quello, sebbene le parole umane non possano definire e
quindi isolare sotto forma di oggetto Colui di cui la rivelazione stessa in
quanto Persona rivela tutti e tutte le cose come unico e personale, come
soggetto e non oggetto, trasforma ogni cosa in un incontro personale con il
divino e ineffabile Tu.
Cristo ha promesso che l’incoronazione della Sua opera di
salvezza sarebbe stata la discesa, la venuta del Santo Spirito. Cristo è venuto
a restaurare in noi la vita che abbiamo perso nel peccato, per darci di nuovo la
vita “in abbondanza” (Giovanni 10, 10). E il contenuto di questa vita e, quindi,
del Regno di Dio è lo Spirito Santo. Quando viene, l’ultimo e grande giorno di
Pentecoste, è la vita in abbondanza e il Regno di Dio che sono davvero
inaugurati, cioè che sono manifestati e comunicati a noi. Lo Spirito Santo che
Cristo ha avuto da tutta l’eternità come Sua vita, ci è dato come nostra vita.
Rimaniamo in questo mondo, continuiamo a condividere la sua esistenza mortale;
eppure, poiché abbiamo ricevuto il Santo Spirito, la nostra vera vita è
“nascosta con Cristo in Dio” (Colossesi 3, 3) e siamo già e ora partecipi del
Regno eterno di Dio, Regno che, per questo mondo, deve ancora venire.
Ora comprendiamo perché, quando viene lo Spirito Santo, ci
unisce a Cristo, ci fa entrare nel Corpo di Cristo, ci rende partecipi della
Regalità, del Sacerdozio e della Profezia di Cristo. Perché il Santo Spirito
essendo la vita di Dio, è veramente la vita di Cristo; è, in un unico modo, il
Suo Spirito. Cristo dandoci la Sua Vita, ci dà il Santo Spirito; e il Santo
Spirito scendendo su di noi, ci dà Colui che è la Vita.
Tale è il dono dello Spirito Santo, il senso della nostra
Pentecoste personale nel sacramento della santa unzione. Ci sigilla – cioè ci
fa, rivela, conferma – membri della Chiesa, Corpo di Cristo, cittadini del Regno
di Dio, partecipi dello Spirito Santo. E con questo sigillo, ci dà veramente la
nostra propria identità, dirige ciascuno di noi per farci quello che Dio, da
tutta l’eternità, vuole che siamo, rivelando la nostra vera personalità e quindi
la nostra unica realizzazione.
Il dono è concesso pienamente, in abbondanza, a profusione:
“Dio dà lo Spirito senza misura” (Giovanni 3, 34), e: “dalla sua pienezza noi
tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Giovanni 1, 16). Ora, dobbiamo
appropriarcene, riceverlo veramente, farlo nostro. È il fine della vita
cristiana. Diciamo “vita cristiana” e non “spiritualità”, perché quest’ultimo
vocabolo è diventato oggi ambiguo e ingannevole. Per molti, si tratta di
un’autonoma e misteriosa attività, un segreto che è possibile penetrare con lo
studio di certe tecniche spirituali. Il mondo di oggi è il teatro di una ricerca
inquieta di spiritualità e misticismo e, in questa ricerca, tutto è ben lungi
dall’essere sano – frutto di questa sobrietà spirituale che è sempre stata la
fonte e il fondamento della vera tradizione spirituale cristiana. Troppi saggi e
cosiddetti maestri spirituali, sfruttando ciò che è spesso un’autentica e
ardente ricerca dello Spirito, trascinano, infatti, i loro seguaci in pericolosi
vicoli ciechi spirituali.
È quindi importante, alla fine di questo capitolo, affermare
ancora una volta che l’essenza stessa della spiritualità cristiana è ciò che
guida l’intera vita. La nuova vita che san Paolo definisce come “vivere dello
Spirito e camminare sotto l’impulso dello Spirito” (Galati 5, 25) non è un’altra
vita e non è un surrogato; è la stessa vita che ci è data da Dio, ma rinnovata,
trasformata e trasfigurata dallo Spirito Santo. Ogni cristiano – che sia monaco
in un eremo o impiegato nelle attività del mondo – è chiamato a non dividere la
sua vita in spirituale e materiale, ma a rendergli la sua integralità, a
santificarla tutta intera con la presenza dello Spirito Santo. Se san Serafino
di Sarov è felice in questo mondo, se la sua vita terrena era diventata, alla
fine, un diluvio luminoso di gioia, se gioiva di ogni albero e di ogni animale,
se accoglieva ciascuno di coloro che venivano a lui chiamandolo “mia gioia”, è
perché in tutto questo vedeva con gioia Colui che è infinitamente al di là di
tutto e pertanto rende ancora tutta l’esperienza, la gioia e la pienezza della
Sua presenza.
“Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza,
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…” (Galati 5, 22). Questi
sono gli elementi dell’autentica spiritualità, l’obiettivo di ogni vero sforzo
spirituale, il cammino della santità che è lo scopo ultimo della vita cristiana.
“Santo” invece di “Spirito” è il termine che definisce lo Spirito Santo, perché
la Scrittura parla anche di “spiriti del male”. E siccome è il nome dello
Spirito Divino, è possibile dargli una definizione in linguaggio umano. Non è
sinonimo di perfezione e di bontà, virtù e fedeltà, anche se contiene e implica
pure tutto ciò. È il fine di tutto il linguaggio umano, perché Egli è la Realtà
stessa, dove tutto ciò che esiste trova il suo compimento.
“Uno solo è Santo”. Eppure è la Sua santità che abbiamo
ricevuto come realmente il contenuto nuovo della nostra vita nell’unzione dello
Spirito Santo stesso; ed è con la Sua Santità, elevandoci costantemente in essa
che possiamo realmente trasformare e trasfigurare, rendere la vita che Dio ci ha
dato santa e piena.
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