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giovedì 8 settembre 2016

Il contrappunto e l'”invenzione” del barocco

Di Irene Marone – L’originale è qui

Nel 1022 Guido d'Arezzo compie un “esperimento” che cambierà per sempre la storia della musica occidentale: sovrappone al così detto “canto fermo”, la voce unica del canto gregoriano, altre voci.

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Ma non lo fa in modo casuale: ad ogni singola nota della monodia sovrappone le note distanti da esse una terza e poi una sesta, componendo altre due nuove melodie che si armonizzano con la prima, che cioè formano sempre accordi consonanti con quella originaria.

Nasce così il primo originario nucleo di quella tecnica che sarà chiamata dal latino contra punctus poiché contrappone ad ogni “punto” (nota) uno o più “punti” che con il primo si armonizzano, che appartengono cioè ad uno stesso accordo.

Guido d'Arezzo è il primo che introduce un concetto di armonia verticale fino a quel momento del tutto estraneo alla musica monodica medioevale, caratterizzata da un unica melodia che si sviluppa tutta “orizzontalmente”. Egli infatti, tramite la tecnica del “punto contro punto” riesce a produrre accordi consonanti tramite sovrapposizione di note distanti una terza e una sesta da quelle della melodia originaria.

Nasce così la complessa e articolata struttura che sottende a tutta la polifonia del 4-500: negli anni del Rinascimento la tecnica contrappuntistica di sovrapporre voci che si armonizzano tocca vette insuperate e viene spesso esasperata in composizioni in cui le voci possono essere più di 8. Tuttavia ben poco è lasciato all'inventiva, dato che il contrappunto dei secoli XV e XVI è imbrigliato in regole rigidissime: non è infatti pensabile, se non in casi limitatissimi, che le varie melodie abbiano un'indipendenza ritmica, che cioè le note che compongono gli accordi consonanti vengano eseguite in momenti diversi e non tutte contemporaneamente.

Inoltre le note che compongono questi accordi devono sempre “distare” tra di loro degli intervalli standard, come ad esempio una terza o una sesta: in pochi ardiscono ad introdurre negli accordi note distanti altri intervalli (come una quinta) poiché l'armonizzazione che producono è considerata ostica e non apprezzabile per i canoni dell'epoca. La rigidità del contrappunto spiega anche perché la polifonia del 4-500 si connota di armonie molto tipiche e facilmente riconoscibili anche in aree geografiche e culturali molto distanti tra loro, penalizzando a volte l'inventiva degli autori ma contribuendo a creare un genere molto compatto e caratterizzato.

L'inventiva, la fantasia e l'eclettismo che caratterizza il barocco irrompono anche nelle rigide regole della scrittura musicale: dalla fine del '500 infatti sempre più autori superano i limiti rinascimentali del così detto stile antico o “prima pratica” e sperimentano un contrappunto più libero e fantasioso. Particolarmente rappresentativo è l'esempio di Gesualdo da Venosa e di Claudio Monteverdi che, allo scopo di esprimere in musica le sensazioni e le situazioni che il testo cantato esige, rendono del tutto indipendenti le varie melodie creando incastri ritmici di grande complessità.

Le voci infatti ora si rincorrono vorticose, ora si dilatano in effetti di eco, ora tacciono per farne risaltare una soltanto come nell'antica monodia, per poi gradatamente riunirsi in crescendo spettacolari. Nascono i così detti madrigalismi in cui il contrappunto è completamente piegato al servizio del senso e dell'emozione del testo, vero cuore pulsante del nascente melodramma. Questa “rivoluzione ritmica” da' inoltre impulso alla nascita di nuove forme musicali, come la fantasia e il ricercare, basate su un contrappunto imitativo (imitazione della stessa melodia identica o con qualche piccola variazione) di due o più voci che entrano in momenti diversi.

Anche le sonorità rassicuranti e monolitiche del passato lasciano il posto ad esperimenti armonici in cui l'introduzione contrappuntistica di nuovi intervalli e di cromatismi (note non naturali) sembra lasciare maggior spazio all'inventiva e allo stile proprio di ogni autore. Nuove sonorità, a volte anche al limite della dissonanza, descrivono un mondo artistico ed umano in cui più nulla è certo e stabile ma in cui tutto è soggetto al “divenire” impresso dalla spinta creatrice e dalla emotività dell'uomo.

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Le nuove tendenze del vario ed articolato contrappunto barocco vennero sintetizzate dal teorico Johann Joseph Fux nel trattato sotto forma di dialogo Gradus ad Parnassum pubblicato a Vienna nel 1725. Il trattato, che da allora è entrato di rigore tra i testi imprescindibili per chi si accosta allo studio dell'armonia musicale anche ai nostri giorni, ha avuto il merito di sintetizzare 700 anni di contrappunto e di schematizzarne tutte le evoluzioni. Vengono infatti individuate cinque differenti specie di contrappunto, dal più semplice e antico, teorizzato da Guido d'Arezzo con la tecnica del “punto contro punto”, passando poi a quello polifonico in senso proprio, fino a quello dissonante dei cromatismi e a quello “fiorito” che vede il trionfo della fantasia e dell'eclettismo barocchi.

Il contrappunto raggiunge forse il massimo del suo eclettico splendore e della sua più fantasiosa e articolata applicazione tra la fine del XVII e il XVIII secolo, in particolare con l'opera di J.S. Bach.

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Bach ricorre al contrappunto non solo nella musica vocale, dove era nato e quasi esclusivamente sviluppatosi fino a quel momento ma anche e soprattutto nella musica strumentale, sperimentandone nuove applicazioni e dando vita a generi che diventeranno veri must del barocco come la fuga e l'invenzione, interamente incentrati sull'intreccio contrappuntistico.

Ed è proprio prendendo ad esempio paradigmatico la forma musicale della fuga che Bach opera le sperimentazioni contrappuntistiche senza dubbio più ardite e articolate della storia della musica: in 14 fughe e 4 canoni, raccolti sotto il nome di Arte della Fuga, il musicista di Eisenach porta alle estreme conseguenze tutto l'apparato armonico-tecnico fino ad allora conosciuto, dando vita a composizioni al limite dell'ineseguibilità, prive persino dell'indicazione degli strumenti e in molti passaggi improponibili per l'estensione degli strumenti dell'epoca.

La complessità e l'enigmaticità dell'opera, data alle stampe nel 1755, contribuirono a creare un'aura di mistero e il sospetto che Bach avesse affidato a quelle impervie e quasi assurde costruzioni contrappuntistiche un messaggio segreto: qualcuno teorizzò che i rapporti numerici tra le note contenessero riferimenti ai principi filosofici pitagorici, aristotelici o addirittura alla musica delle sfere, che trae armonia dalla trasposizione in musica dei calcoli di gravitazione dei pianeti.

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