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domenica 19 marzo 2017

Terza domenica di Quaresima – Stavroproskýnesis

di Roberto Pagani

La terza domenica della Grande Quaresima è un punto di svolta nel cammino, sotto diversi punti di vista. In questo contesto, è estremamente significativo il Synaxarion che descrive il senso della festa. Il Triodion, libro liturgico che contiene gli uffici quaresimali, attribuisce a Niceforo Callisto Xanthopulos i sinassari che ne spiegano le feste, la loro origine e la loro disposizione nel calendario liturgico. Egli è un prete della “Grande Chiesa” vissuto all’inizio del XIV secolo, conosciuto anche con il nome monastico (Nilo), probabile autore anche dei Sinassari per il santorale, tradotti in greco volgare e stampati a Venezia nel XVII secolo.

Presentando il tema dominante della terza domenica, Xanthopulos dice: “Oggi celebriamo la festa della venerazione della preziosa e vivificante Croce: poiché durante i quaranta giorni di digiuno noi in qualche modo crocifiggiamo noi stessi, mettendo a morte le passioni che abbiamo in noi, e abbiamo una sensazione di amarezza a causa della nostra negligenza o del nostro scoraggiamento, ecco che viene esposta la vivificante Croce, per rianimarci e sostenerci, per incoraggiarci ricordandoci le Sofferenze del nostro Signore Gesù Cristo. Se il nostro Dio si è lasciato crocifiggere per noi, non dobbiamo forse fare altrettanto per lui? ….. Noi siamo come quelli che, percorrendo un lungo e aspro sentiero, si affaticano, e vedendo un albero frondoso si siedono un momento alla sua ombra e poi, come ringiovaniti, continuano il loro viaggio. Così oggi, in questo tempo di digiuno, di cammino difficile e di sforzo, la Croce vivificante fu piantata in mezzo a noi dai santi Padri per procurarci riposo e ristoro, per renderci leggeri e coraggiosi in vista del compito che resta da fare… Questa settimana si trova nel mezzo della Quaresima, ed è paragonata alle acque di Mara a causa della contrizione, dello scoramento e dell’amarezza prodotte in noi dal digiuno: come quando il divino Mosè gettò il suo bastone in mezzo alla sorgente per addolcirne le acque, o come quando Dio ci ha salvato spiritualmente dal Mar Rosso e dal Faraone, così il legno della preziosa e vivificante Croce addolcisce l’amarezza di un digiuno di quaranta giorni e ci consola per questa nuova traversata del deserto, fino a giungere alla Gerusalemme mistica attraverso la sua risurrezione. E poiché la Croce è per noi l’albero della vita, piantato nel paradiso, i santi Padri l’hanno giustamente piantata nel mezzo della santa Quaresima, ricordandoci ad un tempo l’avidità di Adamo e come questa fu annullata per mezzo del nuovo albero, gustando il quale noi non moriamo più, ma siamo tenuti in vita”.

Troviamo già il tema della Croce nei manoscritti liturgici cui abbiamo fatto più volte riferimento, e possiamo quindi affermare che la venerazione odierna e per tutta la settimana che seguirà (la Croce resterà esposta al centro della Chiesa fino all’ora nona del venerdì seguente) si trova attestata nel X secolo, forse anche nel IX. Prima della proclamazione delle letture nella Divina Liturgia si dava questo avviso: “Esorto la vostra carità, o fratelli amati da Cristo, se avete qualcuno che deve accostarsi al Santo Battesimo, sapendo che la Risurrezione di Cristo si avvicina, di condurlo domani nella nostra santissima chiesa affinché riceva il sigillo di Cristo, possa prepararsi ad esso mediante un ritiro ed essere catechizzato. Sappiate che per chi sarà presentato dopo questa settimana, a meno di una evidente necessità, non sarà tollerata l’ammissione”.

La pericope evangelica domenicale è Mc 8, 34 - 9, 1: Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi”. E diceva loro: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza”.

È interessante il commento che san Cesario di Arles, vissuto nel V secolo, fa a questa pagina evangelica nel suo discorso 159: “Sembra difficile, se non impossibile, ciò che il Signore comandò di fare nel Vangelo, ma non è difficile compiere ciò che impone, considerando che egli stesso aiuta a compiere ciò che ordina… infatti come l’uomo muore amando se stesso, così si ritrova negando se stesso. La prima perdizione dell’uomo fu l’amore per se stesso: se non avesse amato se stesso con un ordine perverso, avrebbe anteposto Dio a se stesso, e avrebbe voluto essere suddito di Dio…. Cosa vuole significare l’espressione “prenda la sua croce”?... Quando comincerà a seguirmi secondo i miei mandati e i miei insegnamenti avrà molti avversari, molti che lo ostacoleranno, non avrà solo schernitori, ma anche persecutori… tu dunque, se desideri seguire Cristo, non rifiutarti di portare la sua croce: tollera i malvagi, non soccombere ad essi. E da dove bisogna iniziare a seguire Cristo se non da dove è partito? Infatti noi sappiamo che risorse e risalì al cielo: dobbiamo seguirlo! E non dobbiamo perdere la speranza, perché egli stesso lo promise, e non perché l’uomo di per sé può fare qualcosa. Vuoi seguire Cristo? Devi essere umile, proprio come lui lo fu: non disprezzare la sua umiltà se vuoi arrivare alla sua eccellenza. Certamente la via divenne ardua quando l’uomo peccò, ma ridivenne piana quando Cristo la calcò nella sua risurrezione, e da una strettissima via la trasformò in un cammino regale. Questa via deve essere attraversata con entrambi i piedi, ovvero con umiltà e carità… inizia dal primo gradino, l’umiltà, così potrai salire… devi amare il mondo, ma devi anteporre al mondo il suo Creatore…. Impegniamoci quanto più possibile perché non ci opprima questo amore per il mondo, perché non amiamo la creatura più del Creatore”.

San Leone Magno, nel suo Sermone 74, dice che “abbracciare la croce è uccidere le cupidigie, annientare i vizi; allontanarsi dalla vanità è rinunciare ad ogni errore: nessun impudico, nessun lussurioso, nessun superbo né avaro celebra la Pasqua del Signore”.

San Gregorio Magno ci ricorda che “in due modi portiamo la croce del Signore: quando con la rinuncia domiamo la carne e quando, per vera compassione del prossimo, sentiamo i suoi bisogni come fossero nostri. Chi soffre personalmente quando il prossimo è ammalato porta la croce del Signore… portare la croce e seguire il Signore significa rinunciare ai piaceri carnali e aver compassione del prossimo per zelo della beatitudine: chi fa ciò solo con fine umano, porta la croce ma non segue il Signore!”.

Questi pochi riferimenti patristici ci permettono di meglio apprezzare il tema svolto dall’innografia del giorno e che si protrarrà per tutta la settimana, ovvero la dinamica del mistero pasquale: il Creatore prende in sé il creato per discendere con esso fino alla morte e risalire con esso fino alla vita vera; per essere trascinati con lui in questo movimento che sollecita la nostra libera adesione, dobbiamo eliminare gli ostacoli chi si frappongono; con l’amore e l’ascesi, guidati dalla liturgia, chiediamo la grazia per il nostro ritorno nel Regno, al prezzo di un sacrificio impensabile da parte del Figlio di Dio e di un sacrificio tutto sommato ragionevole da parte nostra.

Ma se il tono degli uffici finora era, ovviamente, prevalentemente penitenziale, oggi siamo sorpresi: la chiave di lettura della Croce non è la sofferenza e la morte, ma la gioia della vita recuperata.

Già nel Lucernario del Vespero cantiamo: “Per te è stata cancellata la tristezza delle lacrime, noi siamo stati strappati dai lacci della morte e trasferiti nella letizia eterna”. “Gioisci, Croce vivificante, splendido paradiso della Chiesa, albero dell’incorruttibilità che per noi hai fatto fiorire il gaudio dell’eterna gloria; per te vengono respinte le falangi dei demoni, si rallegrano insieme le schiere degli angeli e fanno festa le assemblee dei fedeli: concedi anche a noi di giungere alla passione di Cristo e alla sua risurrezione”. “Per te è annientata la corruzione, distrutta e inghiottita la potenza della morte, e noi siamo stati innalzati dalla terra al cielo”.

La Croce di Cristo è il nuovo albero che sostituisce quello piantato nel giardino dell’Eden: se questo era l’albero della conoscenza del bene e del male, ora la Croce stessa diviene il criterio per un tale discernimento, fondamento antropologico a partire dal nuovo Adamo: “Vieni, o prima coppia creata, che sei decaduta dal coro celeste per l’invidia dell’omicida, tramite l’amaro piacere del frutto un tempo gustato dall’albero: ecco, avanza il vero e augustissimo albero! Ad esso accorrete e stringetelo con gioia acclamando con fede: tu sei il nostro soccorso, o Croce venerabilissima, e noi comunicando al tuo frutto otteniamo l’incorruttibilità, ricevendo stabilmente l’Eden di un tempo e la grande misericordia”.

La Croce è lo stilo che, intinto nel sangue stesso di Cristo in luogo dell’inchiostro, scrive il nostro atto di perdono: “Cristo, Dio nostro, che hai accettato la tua crocifissione volontaria in vista della comune resurrezione del genere umano, e con lo stilo della croce hai arrossato di sangue le tue dita per sottoscrivere regalmente, nella tua benevolenza, l’atto del perdono, non trascurarci mentre siamo di nuovo in pericolo di essere separati da te”.

Che sia una domenica quaresimale davvero particolare diventa evidente durante il mattutino: il canone è opera di Teodoro Studita, autore già incontrato in precedenza, e per sottolineare ulteriormente il tono di gioia e di vittoria, viene parafrasato il canone del mattutino di Pasqua, opera di san Giovanni Damasceno. Ci fosse bisogno di una conferma, anche le melodia con cui il canone viene cantato è la stessa di quella pasquale, e il secondo tropario di ogni ode, quello che segue l’irmos, ha come unico tema la risurrezione.

“Giorno di festa solenne: con la risurrezione di Cristo la morte è distrutta ed è sorto lo splendore della vita; Adamo risuscitato danza con gioia”. “Venite, cantiamo un canto nuovo, esaltando la distruzione dell'Ade, perché Cristo è risorto dalla tomba abbattendo la morte e salvando l’universo”.

Ogni riferimento valorizza e intensifica quanto si sta vivendo, collocando l’ascesi quaresimale nella giusta prospettiva: “Venite ad attingere, fedeli, non acqua corruttibile zampillante da una fonte, ma la sorgente della luce, grazie all’adorazione della Croce di Cristo, della quale ci gloriamo”. “Oggi si compie la parola profetica: perché, ecco, noi adoriamo il luogo dove si sono posati i tuoi piedi, Signore, e avendo gustato dell’albero della salvezza, abbiamo ottenuto la liberazione dalle passioni del peccato, per l’intercessione della Madre di Dio, o solo amico degli uomini”. “Convenendo oggi per la gioiosa adorazione della tua Croce vivificante, o Cristo, facciamo onore alla tua santissima passione che, nella tua onnipotenza, hai reso salvezza del mondo, o Salvatore”.

Il cosmo rinasce, è ricreato: “Oggi è gioia in cielo e sulla terra, perché il segno della Croce si manifesta al mondo, la beatissima Croce, esposta, fa sgorgare eterna grazia per quanti l’adorano”. “Vedendoti sulla Croce, o Potente, il luminare grande, preso da tremore, ritrasse i suoi raggi e si nascose; tutto il creato celebrò con timore la tua longanimità: la terra si riempì della tua lode”.

Più che tanti trattati, ecco il fondamento dell’ecclesiologia in una immagine: “Riconosciamo nella Chiesa un secondo paradiso che ha in sé, come il primo, un albero che dà la vita: la tua Croce, o Signore, toccandola noi diventiamo partecipi dell’immortalità”.

Nella Croce, luogo della gloria in cui si manifesta l’apice dell’amore divino, nasce l’uomo nuovo che ha a cuore il dono di sé più che non il possesso, e questo è il fondamento della pace: “Abbiamo trovato pace per la tua Croce, con la quale hai rinnovato il genere umano”. “Baciando la tua croce, o pietoso, celebriamo le tue bende e la tua tomba, la lancia e i chiodi”. Noi possiamo portare la nostra croce perché Cristo ha portato la sua: “Abbracciando la santa Croce che hai accettato di portare sulle spalle, o Cristo, per esservi innalzato e crocifisso secondo la carne, noi riceviamo forza contro i nemici invisibili”.

Il kontakion riesprime una meravigliosa antinomia: “La spada di fuoco non sorveglia più le porte dell’Eden perché il legno della croce le impedisce di ardere; il pungiglione della morte è stato spezzato e tu sei apparso, o Salvatore, per dire ai prigionieri degli inferi: entrate di nuovo nel paradiso”. Anche se la spada non impedisce l’accesso al paradiso, non solo non siamo ancora entrati, ma non sappiamo nemmeno se ne saremo degni. Il tempo della storia del mondo e l’economia della Chiesa non sono terminati, si devono compiere, e a noi non resta che la vita nella comunità ecclesiale, che sfocerà nella Gerusalemme celeste. Per ora, il principe dell'Ade può lamentarsi dicendo: “Sono costretto a rigettare Adamo e i nati da lui che mi erano stati dati mediante un albero: ora un albero li introduce di nuovo nel paradiso”.

La Croce di Cristo diventa laboratorio di vita: “Tu che hai reso questo strumento di morte, la tua amata Croce, o pietosissimo, in un laboratorio di vita per il mondo, santifica quanti l’adorano”, ma anche luce che illumina con i suoi bagliori la strada verso la Pasqua: “Gioisci, albero felicissimo e divino, o Croce, luce di quanti sono nelle tenebre, che con la tua luce preannunci ai quattro confini del mondo i bagliori della risurrezione di Cristo: concedi a tutti i fedeli di giungere alla Pasqua”. “Morto a causa dell’albero, ho trovato in te un albero di vita, o mia Croce che porti Cristo”.

Negli Exapostilaria che precedono le Lodi troviamo riassunto il senso della venerazione che di lì a poco verrà compiuta da tutti: “Vedendo oggi esposta la preziosa Croce di Cristo, noi l’adoriamo e con fede ci rallegriamo, baciandola con amore, e pregando il Signore che volontariamente su di essa è stato crocifisso, di renderci tutti degni di adorare la Croce preziosa, e di giungere alla Risurrezione, liberati tutti dalla condanna”.

Possiamo quindi chiedere alla Madre di Dio: “Noi ora piamente adoriamo il legno sul quale, o Venerabilissima, il tuo Figlio è stato confitto e ha disteso per noi le mani immacolate: donaci la pace, donaci di giungere alla passione che ha salvato il mondo, donaci di venerare il giorno che prende il nome dal Signore, il giorno insigne e luminoso della Pasqua, gioia dell’universo”.

Una strofa delle Lodi ci fa ritornare per un momento all’inizio del cammino, addirittura al tema della prima domenica della pre-quaresima, ma il tema della parabola lucana viene legato alla ormai prossima passione:

“Il Signore di tutti ha insegnato in parabole a fuggire il superbo sentire dei pessimi farisei, e ha ammaestrato tutti a non avere di sé un concetto più alto del dovuto, divenendo egli stesso esempio e modello, si è annientato fino alla croce e alla morte. Rendendo dunque grazie, a lui diciamo con il pubblicano: o tu che hai patito per noi rimanendo Dio impassibile, strappaci alle nostre passioni e salva le nostre anime”.

Durante il canto della Grande Dossologia che conclude il Mattutino, il Sacerdote, rivestito di tutti i suoi ornamenti, incensa la croce facendo tre volte il giro dell’altare; durante l’ultimo trisaghion, che viene cantato lento e solenne, esce dal santuario portando la croce deposta su un vassoio ornato di fiori sopra la sua testa, preceduto da candele e incenso. Mentre il coro canta il tropario della Croce, il sacerdote depone il vassoio con la Croce su un tavolo posto al centro della navata, incensa di nuovo la croce tre volte girandole intorno, poi inizia la venerazione della Croce con la tripla grande metània, dove ciascuno si prostra per tre volte con la fronte a terra prima di chinarsi sulla croce e baciarla, mentre, tra gli altri, vengono cantati questi inni, opera di Leone il Saggio, morto nel 911 e discepolo di Fozio: “Adoriamo, o Signore, la tua croce, e glorifichiamo la tua santa risurrezione”. “Venite fedeli, prostriamoci davanti al legno vivificante sul quale Cristo, il re della gloria, stese liberamente le sue mani per elevarci fino alla nostra antica felicità, della quale eravamo stati privati dal nemico, per una amara voluttà che ci aveva esiliato da Dio. Venite, fedeli, prostriamoci davanti al legno che ci permette di calpestare le testa del nemico invisibile. Venite, famiglie delle genti, veneriamo con inni la Croce del Signore. Rallegrati, perfetta redenzione della colpa di Adamo; rallegrati, Croce venerabile; pieni di timore, ti abbracciamo glorificando il nostro Dio e dicendogli: Signore, tu che fosti inchiodato sulla croce, abbi pietà di noi nella tua bontà e nel tuo amore per gli uomini”.

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